Cass. civ., sez. II, ord. interlocutoria, 2 gennaio 2025, n. 23

Massima Vanno rimesse alle Sezioni Unite le seguenti questioni: 1. Se il presupposto dell'inerzia del debitore nell'azione surrogatoria ex  art.2900 c.c. sia integrato solo dal suo comportamento omissivo, o insufficientemente attivo, o si riferisca anche all’ipotesi di un esercizio incompleto e quantitativamente insufficiente del diritto. 2. Se sia esperibile, in via surrogatoria, 'azione di riduzione per lesione di legittima, da parte del creditore del legittimario totalmente pretermesso, il quale abbia trascurato di esercitarla.

Ordinanza …omissis… il dubbio che solleva il primo motivo di ricorso, e che è esaminabile in questa sede, attiene alla correttezza della nozione di trascuratezza, quale presupposto dell'azione surrogatoria dell'art. 2900 cod. civ., utilizzata dall'impugnata sentenza. In argomento, infatti, si contrappongono, sia pure con varietà di sfumature, due orientamenti della Suprema Corte. Un primo orientamento, più tradizionale, al quale aderisce l'impugnata sentenza, che considera come presupposto dell'azione surrogatoria oltre all'esistenza del credito di chi agisca rispetto al titolare dell'azione ed all'insolvenza del debitore, l'inerzia di quest'ultimo, ossia il suo comportamento omissivo, o insufficientemente attivo, al quale non può equipararsi un comportamento positivo, per cui il creditore non può chiedere di sostituirsi al debitore per sindacare le modalità con cui questi abbia ritenuto di esercitare la propria situazione giuridica (vedi in tal senso Cass. 2.2.2016 n. 1996; Cass. 12.4.2012 n. 5805; Cass. 4.8.1997 n. 7187; Cass. 28.5.1988 n. 3665). Un secondo orientamento, che invece valorizza maggiormente il fatto che l'art. 2900 cod. civ., a differenza di quanto previsto nel previgente codice civile del 1865 all'art. 1234, non parla più di inerzia del debitore, ma di debitore che trascura di esercitare i propri diritti ed azioni nei confronti dei terzi. Col termine "trascura" il legislatore, come desumibile dalla relazione al codice civile (n.1181) ha inteso precisare che a legittimare l'intervento del creditore quale sostituto processuale del titolare del diritto, o dell'azione processuale, non è necessaria un'inattività totale del debitore, bensì è sufficiente un esercizio incompleto e quantitativamente insufficiente del diritto (vedi in tal senso Cass. n.1867/2000). Sulla base di tale dato normativo alcune sentenze di questa Corte hanno, quindi, ritenuto utilizzabile l'azione surrogatoria, oltre che nei casi di totale inerzia del debitore, anche nei casi in cui quest'ultimo non esplichi nella tutela dei suoi diritti la necessaria diligenza, ricomprendendo nel concetto di trascuratezza ogni deficienza rispetto a ciò che il debitore avrebbe potuto fare per perseguire correttamente e proficuamente le proprie ragioni (Cass. 11.5.2009 n. 10744), o comunque attività del debitore qualitativamente, o quantitativamente insufficienti per la tutela della situazione giuridica del debitore all'interno del rapporto col terzo, purché non si vada ad interferire su atti di disposizione dei diritti del debitore, che se compiuti vanno invece contrastati attraverso l'azione revocatoria ordinaria, o l'opposizione di terzo (vedi Cass. 22.11.2022 n. 34297; Cass. 4.8.1997 n. 7187; Cass. 28.5.1988 n. 3665). …omissis… 6) Connessa a tale problematica è poi quella del particolare atteggiarsi dell'interesse ad agire nel caso dell'azione surrogatoria. In linea generale tale condizione dell'azione, per giurisprudenza consolidata di questa Corte, dev'essere accertata anche d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo, ed avendo una natura dinamica che ne determina una diversa configurazione nel tempo, dev'essere attuale e concreto fino al momento della decisione (vedi in tal senso Cass. sez. trib. 13.11.2024 n. 29283; Cass. 20.11.2020 n. 26520; Cass. 8.5.2017 n. 11204; Cass. sez. un. 29.11.2006 n. 25728; Cass. 31.5.2005 n. 11609). Relativamente all'azione surrogatoria, che ha carattere eccezionale, in quanto ai sensi dell'art. 2900 cod. civ. può essere esercitata da un sostituto processuale del titolare (nella categoria rientrano anche i suoi creditori) che abbia trascurato l'esercizio del diritto, o dell'azione, solo nei casi ed alle condizioni previsti dalla legge, la giurisprudenza tradizionale, legata alla vecchia nozione di inerzia, e non a quella di trascuratezza dell'attuale art. 2900 cod. civ., ritiene che qualora il debitore titolare dell'azione non sia più inerte, per aver posto in essere comportamenti idonei e sufficienti a far ritenere utilmente espressa la sua volontà in ordine alla gestione del rapporto, venga automaticamente a mancare il presupposto perché a lui possa sostituirsi il creditore. Quest'ultimo non può sindacare le modalità con cui il debitore, al quale solo compete la gestione del suo patrimonio, abbia ritenuto di esercitare i suoi diritti nell'ambito del rapporto, né contestare le scelte e l'idoneità delle manifestazioni di volontà da lui poste in essere a produrre gli effetti riconosciuti dall'ordinamento, soccorrendo all'uopo altri strumenti di tutela a garanzia delle pretese del creditore, quali, ove ne ricorrano i requisiti, l'azione revocatoria ordinaria ovvero l'opposizione di terzo (così Cass. 28.11.2022 n. 34940; Cass. 12.4.2012 n. 58). Ritiene, però, la sezione che questo rigido e tralaticio orientamento di totale chiusura verso l'azione surrogatoria a tutela del creditore, che frustra la stessa per effetto del semplice tardivo esercizio della medesima azione perfino in separato giudizio da parte del titolare, anche se non seguito da una diligente cura dell'azione stessa, prestando il fianco ad iniziative strumentali del titolare debitore, sia poco conforme alla nozione di trascuratezza e non di mera inerzia dell'attuale art. 2900 cod. civ., e debba essere riconsiderato dalle Sezioni Unite di questa Corte. Occorre, in particolare, tener conto, nell'auspicata rimeditazione nomofilattica, del fatto che, al contrario dei veri e propri atti dispositivi del patrimonio posti in essere dal titolare, che incidono immediatamente sulla consistenza di esso, costituente la garanzia patrimoniale generica per i creditori ex art. 2740 cod. civ., e che se pregiudizievoli, possono essere resi inefficaci nei loro confronti dai suoi creditori con lo strumento dell'azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 cod. civ., gli atti di esercizio, o di non esercizio di un'azione giudiziale costitutiva, quale l'azione di riduzione per lesione di legittima, che pure secondo l'orientamento di questa Corte, di seguito esaminato, è ritenuta esperibile in via surrogatoria dal creditore del legittimario pretermesso (vedi Cass. 30.6.2019 n.16623; Cass. 15.6.2006 n. 13804; Cass. 7.10.2005 n. 19527; Cass. 12.1.1999 n. 251; Cass. 30.10.1959 n. 3208), non incidono immediatamente sulla consistenza del patrimonio, potendo modificare tale consistenza solo nel caso in cui intervenga una decisione di accoglimento dell'azione passata in giudicato, con conseguente inutilizzabilità, da parte del creditore che si era surrogato, dell'indicato rimedio dell'azione revocatoria ordinaria (vedi in tal senso Cass. 19.2.2013 n. 4005), ed utilizzabilità del rimedio dell'opposizione di terzo contro la sentenza relativa all'azione tardivamente esercitata dal titolare, solo nell'ipotesi, di ben ardua dimostrazione, in cui la sentenza sia l'effetto di dolo, o collusione a suo danno ex art. 404 comma 2 cod. civ. 7) Ritiene poi questo Collegio che la decisione del primo motivo di ricorso offra l'occasione di sottoporre alla sezioni unite di questa Corte un'ulteriore questione di grande rilievo nomofilattico, che finora pur in assenza di un reale contrasto sezionale, non ha trovato una soddisfacente soluzione giuridica nella giurisprudenza di legittimità, e di frequente non è stata seguita da parte della giurisprudenza di merito, che malgrado la contraria opinione della Suprema Corte, ha preferito percorrere la via dell'applicazione analogica dell'art. 524 cod. civ. alla rinuncia espressa, o tacita all'azione di riduzione per lesione di legittima del legittimario pretermesso. Tale questione ha ad oggetto l'esperibilità, in via surrogatoria, dell'azione di riduzione per lesione di legittima, da parte del creditore del legittimario totalmente pretermesso, il quale abbia trascurato di esercitarla. Il codice civile non ha apprestato specifici strumenti di tutela a favore dei creditori del legittimario pretermesso in materia di azione di riduzione per lesione di legittima, avendo riconosciuto la legittimazione all'esercizio di tale azione, all'art. 557 comma 1 cod. civ., solo a favore dei legittimari individuati all'art. 536 cod. civ., dei loro eredi, o aventi causa, ed avendo fatto menzione al terzo comma dell'art. 557 cod. civ. ai soli creditori del defunto, i quali non possono esercitare l'azione di riduzione per lesione di legittima, né approfittarne, se il legittimario avente diritto alla riduzione abbia accettato l'eredità con beneficio d'inventario, in tal modo evitando la confusione tra il patrimonio del defunto e quello degli eredi. In dottrina alcuni interpreti, allo scopo di estendere la legittimazione autonoma all'esercizio dell'azione di riduzione per lesione di legittima, ai creditori del legittimario pretermesso, hanno proposto di ritenere inclusi nella categoria degli aventi causa dal legittimario anche i suoi creditori (sembra avallare, ma incidentalmente, tale tesi, Cass. 20.6.2019 n. 16623, che però si basa essenzialmente sulla lettura in negativo di seguito esaminata dell'art. 557 comma 3 cod. civ. e sulla lettura sistematica degli articoli 557, 2900 e 524 cod. civ.); ma come confermato dalla separata menzione all'art. 1415 cod. civ. (relativo all'effetto della simulazione rispetto ai terzi) degli aventi causa e dei creditori delle parti, non si tratta di sinonimi, in quanto sono aventi causa i terzi che siano divenuti acquirenti proprio del diritto alla quota di legittima per atto inter vivos (vedi sull'ammissibilità dell'azione di riduzione per lesione di legittima del cessionario dell'azione di riduzione Cass. 20.1.2009 n. 1373; Cass. 9.4.2008 n. 26254), che sono equiparati agli eredi del legittimario, imponendosi sia per il legittimario, che per i suoi eredi ed aventi causa, il riferimento alla quota riservata all'originario legittimario. Per contro, sono creditori del legittimario quei terzi che, pur senza essere titolari originari o sopravvenuti del diritto alla quota di legittima, vantino un credito certo sul patrimonio del legittimario ed hanno quindi interesse alla sua conservazione, o al suo accrescimento attraverso l'esercizio vittorioso dell'azione di riduzione. La via seguita dalla Suprema Corte (vedi Cass. 30.10.1959 n. 3208 e più recentemente Cass. 20.6.2019 n. 16623, relativa ad un'ipotesi di legato in sostituzione di legittima in cui il legittimario era rimasto inerte) per giustificare l'esercizio, in via surrogatoria, dell'azione di riduzione per lesione di legittima da parte del creditore del legittimario totalmente pretermesso è stata invece individuata nella lettura in negativo dell'art. 557 comma 3 cod. civ. Tale disposizione, come anticipato, dopo avere stabilito che i donatari ed i legatari non possono chiedere la riduzione, né approfittarne, dispone che neppure i creditori del defunto (e non del legittimario pretermesso) possono chiederla, né approfittarne se il legittimario avente diritto alla riduzione abbia accettato col beneficio d'inventario. Da ciò si è ritenuto di dover desumere che nel caso in cui il legittimario avente diritto alla riduzione abbia, invece, accettato puramente e semplicemente l'eredità, con conseguente confusione patrimoniale, i creditori del defunto possano esercitare l'azione di riduzione per lesione di legittima, o avvantaggiarsene, perché ormai equiparati ai creditori del legittimario, i quali a maggior ragione dovrebbero vedersi riconosciuta tale legittimazione, in quanto, a differenza dei creditori del defunto, sarebbero sprovvisti di qualsiasi strumento di tutela, non potendo neppure impugnare gli atti dispositivi pregiudizievoli del de cuius con lo strumento dell'azione revocatoria ordinaria. Tale lettura dell'art. 557 comma 3 cod. civ. desta perplessità, sia in quanto la disposizione si riferisce solo ai creditori del defunto, che hanno interesse a ricomporre nella sua consistenza il patrimonio del defunto impoverito da donazioni e disposizioni testamentarie, e non a tutti i creditori ereditari ed in particolare ai creditori del legittimario pretermesso, che hanno invece interesse a vedere ricostituito nel valore pari alla quota riservata il patrimonio del legittimario pretermesso; sia in quanto da una disposizione dettata solo in negativo per l'ipotesi dell'accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario da parte del legittimario pretermesso, si pretende di desumere, in positivo, la legittimazione all'esercizio dell'azione di riduzione dei creditori del legittimario pretermesso, che però non rientrano nel numerus clausus dei soggetti che secondo l'art. 557 comma 1 cod. civ. possono esercitare tale azione (legittimari, eredi ed aventi causa degli stessi). Di tale azione dovrebbe, piuttosto, ritenersi precluso l'esercizio in via surrogatoria da parte di terzi secondo la previsione dell'ultima parte del primo comma dell'art. 2900 cod. civ., in base alla quale, l'esercizio di detta azione non è consentito quando si tratti di diritti o di azioni che non possono essere esercitati se non dal loro titolare. Ciò in quanto l'esito vittorioso dell'azione di riduzione per lesione di legittima, per giurisprudenza consolidata della Suprema Corte, comporta l'acquisizione da parte del legittimario totalmente pretermesso della qualità di erede (vedi in tal senso Cass. 20.6.2019 n. 16623; Cass. 26.10.2017, n.25441; Cass. 3.7.2013 n. 16635; Cass. 13.1.2010 n. 368; Cass. 20.11.2008 n. 27556). Ciò finirebbe per imporre al legittimario pretermesso un'accettazione dell'eredità, che non costituisce per il legittimario un obbligo giuridico e già in diritto romano era un actus legitimus strettamente personale e non assoggettabile a termini, o condizioni (vedi analogamente nell'attuale ordinamento l'art. 475 comma 2 cod. civ.). Atto che è considerato, in genere, come un atto insuscettibile di esercizio in via surrogatoria da parte dei creditori personali del chiamato all'eredità (vedi in tal senso Cass. 20.9.1963 n. 2592), comportante la responsabilità illimitata del legittimario pretermesso per i debiti del defunto, oltre a conseguenze di carattere personale o morale (si pensi ad un'eredità formata anche da beni di probabile provenienza illecita). La sentenza di questa Corte n. 16623 del 20.6.2019, evidentemente consapevole delle problematiche derivanti dal riconoscimento della legittimazione in via surrogatoria all'esercizio dell'azione di riduzione per lesione di legittima a favore del creditore del legittimario totalmente pretermesso, pur escludendo formalmente l'applicabilità dell'art. 524 cod. civ. (impugnazione della rinuncia da parte dei creditori), ha finito per ricavare, proprio dall'applicazione analogica di quell'articolo, il principio del soddisfacimento del creditore che abbia agito in surrogazione nei limiti del suo credito, e quello della mancata acquisizione della qualità di erede da parte del legittimario pretermesso salvo il caso in cui all'esito dell'accoglimento dell'azione di riduzione vengano restituiti in suo favore dei beni, laddove se di vera e propria azione di riduzione per lesione di legittima si trattasse, anche se esercitata in via surrogatoria, l'effetto del suo esercizio dovrebbe comunque essere quello della ricostituzione della quota riservata al legittimario; ed in caso di esito vittorioso ed a prescindere dall'accoglimento di una connessa domanda di restituzione dei beni, l'effetto sarebbe quello dell'acquisizione da parte del legittimario pretermesso della qualità di erede, con conseguente assunzione di responsabilità per i debiti del defunto. La giurisprudenza di questa Corte (Cass. 15.5.2013 n. 11737) ha, poi, riconosciuto la legittimazione in via diretta, e non surrogatoria, del curatore fallimentare ad esercitare l'azione di riduzione per lesione di legittima, di natura patrimoniale, per effetto dello spossessamento fallimentare (art. 42 L.F.) che priva il legittimario pretermesso fallito della disponibilità dei suoi beni e per effetto della legittimazione a stare in giudizio per i rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento, attribuita al curatore dall'art. 43 L.F., senza peraltro affrontare il tema delle conseguenze pregiudizievoli sia di carattere personale, sia di responsabilità per i debiti del defunto, derivanti dall'esercizio dell'azione da parte del curatore fallimentare, per il fallito tornato in bonis dopo la chiusura del fallimento. Nell'ipotesi sempre di legittimario totalmente pretermesso, ma che abbia espressamente rinunciato all'esercizio dell'azione di riduzione per lesione di legittima, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto che i creditori del legittimario debbano prima rimuovere l'efficacia della rinuncia attraverso lo strumento dell'azione revocatoria ordinaria, per poi esercitare in via surrogatoria in nome e luogo del legittimario, l'azione di riduzione per lesione di legittima (vedi in tal senso Cass. 22.2.2016 n. 3389; Cass. 29.7.2008 n. 20562). Tale ricostruzione, però, non solo risulta farraginosa e poco compatibile col principio della ragionevole durata del processo, ormai tutelato dall'art. 111 comma 2 della Costituzione, ma rischia concretamente di non garantire effettiva tutela al creditore del legittimario totalmente pretermesso, per carenza dei presupposti dell'azione revocatoria ordinaria, o dell'azione surrogatoria. Così ad esempio la sentenza n. 4005 del 19.2.2013 di questa Corte ha respinto l'azione revocatoria ordinaria avente ad oggetto la rinuncia all'azione di riduzione per lesione di legittima del beneficiario di un legato in sostituzione di legittima, che aveva ritenuto di aderire e fare acquiescenza alla disposizione testamentaria relativa al legato, contemporaneamente esprimendo quella rinuncia, evidenziando che quando la revocatoria ordinaria riguardi atti abdicativi, occorre distinguere a seconda che la rinuncia abbia ad oggetto un vero e proprio diritto già facente parte del patrimonio del rinunciante, o una mera facoltà di azione, la cui rimozione di per sé non determina un incremento immediato del patrimonio del rinunciante, che dipende dall'ulteriore e distinto evento dell'esercizio vittorioso dell'azione medesima (in tal senso vedi anche Cass. 21.7.1966 n. 1979). Così, ad esempio, la sentenza n. 1996 del 2.2.2016 di questa Corte ha respinto l'azione di riduzione per lesione di legittima esercitata in via surrogatoria dal creditore del legittimario pretermesso, che aveva tenuto un comportamento qualificato come di accettazione di un legato in sostituzione di legittima, con conseguente implicita rinuncia all'azione di riduzione per lesione di legittima, per mancanza del presupposto dell'inerzia dell'art. 2900 cod. civ., giacché il legittimario aveva comunque manifestato inequivocamente la sua volontà di gestione del rapporto (vedi, nel senso che un comportamento positivo del titolare del diritto sia comunque ostativo all'esercizio dell'azione surrogatoria del suo creditore, anche Cass. 12.4.2012 n. 5805 e Cass. 28.5.1988 n.3665), non essendo stata più riproposta nel caso esaminato, in sede di legittimità, l'impugnazione con l'azione revocatoria ordinaria dell'implicita rinuncia intervenuta. Il dubbio fondamento normativo dell'esercizio in via surrogatoria dell'azione di riduzione per lesione di legittima da parte del creditore del legittimario totalmente pretermesso, ed i sopra elencati inconvenienti ed ostacoli che si frappongono, rispettivamente in assenza, ed in presenza, di un'espressa rinuncia all'azione in questione da parte del legittimario, rendono, a parere del Collegio, opportuna una riconsiderazione da parte delle Sezioni Unite di questa Corte dello strumento in questione. Occorre, infatti, valutare se sia preferibile una rivalutazione dello strumento dell'impugnazione della rinuncia da parte dei creditori di cui all'art. 524 cod. civ., o se, invece, debba prestarsi adesione alla tesi più radicale espressa dalla sentenza 29.7.2008 n. 20562 di questa Corte. Ciò in ragione del fatto che secondo la giurisprudenza di questa Corte il legittimario totalmente pretermesso non rientra fra i chiamati all'eredità ed acquisisce la qualità di erede non con l'accettazione, come avviene per gli altri beneficiari della delazione ereditaria, ma con l'esercizio vittorioso dell'azione di riduzione per lesione di legittima. L'art. 524 cod. civ. stabilisce che "Se taluno rinunzia, benché senza frode, a un'eredità con danno dei suoi creditori, questi possono farsi autorizzare ad accettare l'eredità in nome e luogo del rinunziante, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti. Il diritto dei creditori si prescrive in cinque anni dalla rinunzia". La sentenza n. 20562/2008 ha riconosciuto all'azione regolata dall'art. 524 cod. civ. natura recuperatoria, mirando essa a rendere inopponibile al creditore la rinuncia del chiamato all'eredità ed a consentirgli di soddisfarsi sui beni ereditari che per il chiamato all'eredità si sono ormai perduti in conseguenza della sua rinuncia all'eredità senza però fare assumere al chiamato la qualità di erede, ma ha ritenuto inapplicabile analogicamente tale disposizione al legittimario totalmente pretermesso, che non rientra tra i chiamati all'eredità, che diventano eredi con l'accettazione e ad essa possono rinunciare con un effetto di immediato impoverimento del loro patrimonio, e che piuttosto diviene erede con l'esercizio vittorioso dell'azione di riduzione per lesione di legittima e può solo rinunciare all'azione di riduzione per lesione di legittima, senza che ciò comporti un immediato impoverimento del suo patrimonio con conseguente pregiudizio dei diritti del suo creditore. Occorre considerare anche che lo strumento dell'art. 524 cod. civ. unendo elementi propri dell'azione revocatoria ordinaria, dove tende a rendere inefficace la rinuncia nei soli confronti del creditore impugnante, e dell'azione surrogatoria, dove consente di accettare l'eredità rinunciata spettante al chiamato all'eredità con possibilità di immediato soddisfacimento sui beni ereditari così acquisiti nei soli limiti necessari ad estinguere il credito, permette di evitare il necessario esperimento consecutivo e farraginoso dell'azione revocatoria ordinaria e dell'azione surrogatoria, con i connessi rischi di inammissibilità sopra evidenziati. Inoltre, detta norma contempera da un lato l'esigenza di tutela della volontà del testatore e della libertà del chiamato all'eredità nell'accettare, o non accettare l'eredità, e dall'altro l'esigenza di tutela del credito vantato dal creditore del chiamato, senza produrre effetti indesiderati, contrastanti, oltre il necessario, con la volontà del chiamato all'eredità, quali l'imposizione dell'accettazione dell'eredità, con le conseguenze che ne derivano sul piano personale e sul piano patrimoniale per la connessa responsabilità per i debiti del defunto. Tale strumento deve ritenersi certamente applicabile al legittimario solo parzialmente pretermesso, che riceva per legge, o per testamento, beni di valore inferiore a quello della quota a lui riservata, in quanto rientra fra i chiamati all'eredità ai quali è indirizzata la delazione, per cui se rinuncia espressamente all'accettazione dell'eredità, o se rimane inerte nel termine fissatogli in virtù dell'applicazione analogica dell'art. 481 cod. civ., produce un effetto di immediato impoverimento del suo patrimonio, pregiudizievole per i suoi creditori, che sono quindi legittimati ad impugnare la sua rinuncia ed a chiedere di essere autorizzati in sua vece ad accettare l'eredità, al limitato scopo di vedere soddisfatto il loro credito sui beni ereditari. Pur non potendosi negare la diversità esistente tra il chiamato all'eredità che riceve la delazione e può acquisire i beni mediante accettazione dell'eredità, o rinunciarvi, ed il legittimario totalmente pretermesso, che non è beneficiario di alcuna delazione ed acquisisce la qualità di erede solo in caso di esito vittorioso dell'azione di riduzione per lesione di legittima, potendo egli rinunciare solo all'azione di riduzione senza produrre un impoverimento immediato del suo patrimonio, ma comunque precludendo in tal modo qualsivoglia possibilità futura di acquisizione di beni ereditari, se si considera che l'art. 524 cod. civ. si colloca tra gli strumenti di tutela conservativa dei diritti dei creditori, i suddetti aspetti differenziali appaiono privi di rilievo determinante. Si ritiene, pertanto, di rimettere le due questioni di rilievo nomofilattico sopra prospettate alla Prima Presidente della Corte, affinché ne valuti l'opportunità di decisione da parte delle Sezioni Unite. P.Q.M. La Corte di Cassazione, rimette la causa alla Prima Presidente affinché ne valuti l'opportunità della rimessione alle Sezioni Unite di questa Corte.