Consiglio di Stato, Ad. Plen., sentenza del 7 maggio 2024, n. 11.
Con sentenza n. 11 del 7 maggio 2024, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, rispondendo al quesito volto a chiarire «il regime giuridico del decreto decisorio del Presidente della Repubblica reso erroneamente su ricorso straordinario ormai trasposto, ossia: se ad esso sia o non sia riferibile l’insegnamento consolidatosi che considera la decisione di un ricorso straordinario non trasposto avente valore di cosa giudicata e, nel caso in cui tale decreto decisorio del Presidente della Repubblica non abbia valore di cosa giudicata, se debba essere considerato nullo ai sensi dell’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990 perché reso in astratta e totale carenza di potere per violazione del principio di alternatività dei rimedi», ha enunciato i seguenti principi di diritto: «Il ricorso straordinario è un rimedio giustiziale alternativo a quello giurisdizionale, di cui condivide soltanto alcuni profili strutturali e funzionali. La decisione resa su ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, sebbene il giudizio fosse stato ritualmente trasposto in sede giurisdizionale, è nulla ai sensi dell’art. 21-septies del c.p.a., in quanto emanata in difetto assoluto di attribuzione». Sino al 2009, l’orientamento assolutamente prevalente nella giurisprudenza amministrativa (se si eccettua una risalente pronuncia che lo qualificava come rimedio giurisdizionale) intendeva il ricorso straordinario come un rimedio contenzioso di natura amministrativa. Successivi interventi legislativi hanno rivitalizzato la discussione. In particolare, l’art. 69 della legge 18 giugno 2009, n. 69 ha modificato: l’art. 13 del d.P.R. n. 1199 del 1971, prevedendo che la Sezione consultiva «se ritiene che il ricorso non possa essere deciso indipendentemente dalla risoluzione di una questione di legittimità costituzionale che non risulti manifestamente infondata, sospende l’espressione del parere e, riferendo i termini e i motivi della questione, ordina alla segreteria l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale» (comma 1); nonché l’art. 14 del d.P.R. n. 1199 del 1971, eliminando la potestà del Governo di deliberare in senso difforme rispetto al parere espresso dal Consiglio di Stato (comma 2). Ulteriori innovazioni sono state introdotte dal nuovo codice del processo amministrativo, di cui al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, il quale: ha stabilito che il ricorso straordinario è ammissibile unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa (art. 7, comma 8); ha (sia pure non espressamente) definitivamente riconosciuto la possibilità di azionare il giudizio di ottemperanza per l’esecuzione del decreto presidenziale (art. 112); ha generalizzato la facoltà di opposizione di cui all’art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971 in favore di tutte le parti nei cui confronti sia stato proposto il ricorso straordinario (art. 48, comma 1); ha previsto che, qualora «l’opposizione sia inammissibile, il tribunale amministrativo regionale dispone la restituzione del fascicolo per la prosecuzione del giudizio in sede straordinaria», delineando (secondo alcuni) una particolare ipotesi di ‘translatio iudicii’ (art. 48, comma 3, c.p.a.). Facendo leva sulle predette disposizioni, si sono registrati significativi mutamenti di indirizzo. Le Sezioni Unite assumono che l’intervenuta eliminazione del potere di discostarsi dal parere del Consiglio di Stato «conferma che il provvedimento finale, che conclude il procedimento, è meramente dichiarativo di un giudizio: che questo sia vincolante, se non trasforma il decreto presidenziale in un atto giurisdizionale (in ragione, essenzialmente, della natura dell’organo emittente e della forma dell’atto), lo assimila a questo nei contenuti, e tale assimilazione si riflette sull’individuazione degli strumenti di tutela, sotto il profilo della effettività […]». Anche l’Adunanza Plenaria nel solco tracciato dalle Sezioni Unite, ha tratto dalle medesime modifiche normative il duplice corollario dell’ammissibilità del ricorso per ottemperanza al fine di assicurare l’esecuzione del decreto presidenziale e del radicamento della competenza in unico grado del Consiglio di Stato alla stregua del combinato disposto degli artt. 112, comma 2, lettera b), e 113, comma 1, del codice del processo amministrativo (sentenze n. 18 del 2012; n. 9 e n. 10 del 2013). Secondo tali arresti, il decreto presidenziale che recepisce il parere, pur non essendo, in ragione della natura dell’organo e della forma dell’atto, un atto formalmente e soggettivamente giurisdizionale, è comunque «estrinsecazione sostanziale di funzione giurisdizionale» che culmina in una decisione caratterizzata dal crisma dell’intangibilità, propria del giudicato, all’esito di una procedura in unico grado incardinata sulla base del consenso delle parti. Diverso il tenore delle pronunce della Corte costituzionale, secondo cui le innovazioni intervenute con la citata legge n. 69 del 2009, pur avendo determinato l’ampliamento delle garanzie e degli strumenti di tutela a disposizione di chi si avvale di tale rimedio, non hanno comportato alcuna ‘giurisdizionalizzazione’ dell’istituto, al quale va riconosciuta una natura “giustiziale” che differisce da quella giurisdizionale Recentemente, il Consiglio di Stato, pur riconoscendo che il ricorso straordinario «ha perso la sua connotazione, tipicamente ed esclusivamente, di rimedio amministrativo», ha concluso che «non vi è coincidenza tout court con gli altri rimedi giurisdizionali sul piano dei principi applicabili» e che l’atto conclusivo della procedura va qualificato come provvedimento amministrativo, «solo per certi aspetti equiparato» ad una sentenza. Il punto di partenza del massimo Concesso è la nozione di «giurisdizione»: la giurisdizione, precisa l’Adunanza Plenaria, è l’attività di accertamento e decisoria che l’ordinamento imputa ai «giudici», come individuati dalle norme costituzionali sulla competenza (art. 101, 102, 103). A questa stregua, gli organi statali qualificabili formalmente come giurisdizionali sono l’autorità giudiziaria ordinaria, istituita e regolata «dalle norme sull’ordinamento giudiziario», le «sezioni specializzate per determinate materie» da istituirsi «presso gli organi giudiziari ordinari» e gli altri organi di giurisdizione contemplati nella Costituzione, tra cui i Tribunali amministrativi regionali ed il Consiglio di Stato. Si tratta di un ‘numero chiuso’, in quanto l’art. 102 vieta di istituire giudici straordinari o giudici speciali. I caratteri che devono accompagnare l’organizzazione della giurisdizione (in termini di indipendenza, imparzialità e terzietà) e la sua azione (il c.d. giusto processo) sono predicati costituzionalmente necessari della qualificazione formale di «giudice». Ebbene, l’Adunanza Plenaria afferma che ogni riflessione deve muovere dalla qualificazione normativa dell’istituto, e conclude che il diritto positivo contiene riferimenti precisi sulla natura amministrativa del rimedio, che non è possibile disattendere. In definitiva, il ricorso straordinario è un rimedio «giustiziale», alternativo a quello giurisdizionale, di cui condivide solo alcuni tratti strutturali e funzionali. Il decreto presidenziale è atto ‘della’ Amministrazione ‒ in quanto formalmente imputato alla responsabilità dell’organo ministeriale ‒ ma non ‘di’ amministrazione attiva, trattandosi di una «decisione» che definisce una controversia nell’ambito di un procedimento contenzioso in contradditorio con le parti e avente carattere vincolato in ragione della sua funzione dichiarativa (essendo cioè espressione della volontà del diritto nel caso concreto). L’Adunanza Plenaria non può non rilevare come strida con la ricostruzione fornita l’ammissibilità del ricorso per cassazione contro le decisioni adottate in sede straordinaria ai sensi dell’art. 362 c.p.c. (quindi, per i soli motivi attinenti alla giurisdizione). La decisione amministrativa giustiziale non può essere qualificata come cosa giudicata in senso tecnico, anche perché – sul piano della struttura formale – ad essere impugnabile sarebbe il decreto presidenziale e non certo il parere del Consiglio di Stato avente effetti endoprocedimentali. L’orientamento favorevole al ricorso di cui all’art. 362 c.p.c. appare poi collidere con l’art. 10, comma 3, del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199. Ad avviso del Supremo Concesso appare, quindi, preferibile ritenere che l’art. 7, comma 8, del c.p.a. – il quale ammette il ricorso straordinario «unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa» – contenga una norma che delimita l’ambito di applicazione del ricorso giustiziale, la cui violazione è censurabile in sede giurisdizionale (e nei vari gradi di giudizio) tramite l’impugnazione di cui al predetto art. 10, comma 3, del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199. Il regime della decisione resa su ricorso straordinario, per tutto quanto non previsto dal d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, e dalle pertinenti norme del codice del processo amministrativo, è dettato dalle disposizioni in materia di procedimento amministrativo. Dunque, ad avviso dell'Adunanza Plenaria, il caso sottoposto al suo esame ‒ della decisione resa su ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, nonostante il giudizio fosse stato ritualmente trasposto in sede giurisdizionale ‒ va dunque ricondotto alle norme sull’invalidità amministrativa. Dopo aver richiamato l'articolo 21-septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, l'Adunanza Plenaria afferma che la fattispecie in esame ricade, senza dubbio, nell’ipotesi del difetto assoluto di attribuzione. L’intervenuta opposizione e la rituale riassunzione del giudizio in sede giurisdizionale spogliano, infatti, l’amministrazione del potere di definire la controversia.
Pubblicato il 07/05/2024 N. 00011/2024REG.PROV.COLL. N. 00001/2023 REG.RIC.A.P.
R E P U B B L I C A I T A L I A N A IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1 del 2023 del ruolo dell’Adunanza Plenaria (n. 545 del 2018 della Sesta Sezione), proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Maria Carmela Vadalà, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso l’avvocato Oreste Morcavallo, in Roma, via Arno, n. 6; contro il Comune di Rossano, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda), n. - OMISSIS-; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2024 il Cons. Dario Simeoli e udito per la parte appellante l’avvocato Achille Morcavallo, in sostituzione dell’avvocato Oreste Morcavallo; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO
R E P U B B L I C A I T A L I A N A IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1 del 2023 del ruolo dell’Adunanza Plenaria (n. 545 del 2018 della Sesta Sezione), proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Maria Carmela Vadalà, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso l’avvocato Oreste Morcavallo, in Roma, via Arno, n. 6; contro il Comune di Rossano, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda), n. - OMISSIS-; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2024 il Cons. Dario Simeoli e udito per la parte appellante l’avvocato Achille Morcavallo, in sostituzione dell’avvocato Oreste Morcavallo; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO
- ‒ I fatti, rilevanti ai fini del decidere, possono essere così riassunti:
- il signor -OMISSIS- acquistava, nell’anno 1983, un fondo in località Zolfara del Comune di Rossano Calabro, ricadente in zona demaniale marittima, realizzandovi abusivamente (senza alcun previo titolo abilitativo) un manufatto in muratura «facente parte di un fabbricato di maggiore consistenza» adibito ad «abitazione primaria», nonché, «un piccolo corpo di fabbrica adibito ad autoclave»;
- in data 26 settembre 1986, relativamente a tale manufatto, l’appellante presentava un’istanza di condono ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47;
- nelle more del procedimento di condono, la Capitaneria di Porto del Compartimento Marittimo di Crotone, con ingiunzione n. 333 del 13 ottobre 1994, disponeva lo sgombero e il ripristino dell’area, contestando l’occupazione di «una zona demaniale marittima della superficie di mq. 296.00 sulla quale sono stati realizzati n. 2 manufatti in muratura ordinaria ad un piano fuori terra con annessa recinzione»;
- il procedimento penale avente ad oggetto il medesimo manufatto si concludeva con la sentenza del Tribunale di Rossano, sezione penale, -OMISSIS--OMISSIS-, che dichiarava «non doversi procedere nei confronti dell’imputato per intervenuta prescrizione» in relazione ai reati ascritti, oltre che «per intervenuta abolitio criminis» con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 1161 del codice della navigazione, disponendo nel contempo «la restituzione dell’area in sequestro all’autorità competente per il demanio marittimo»;
- con provvedimento n. 1817 del 30 marzo 2005, il Comune, richiamata l’ingiunzione della Capitaneria di Porto e rilevato che l’immobile insisteva su area demaniale (come accertato dalla verificazione dell’Agenzia del Territorio di Cosenza del 20 settembre 2002), negava il condono poiché l’istanza era priva: i) della «autorizzazione paesistico ambientale in sanatoria», in ragione del vincolo di cui all’art. 142 comma 1 lettera a) del d.lgs. n. 42 del 2004; ii) del «titolo di proprietà»; iii)
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- il diniego di condono veniva impugnato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, trasposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria (con ricorso n.r.g. 1258 del 2005), giudizio che si concludeva con la sentenza di rigetto n. 383 dell’8 febbraio 2006, confermata in appello dal Consiglio di Stato, con sentenza n. 5517 del 12 ottobre 2011;
- nel frattempo, il Comune adottava l’ordinanza di demolizione n. 754 del 7 febbraio 2006 della predetta opera, in quanto realizzata «in assenza di titolo autorizzativo», impugnata anch’essa con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, trasposto in sede giurisdizionale dinnanzi al medesimo Tribunale Amministrativo Regionale (con ricorso iscritto al n.r.g. 1240 del 2006);
- nelle more del giudizio da ultimo indicato, il Comune ingiungeva nuovamente la demolizione delle stesse opere con ordinanza n. 43 del 15 aprile 2008 (ripetitiva nei contenuti della precedente ordinanza n. 754 del 2006), impugnata innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale (con ricorso iscritto al n.r.g. 528 del 2008), che respingeva la domanda con sentenza n. 584 del 5 giugno 2009 (confermata dal Consiglio di Stato, con sentenza n. 2906 del 2020);
- nonostante l’avvenuta trasposizione in sede giurisdizionale, con decreto del Presidente della Repubblica del 18 novembre 2010, veniva accolto il ricorso straordinario proposto avverso l’ingiunzione n. 754 del 2006, recependo il parere reso dal Consiglio di Stato, di cui all’Adunanza della Sezione Seconda del 13 gennaio 2010 (affare n. 4921 del 2006), motivato sul presupposto della mancata prova della localizzazione del manufatto su area demaniale e dell’omesso esperimento del procedimento previsto dall’art. 32 del codice della navigazione (e senza affrontare gli ulteriori profili di non conformità urbanistica addotti a fondamento dell’ordinanza demolitoria);
- la decisione resa sul ricorso straordinario veniva impugnata dall’Amministrazione dinnanzi al Tribunale Amministrativo Regionale (con ricorso iscritto al n.r.g. 871 del 2011); il giudizio veniva tuttavia dichiarato perento con decreto n. 1149 del 17 novembre 2015;
- in sede giurisdizionale, a definizione del giudizio (n.r.g. 1240 del 2006) relativo allo stesso ordine
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- nel merito, il giudice di prime cure respingeva il ricorso, ritenendo assorbente (rispetto al profilo dell’occupazione di suolo demaniale) la circostanza che «esiste agli atti il provvedimento reiettivo di una domanda di condono presentata dal ricorrente, che vale senza dubbio a suffragare la correttezza della motivazione, quanto meno nella parte relativa all’assenza (iniziale e sopravvenuta, rispetto alla realizzazione dell’opera) di un titolo abilitativo edilizio».
- ‒ Il signor -OMISSIS- ha quindi appellato la predetta sentenza di primo grado, sulla scorta di tre ordini di motivi, il primo dei quali incentrato sull’asserita «elusione» del decreto del Presidente della Repubblica del 18 novembre 2010 (il secondo ed il terzo contestano, invece, l’erroneità della sentenza nel merito).
- ‒ La Sezione Sesta del Consiglio di Stato osserva come l’odierna controversia ponga la questione inedita del rapporto esistente fra la decisione resa su un ricorso straordinario, nonostante il giudizio fosse stato ritualmente trasposto, e la sentenza adottata in sede giurisdizionale, nel caso in cui le due pronunce abbiamo avuto esiti contrastanti.
- ‒ All’udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2024, la causa è stata discussa dall’Adunanza Plenaria e decisa nei termini che seguono.
- ‒ La Sezione Sesta, dopo un’esaustiva ricostruzione della fattispecie controversa in rapporto a tutti i suoi elementi identificativi di fatto e diritto, ha sottoposto a questa Adunanza Plenaria un «punto di diritto» indubbiamente rilevante rispetto alla res controversa, nel senso che il giudizio non può essere definito indipendentemente dalla sua risoluzione (art. 99, comma 1, del c.p.a.).
- la violazione della norma sull’alternatività tra sede straordinaria e giurisdizionale (articoli 8 e 10 del d.P.R. 24 novembre1971, n. 1199) si tradurrebbe in un vizio del decreto che, in applicazione del principio generale della conversione dei motivi di nullità in motivi d’impugnazione, andrebbe fatto valere tramite il mezzo di impugnazione previsto dalla legge (nella specie, quello «per vizi di forma o di procedimento» di cui all’art. 10, comma 3, del d.P.R. n. 1199 del 1971), vizio che invece risulterebbe ‘sanato’ ove non dedotto attraverso tale impugnazione (ovvero quando, come è avvenuto nel caso di specie, il gravame sia andato perento);
- il mezzo attraverso il quale dovrebbe essere rilevata l’esistenza di un precedente decreto decisorio (equiparato alla sentenza) oramai «stabile», sarebbe l’eccezione di cosa giudicata, la quale, se fondata, dovrebbe precludere al giudice di giudicare nuovamente la lite già decisa;
- soltanto qualora non fosse rilevata l’eccezione di cosa giudicata, né proposta revocazione avverso la seconda sentenza (ai sensi dell’art. art. 395, n. 5, del c.p.c.), si determinerebbe (in caso di difformità
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- – Come correttamente rilevato dalla Sezione rimettente, l’alternativa ermeneutica sopra accennata
- nonostante il consolidamento di una successiva ordinanza di demolizione delle stesse opere ‒ è tale da influenzare comunque l’esito della lite e il conseguente impianto motivazionale della sentenza, oltre che essere preliminare sul piano logico.
- – Tralasciando ogni considerazione sull’origine storica dell’istituto (che, come è noto, affonda le sue radici nell’Italia preunitaria, quale strumento di grazia del Re nei confronti di decisioni amministrative non suscettibili di altri rimedi) e sul percorso normativo e giurisprudenziale che ha accompagnato il suo trapianto nel sistema costituzionale, sino alla configurazione attualmente assunta con gli articoli 8 e seguenti del d.P.R. 24 novembre1971, n. 1199 (e con l’art. 9 del d.lgs. 24 dicembre 2003, n. 373, che disciplina l’omologo ricorso straordinario al Presidente della Regione Siciliana), è invece necessario, ai fini del decidere, ripercorrere rapidamente e in modo schematico i termini del recente dibattito sulla ‘natura’ del ricorso straordinario.
- ‒ Sino al 2009, l’orientamento assolutamente prevalente nella giurisprudenza amministrativa (se si eccettua una risalente pronuncia che lo qualificava come rimedio giurisdizionale: cfr. Adunanza generale, 16 gennaio 1908) intendeva il ricorso straordinario come un rimedio contenzioso di natura amministrativa.
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- ‒ Successivi interventi legislativi hanno rivitalizzato la discussione.
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- ‒ Facendo leva sulle predette disposizioni, si sono registrati significativi mutamenti di indirizzo. La Corte di cassazione ha riconosciuto l’ammissibilità dell’azione di ottemperanza per l’esecuzione dei decreti resi su ricorsi straordinari (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 2065 del 2011), nonché la loro impugnabilità per motivi inerenti alla giurisdizione (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 23464 del 2012, n. 20569 del 2013, n. 10414 del 2014). Alla base del nuovo orientamento, le Sezioni Unite assumono che l’intervenuta eliminazione del potere di discostarsi dal parere del Consiglio di Stato «conferma che il provvedimento finale, che conclude il procedimento, è meramente dichiarativo di un giudizio: che questo sia vincolante, se non trasforma il decreto presidenziale in un atto giurisdizionale (in ragione, essenzialmente, della natura dell’organo emittente e della forma dell’atto), lo assimila a questo nei contenuti, e tale assimilazione si riflette sull’individuazione degli strumenti di tutela, sotto il profilo della effettività […]» (così la citata sentenza n. 2065 del 2011).
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- ‒ Le formule linguistiche che, prudentemente e con sfumature diverse, alludono ad una sorta di
- ‒ Il punto di partenza è la nozione di «giurisdizione», il cui termine viene utilizzato nelle fonti, non come rappresentazione astratta o ideale della funzione di ‘rendere giustizia’ (la Costituzione, all’art. 101, comma primo, preferisce, in questo caso, parlare di «giustizia»), bensì come attributo di una specifica e concreta attività statale da disciplinare.
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- – Il d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 (concomitante alla creazione dei Tribunali amministrativi regionali, con legge 6 dicembre 1971, n. 1034), configura espressamente il ricorso al Presidente della Repubblica come un rimedio amministrativo.
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- ‒ Il diritto positivo contiene dunque riferimenti precisi che non è possibile disattendere.
- ‒ Va aggiunto che le definizioni ‘autonome’ di giurisdizione elaborate in seno agli ordinamenti sovranazionali non possono essere generalizzate ed estrapolate dal loro contesto funzionale.
- – La nozione di «giurisdizione dello Stato membro» utilizzata in ambito europeo ‒ basata su indici sostanziali atti a ricomprendere la diversità delle culture giuridiche degli Stati membri, quali l’origine legale dell’organo, il suo carattere permanente, l’obbligatorietà della sua giurisdizione, la natura contraddittoria del procedimento, il fatto che l’organo applichi norme giuridiche e che sia indipendente ‒ è funzionale a permettere che il rinvio pregiudiziale garantisca l’«effettività» del diritto europeo. Con questa finalità, essa abbraccia ogni attività di decisione dei conflitti posta in essere da soggetti dell’ordinamento e può ricomprendere, in taluni casi, anche l’attuazione oggettiva delle norme di diritto assegnata a corpi amministrativi.
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- – Anche la Corte di Strasburgo ha più volte affermato che, ai fini dell’articolo 6 § 1 della CEDU, un «tribunale» non deve essere necessariamente un organo giudiziario inserito nell’ordinario apparato giudiziario del Paese interessato. Tra gli organi ai quali è stata riconosciuta la qualità di «tribunale», ad esempio, vanno citate: un’autorità regionale per le operazioni immobiliari (Sramek c. Austria, 1984, § 36); una Commissione per il risarcimento delle vittime di reati (Rolf Gustafson c. Svezia,
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- ‒ Vale pure la pena osservare che anche la nozione di «giudizio» e di «giudice», ai fini dell’applicazione dell’art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 e dell’art. 23 della legge n. 87 del 1953, è più ampia di quella di «giurisdizione». La relatività delle definizioni si spiega qui per la necessità di mediare la struttura incidentale del giudizio costituzionale ‒ che, per quanto finalizzato
- ‒ Sono così poste le basi per tirare le fila della digressione.
- ‒ Il ricorso straordinario è un rimedio «giustiziale», alternativo a quello giurisdizionale, di cui condivide solo alcuni tratti strutturali e funzionali.
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- – L’esistenza di una comune finalità di giustizia tra strumenti giurisdizionali e strumenti giustiziali giustifica la condivisione di alcune forme e garanzie. Anche l’amministrazione contenziosa esige un modello organizzativo che valorizzi l’indipendenza, l’imparzialità e l’autorevolezza del soggetto decidente ed una specifica struttura del procedimento, in grado di giustificare la sua capacità di essere ‘alternativa’ alla giurisdizione (in tal senso deve leggersi anche la possibilità di revocazione delle decisioni adottate con decreto presidenziale per i casi previsti dall’art. 395 c.p.c., da proporsi nelle stesse forme prescritte per il ricorso al Presidente della Repubblica, come previsto dall’art. 15 del
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- ‒ Anche nel caso dell’amministrazione giustiziale, ragioni di opportunità pratica e di utilità sociale inducono ad introdurre un limite alla discutibilità di ciò che è stato statuito: il decreto presidenziale, per questi motivi, è assistito dai caratteri della irretrattabilità (salva, naturalmente, l’impugnazione straordinaria) e della incontestabilità esterna.
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- – L’impostazione suggerita si inserisce in modo armonico nel quadro delle attribuzioni costituzionali del Consiglio di Stato.
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- – Le conclusioni cui si è pervenuti non ostacolano certo l’eventuale percorso giurisprudenziale di ulteriore affinamento dell’istituto (ad esempio con riferimento alle azioni esperibili, alle forme di esplicazione del contraddittorio, al novero dei mezzi istruttori). Con la consapevolezza, tuttavia, che
- al di là di quanto imposto dal diritto convenzionale ‒ il legislatore ben può preservare i profili di specialità dei rimedi alternativi alla giurisdizione, volti ad assicurare una tutela, ove possibile, più
- ‒ A titolo di leale collaborazione istituzionale e nel pieno rispetto per le prerogative delle Sezioni Unite, questa Adunanza Plenaria non può non rilevare come strida con la ricostruzione sopra fornita l’ammissibilità del ricorso per cassazione contro le decisioni adottate in sede straordinaria ai sensi dell’art. 362 c.p.c. (quindi, per i soli motivi attinenti alla giurisdizione).
- ‒ Il regime della decisione resa su ricorso straordinario, per tutto quanto non previsto dal d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, e dalle pertinenti norme del codice del processo amministrativo, è dettato dalle disposizioni in materia di procedimento amministrativo.
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- ‒ L’art. 21-septies della legge 7 agosto 1990, n. 241 ‒ secondo cui «[è] nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge» ‒ ha confermato le precedenti acquisizioni giurisprudenziali circa l’inserimento a pieno titolo della nullità nell’ambito dell’invalidità del provvedimento amministrativo, che diviene così una categoria composita e idonea a ricomprendere i diversi stati vizianti entro una cornice sistematica unitaria (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, nn. 1, 2, 5, 6 e 10 del 1992, con le quali veniva a mutare l’orientamento precedente che riconduceva all’annullabilità le pur rare ipotesi configurate dal legislatore come fattispecie nulle; nonché, Sez. V, n. 166 del 1998 e n. 1190 del 1996).
- ‒ Tra i vizi che determinano la nullità, la norma contempla il difetto assoluto di attribuzione, il quale è il portato del principio di tipicità del potere amministrativo, a sua volta corollario del principio di legalità cui è soggetta l’attività amministrativa di diritto pubblico.
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- ‒ Veniamo ora al regime della nullità.
- ‒ Nell’assetto anteriore all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, annullabilità e nullità rappresentavano il precipitato di tecniche normative marcatamente diverse.
- ‒ Veniamo ora al regime della nullità.
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- ‒ Sennonché, il Codice del processo amministrativo ha dettato una disciplina dell’azione di nullità del tutto difforme rispetto alla tradizione civilistica.
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- – Rilevanti quesiti interpretativi sono stati sollevati con riguardo al secondo periodo del comma 4 dell’art. 31, il quale precisa che «[l]a nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice».
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- ‒ Sono invece necessarie alcune precisazioni sul rilievo ufficioso.
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- – Alla luce delle considerazioni che precedono, l’Adunanza plenaria enuncia i seguenti principi di diritto:
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- – Ai sensi dell’art. 99, comma 4, c.p.a., l’adunanza plenaria ritiene opportuno restituire per il resto il giudizio alla sezione remittente, per ogni ulteriore statuizione, in rito, nel merito nonché sulle spese del giudizio.
- enuncia i principi di diritto di cui al punto 8) del considerato in diritto della motivazione;
- restituisce gli atti alla Sesta Sezione di questo Consiglio di Stato, per ogni ulteriore statuizione, in rito, nel merito nonché sulle spese del giudizio.