Consiglio di Stato, seconda Sez., 6 maggio 2024, n.4078

Con sentenza n. 4078 del 6 maggio 2024, la Seconda Sezione del Consiglio di Stato, richiamando alcuni principi giurisprudenziali consolidati, si è pronunciata sulla c.d. autotutela doverosa. Il Consiglio di Stato ha ricordato che l’autotutela doverosa consegue di norma all’accertamento di una declaratoria di falsità di documenti o di dichiarazioni che avevano consentito di ottenere un determinato provvedimento. Essa, in aderenza ai notori principi costituzionali che reggono l’azione amministrativa e anche per evitare comportamenti arbitrari dell’Amministrazione finalizzati a sottrarsi alle eventuali responsabilità per un’attività illegittima, è riferita a situazioni tassativamente individuate dal legislatore ovvero declinate in maniera altrettanto precisa in via pretoria, in presenza delle quali il potere di riesame dei propri atti da parte della pubblica amministrazione è dovuto. A tale categoria è stata ricondotta anche la previsione di cui all’art. 21-novies, comma 2-bis, della l. n. 241 del 1990, sebbene la giurisprudenza abbia già avuto modo di chiarire come in tale ipotesi debba piuttosto parlarsi di “autotutela doverosa parziale”, proprio ad indicare quei casi in cui sussiste l’obbligo di attivarsi, anche in deroga ai limiti di tempo previsti dal legislatore per l’esercizio dell’autotutela, seppure l’esito non è vincolato. Del resto, si legge nella sentenza, il tenore letterale della norma («possono essere annullati», anziché “sono annullati”) rende inequivoca l’intenzione del legislatore di considerare anche l’accertamento penale irrevocabile del falso insufficiente a determinare sempre e comunque l’annullamento dell’atto e di ritenere indispensabile un’attenta attività valutativa da parte dell’amministrazione di tutta la complessiva situazione, tenendo conto delle esigenze di tutela dell’affidamento dell’autore del mendacio o del diretto (e consapevole) beneficiario dello stesso. L’autotutela doverosa parziale, in quanto ricondotta al richiamato comma 2-bis dell’art. 21-novies, è stata introdotta nell’ordinamento dalla l. 7 agosto 2015, n. 124, che ha inserito la norma nel corpo della l. n. 241 del 1990. La Seconda Sezione ricorda che in precedenza era stata la giurisprudenza ad avere individuato i casi nei quali l’autotutela era considerata strumento di garanzia di supremi valori ed interessi dell’ordinamento contro la consolidazione degli effetti di un atto illegittimo, seppure non tempestivamente revocato o annullato. Tra questi, veniva fatto rientrare il caso del provvedimento rilasciato sulla base di dichiarazioni non veritiere, a prescindere, peraltro, dalle ragioni di tale non veridicità ovvero dalla, vera o presunta, irrilevanza delle stesse sul contenuto dell’atto poi caducato. In tali ipotesi la necessità dell’intervento dell’Amministrazione è stato ancorato all’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 28 dicembre 2000 che, facendo riferimento alla “decadenza”, evoca un istituto la cui esatta portata è da sempre controversa, stante che pur concretizzandosi in un provvedimento afflittivo, come tale univocamente sanzionatorio, se ne discosta per il mancato rilievo dato all’elemento psicologico della condotta, al pari di quanto accade per l’annullamento d’ufficio, cui pure parte della dottrina tende ad assimilarlo. A tale disposizione si è univocamente fatto riferimento fintanto che la disciplina degli effetti delle dichiarazioni menzognere non è confluita nella legge sul procedimento amministrativo. Inoltre, la Seconda Sezione condivide il richiamo operato dalla sentenza impugnata ai principi affermati dall’Adunanza Plenaria circa la sussistenza o meno di un interesse pubblico in re ipsa all’autotutela proprio con riferimento al rilascio di sanatorie poi rivelatesi illegittime; è stato infatti riconosciuto che «Se infatti è vero in via generale che il potere della P.A. di annullare in via di autotutela un atto amministrativo illegittimo incontra un limite generale nel rispetto dei principi di buona fede, correttezza e tutela dell’affidamento comunque ingenerato dall’iniziale adozione dell’atto (i quali plasmano il conseguente obbligo motivazionale), è parimenti vero che le medesime esigenze di tutela non possono dirsi sussistenti qualora il contegno del privato abbia consapevolmente determinato una situazione di affidamento non legittimo. In tali casi l’amministrazione potrà legittimamente fondare l’annullamento in autotutela sulla rilevata non veridicità delle circostanze a suo tempo prospettate dal soggetto interessato, in capo al quale non sarà configurabile una posizione di affidamento legittimo da valutare in relazione al concomitante interesse pubblico». Tale affermazione non trova alcun limite nella portata fraudolenta o meno del mendacio, ex se irrilevante. L’interesse pubblico tutelato, infatti, è quello alla correttezza dei rapporti tra p.a. e cittadini, che vede nel sistema delle autodichiarazioni l’espressione più tipica, in quanto bilancia l’alleggerimento degli oneri procedurali e la susseguente semplificazione con la richiesta assunzione di responsabilità da parte del privato.

Pubblicato il 06/05/2024   N. 04078/2024REG.PROV.COLL.   N. 00472/2022 REG.RIC.  

                            R E P U B B L I C A  I T A L I A N A IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato   in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)   ha pronunciato la presente   SENTENZA   sul ricorso numero di registro generale 472 del 2022, proposto dal signor Luca Sebastiano Baffigo Filangieri di Candido Gonzaga, rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanni Gerbi, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Genova, via Roma, n. 11/1; contro il Comune di Portofino, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Pietro Piciocchi, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Genova, corso Torino, n. 30/18; nei confronti dei signori Anna Repetto, Gemma Marchese e Alessandra Calzia, nella loro qualità di eredi del signor Camillo Marchese, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, sez. I, 29 luglio 2021, n. 731, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Portofino; Visti tutti gli atti della causa; Viste le istanze di passaggio in decisione senza previa discussione orale avanzate sia dall’appellante che dall’Amministrazione appellata; Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 9 aprile 2024, il Cons. Antonella Manzione; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.     FATTO
  1. Il signor Emilio Maria Beretta, all’epoca dei fatti proprietario di alcuni fabbricati facenti parte del complesso immobiliare costituente la c.d. “villa Sabaino” nel Comune di Portofino, adiva il T.a.r. per la Liguria per l’annullamento del decreto n. 7 del 9 novembre 2013, prot. 9023, di annullamento del condono di opere interessanti gli stessi rilasciato in data 11 aprile 1998, sulla base di due distinte istanze presentate nel 1986 dalla Impresa agricola Sabaino s.a.s. L’annullamento era motivato sulle risultanze della verificazione disposta nell’ambito di un distinto contenzioso promosso innanzi al medesimo Tribunale (n.r.g. 639/2010) dal proprietario di un fabbricato facente parte della medesima “villa Sabaino”, il signor Camillo Marchese, nei confronti del Comune di Portofino per lamentare proprio il mancato esercizio dell’autotutela con riferimento al condono edilizio n. 17 del 1998: ciò in quanto la sentenza che aveva definito ridetto ricorso nel senso della inammissibilità (T.a.r. per la Liguria, sez. I, 25 giugno 2012, n. 888, confermata da Cons. Stato, sez. VI, 10 maggio 2013, n. 2562) aveva affermato tra l’altro chiaramente: «l’istruttoria [effettuata dal Corpo forestale dello Stato, cui era stata assegnata la verificazione, n.d.r. ] ha evidenziato come in effetti le dichiarazioni rese dal sig. Iaccarino, rispettivamente in data 11 ottobre 1996 e 18 dicembre 1996, relativamente alla data di ultimazione delle opere oggetto di condono siano inveritiere […]. La verificazione disposta dal Collegio ha accertato, invece, che il manufatto “B” è stato modificato tra il 1980 e 1989, il manufatto
“D” è stato realizzato dopo l’ottobre 1980 e comunque prima dell’aprile 1989, il manufatto “L” è stato realizzato dopo l’ottobre 1980 ma comunque prima dell’aprile 1989».
  1. A sostegno delle proprie pretese il ricorrente lamentava:
  1. violazione e falsa applicazione dell’art. 21-novies della l. n. 241 del 1990 e degli artt. 40 e 46 della
l. n. 47 del 1985, eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento, difetto di presupposto e di motivazione, violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 e intrinseca illogicità;
  1. violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 sotto altro profilo, difetto ed illogicità di motivazione, errata applicazione dell’art. 46 della l. n. 47 del 1985 e dell’art. 15 della l. n. 765 del 1967 e falsa applicazione dell’art. 75 del d.P.R. n. 495 del 2000;
  2. violazione dell’art. 21-novies della l. n. 241 del 1990, violazione del principio di affidamento, termine irragionevole, difetto di interesse pubblico, difetto di motivazione, immotivata contraddittorietà con atti precedenti;
  3. violazione dell’art. 21-novies della l. n. 241 del 1990 sotto ulteriore profilo, violazione delle regole
sull’actus contrarius, immotivata contraddittorietà con atto precedente.
  1. L’adito T.a.r. con la sentenza segnata in epigrafe respingeva il ricorso, confermando la legittimità dell’atto impugnato il cui contenuto necessitato era da ricondurre alle false dichiarazioni definitivamente accertate in altro procedimento.
  2. Avverso tale sentenza ha proposto appello il signor Luca Sebastiano Baffigo Filangieri di Candida Gonzaga, nella sua qualità di acquirente della villa, giusta atto ai rogiti del notaio Giorgio Segalerba di Chiavari rep. 48972 del 13 luglio 2017. Egli ha in primo luogo circoscritto la portata del gravame alla parte di provvedimento impugnato in primo grado dal proprio dante causa riferito ad uno solo dei manufatti ricompresi nello stesso, segnatamente l’annesso agricolo di circa mq. 20, giacché il mutamento di destinazione d’uso e l’ampliamento del fabbricato principale erano stati sanati con provvedimento del 19 marzo 2016, per effetto di nuova domanda di condono (rigettata solo per il manufatto agricolo) avanzata ai sensi dell’art. 39 della l. n. 724/1994, trattandosi di opere realizzate comunque prima del 31 dicembre 1993.
Dopo aver evidenziato chiarito i presupposti della propria legittimazione e interesse all’appello (sub A), egli ha articolato i seguenti motivi di gravame, rubricati:
    1. «Sul rigetto del primo motivo di ricorso e sulla sua fondatezza. Violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 46 L. n. 47/1985. Travisamento. Difetto di motivazione ed illogicità»;
    2. «Sul rigetto del secondo motivo di ricorso e sulla sua fondatezza. Violazione e falsa applicazione
degli artt. 46 L. n. 47/1985 e 75 DPR 445/200. Infrapetizione (violazione dell’art. 112 c.p.c.)»;
    1. «Sul rigetto del terzo motivo di ricorso e sulla sua fondatezza. Violazione e falsa applicazione
dell’art. 21-novies L. n. 241/1990. Illogicità della motivazione»;
    1. «Sul rigetto del quarto motivo di ricorso e sulla sua fondatezza. Violazione del principio
dell’actus contrarius. Illogicità della motivazione».
  1. Si è costituito in giudizio il Comune di Portofino per chiedere il rigetto dell’appello.
Con memoria depositata l’8 marzo 2024 ha poi ribadito come, sulla base della verificazione disposta nel giudizio n.r.g. 639/2010 e delle affermazioni contenute nelle sentenze del T.a.r. per la Liguria n. 888/2012 e del Consiglio di Stato n. 2562/2013, aveva avuto l’obbligo di procedere all’annullamento del condono a fronte della conclamata falsità delle dichiarazioni concernenti l’epoca di realizzazione delle opere che ne formavano oggetto; quanto al rilascio della sanatoria del 2016, ha giustificato il parere favorevole dell’Ente Parco, seppure limitatamente agli interventi sul manufatto principale, con un sopravvenuto mutamento interpretativo della specifica normativa che ha ritenuto ammissibili gli interventi solo sul patrimonio edilizio esistente, ma non sulle nuove costruzioni.
  1. Sono seguite ulteriori memorie di entrambe le parti.
  2. Alla pubblica udienza del 9 aprile 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
  1. L’appello è infondato.
  2. In via preliminare devono essere richiamati alcuni consolidati principi giurisprudenziali sulla c.d. autotutela doverosa.
    1. Essa consegue di norma all’accertamento di una declaratoria di falsità di documenti o di
dichiarazioni che avevano consentito di ottenere un determinato provvedimento; è pertanto riferita a situazioni, tassativamente individuate dal legislatore ovvero declinate in maniera altrettanto precisa in via pretoria (ciò in aderenza ai notori principi costituzionali che reggono l’azione amministrativa e anche per evitare comportamenti arbitrari dell’Amministrazione finalizzati a sottrarsi alle eventuali responsabilità per un’attività illegittima), in presenza delle quali il potere di riesame dei propri atti da parte della pubblica amministrazione è dovuto, A tale categoria è stata ricondotta anche la previsione di cui all’art. 21-novies, comma 2-bis, della l. n. 241 del 1990, sebbene la giurisprudenza abbia già avuto modo di chiarire come in tale ipotesi debba piuttosto parlarsi di “autotutela doverosa parziale”, proprio ad indicare quei casi in cui sussiste l’obbligo di attivarsi, anche in deroga ai limiti di tempo previsti dal legislatore per l’esercizio dell’autotutela, seppure l’esito non è vincolato. Del resto, il tenore letterale della norma («possono essere annullati», anziché “sono annullati”) rende inequivoca l’intenzione del legislatore di considerare anche l’accertamento penale irrevocabile del falso insufficiente a determinare sempre e comunque l’annullamento dell’atto e di ritenere indispensabile un’attenta attività valutativa da parte dell’amministrazione di tutta la complessiva situazione, tenendo conto delle esigenze di tutela dell’affidamento dell’autore del mendacio o del diretto (e consapevole) beneficiario dello stesso (Cons. Stato, sez. II, 2 novembre 2023, n. 9415).
    1. L’autotutela doverosa parziale, in quanto ricondotta al richiamato comma 2-bis dell’art. 21- novies, è stata introdotta nell’ordinamento dalla l. 7 agosto 2015, n. 124, che ha inserito la norma nel corpo della l. n. 241 del 1990.
In precedenza era stata la giurisprudenza ad avere individuato i casi nei quali l’autotutela era considerata strumento di garanzia di supremi valori ed interessi dell’ordinamento contro la consolidazione degli effetti di un atto illegittimo, seppure non tempestivamente revocato o annullato. Tra questi, veniva fatto rientrare il caso del provvedimento rilasciato sulla base di dichiarazioni non veritiere, a prescindere, peraltro, dalle ragioni di tale non veridicità ovvero dalla, vera o presunta, irrilevanza delle stesse sul contenuto dell’atto poi caducato. In tali ipotesi la necessità dell’intervento dell’Amministrazione è stato ancorato all’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 28 dicembre 2000 che, facendo riferimento alla “decadenza”, evoca un istituto la cui esatta portata è da sempre controversa, stante che pur concretizzandosi in un provvedimento afflittivo, come tale univocamente sanzionatorio, se ne discosta per il mancato rilievo dato all’elemento psicologico della condotta, al pari di quanto accade per l’annullamento d’ufficio, cui pure parte della dottrina tende ad assimilarlo. A tale disposizione si è univocamente fatto riferimento fintanto che la disciplina degli effetti delle dichiarazioni menzognere non è confluita nella legge sul procedimento amministrativo.
  1. Ciò precisato e ricordato che il provvedimento impugnato di cui si discute, emanato il 9 novembre 2013, è governato dalla previsione di cui all’articolo 21-novies della l. 7 agosto 1990, n. 241 nel testo introdotto dall’articolo 14 della l. 11 febbraio 2005, n. 15, e assoggettato pertanto, quanto alle conseguenze, all’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000, può passarsi allo scrutinio dei singoli motivi di censura.
    1. Con la prima doglianza l’interessato contesta l’affermazione secondo la quale la falsa dichiarazione sull’epoca di realizzazione degli abusi sarebbe stata «accertata», sostenendo per converso che laddove sulla stessa non si sarebbe pronunciato alcun giudice, giusta l’esito in rito del contenzioso nel corso del quale è stata disposta la verificazione che la contiene. La finalità non fraudolenta della stessa, ma “neutra” rispetto al regime urbanistico vigente, che non sarebbe ostativo alla sanatoria anche assumendo quale data di realizzazione dell’abuso un’epoca successiva al 1976, renderebbe comunque il mendacio de quo un falso innocuo, come tale irrilevante. Il richiamo, infatti, al Piano Regolatore del Monte di Portofino di quell’anno (1976) sarebbe errato, come dimostrato dall’avvenuto rilascio della sanatoria per gli interventi sul manufatto principale nel 2016, che richiama espressamente quello approvato nel 2002 e modificato nel 2011; né a tale ricostruzione osterebbe l’art. 3 del Piano stesso, stante che il rinvio ivi contenuto ai vincoli di cui all’art. 1 della l. 20 giugno 1935, n. 1251, avrebbe la sola valenza di esplicitare la portata attuativa della stessa tramite il regime edificatorio introdotto dall’Ente locale.
L’assunto non merita favorevole considerazione.
      1. Diversamente da quanto opinato dall’appellante, il puntuale accertamento effettuato dal
Comando provinciale del Corpo forestale dello Stato, cui era stata demandata la verificazione nel corso del procedimento n.r.g. 639/2010, non può essere considerato tamquam non esset per la sola ragione che esso non è confluito in un giudicato sul merito. Come affermato infatti dal Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi sull’appello avverso la sentenza del T.a.r. per la Puglia n. 888/2012, per quanto la sentenza di primo grado non abbia argomentato sugli accertamenti effettuati, «le affermazioni in fatto dei giudici di primo grado riguardo alle conseguenze, sul procedimento di condono, delle dichiarazioni inveritiere a suo tempo rilasciate a corredo dell’stanza di condono [...] sono qualificabili alla stregua di fatti storici e, come tali, ormai ineliminabili (a prescindere dall’esito del giudizio) dal mondo della realtà». Il Comune di Portofino ha dunque correttamente valutato gli effetti di tale obiettivo ed ineliminabile realtà storica, addivenendo alla decisione di «voler procedere all’annullamento del permesso in sanatoria n. 17/1998 per vizi originari di legittimità»: il che risulta coerente con i principi applicabili in materia di autotutela sulla base del quadro normativo dell’epoca, che ravvisava comunque nella falsa dichiarazione il presupposto per l’annullamento d’ufficio dell’atto ottenuto in base alla stessa. La sentenza impugnata richiama condivisibilmente i principi affermati in merito dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato circa la sussistenza o meno di un interesse pubblico in re ipsa all’ autotutela proprio con riferimento al rilascio di sanatorie poi rivelatesi illegittime; è stato infatti riconosciuto che «Se infatti è vero in via generale che il potere della P.A. di annullare in via di autotutela un atto amministrativo illegittimo incontra un limite generale nel rispetto dei principi di buona fede, correttezza e tutela dell’affidamento comunque ingenerato dall’iniziale adozione dell’atto (i quali plasmano il conseguente obbligo motivazionale), è parimenti vero che le medesime esigenze di tutela non possono dirsi sussistenti qualora il contegno del privato abbia consapevolmente determinato una situazione di affidamento non legittimo. In tali casi l’amministrazione potrà legittimamente fondare l’annullamento in autotutela sulla rilevata non veridicità delle circostanze a suo tempo prospettate dal soggetto interessato, in capo al quale non sarà configurabile una posizione di affidamento legittimo da valutare in relazione al concomitante interesse pubblico» (Cons. Stato, A.p. 17 ottobre 2017, n. 8). Tale affermazione non trova alcun limite nella portata fraudolenta o meno del mendacio, ex se irrilevante. L’interesse pubblico tutelato, infatti, è quello alla correttezza dei rapporti tra p.a. e cittadini, che vede nel sistema delle autodichiarazioni l’espressione più tipica, in quanto bilancia l’alleggerimento degli oneri procedurali e la susseguente semplificazione con la richiesta assunzione di responsabilità da parte del privato.
      1. L’appellante tuttavia invoca la sostanziale inutilità del mendacio ai fini dell’ottenimento del condono richiesto: ciò in quanto nessun vincolo di inedificabilità assoluta sarebbe conseguito al Piano regolatore del Monte di Portofino del 1976, né a quello del 2002, modificato nel 2011, econ particolare riferimento agli artt. 19 e 20 di quest’ultimo.
Sennonché, come del resto riconosciuto anche dall’appellante, trattasi di motivazione estranea al contenuto dell’atto impugnato, che fa esclusivo riferimento all’accertata non veridicità della dichiarazione della data di ultimazione delle opere, presa a base sia del parere dell’ente preposto alla tutela del vincolo che della successiva sanatoria del 1998. L’argomento è stato introdotto dal primo giudice non già al fine di effettuare una inammissibile integrazione postuma delle ragioni dell’atto, come sostenuto dalla parte, bensì per confutarne l’assunto della irrilevanza della data di ultimazione dei lavori per come successivamente accertata. Da qui il richiamo alla qualificazione come innocuo o irrilevante del dato falsamente fornito, mutuando dall’omologo istituto del diritto penale un connotato di mancanza di offensività che lo renderebbe privo di conseguenze rispetto all’atto ottenuto, cui avrebbe avuto comunque diritto. A tutto concedere a tale ricostruzione, che contrasta con la natura para-sanzionatoria della decadenza correlata alle dichiarazioni false, ovvero ritenendo che l’interesse pubblico all’annullamento non sia già stato esplicitato con il richiamo alle stesse, resta il fatto che non risulta affatto dimostrata, e neppure semplicemente spiegata dall’appellante, l’invocata inapplicabilità del Piano regolatore del 1976, il cui art. 21 vieta qualsivoglia “nuova edificazione”. Anche a fare riferimento, peraltro, agli artt. 19 e 20 del Piano successivo, che egualmente pongono un chiaro vincolo di inedificabilità assoluta, ribadito dal richiamo ai vincoli di cui alla legge 20 giugno 1935, n. 1251, contenuto nell’art. 3, non si comprende in che modo possa essere superato il divieto di nuove costruzioni, quale sicuramente è quella di cui è causa.
      1. Vero è che con riferimento al regime edificatorio la ricostruzione fornita dal Comune di Portofino non è particolarmente congrua, quanto meno avuto riguardo allo strumento di pianificazione di settore applicabile con certezza ratione temporis: il richiamo, infatti, contenuto nel condono del 2016 alle previsioni del Piano del 2002 e del 2011, giusta la sostanziale sovrapponibilità dei tempi di ultimazione degli abusi, farebbe propendere per la medesima opzione ermeneutica anche in relazione all’annesso agricolo per il quale il condono è stato invece negato.
Né è di aiuto al riguardo la rivendicata autonomia tra i due procedimenti. È indubbio, infatti, che la presentazione di un’ulteriore domanda di condono ai sensi della legge n. 724 del 1994, oltre a quella contemplata ex lege n. 47/1985, comporta l’attivazione di un procedimento parallelo che, fondandosi su una diversa disciplina, non può avere alcuna incidenza sul primo. Ciò in quanto con il c.d. secondo condono edilizio (di cui alla legge n. 724 del 1994) il legislatore ha inteso non soltanto riaprire i termini per l’ottenimento della sanatoria degli abusi edilizi originariamente contemplati dalla legge n. 47 del 1985 (compiuti entro il 1° ottobre 1983) o per l’integrazione della documentazione lacunosa relativa ai procedimenti pendenti, ma anche estendere la sanatoria ad abusi commessi successivamente, purché “ultimati” entro la data del 31 dicembre 1993 (art. 39 della legge n. 724/1994). Le regole applicabili, ferme restando le specificità introdotte dalla norma, restano le medesime e tra esse la necessità che l’Autorità preposta alla tutela del vincolo si esprima sulla base delle regole vigenti al momento in cui è chiamata a dare il parere, fermo restando, tuttavia, il regime edificatorio dell’epoca di effettuazione dell’abuso.
      1. Deve tuttavia rilevarsi che, vuoi che l’autonomia del nuovo procedimento si sia risolta in una
-in verità poco chiara - diversa individuazione della fonte del regime vincolistico, vuoi che il riferimento sia comunque al Piano del 2002 e non a quello del 1976 (cui pare in verità sia corretto riferirsi sulla base di quanto emerge dagli atti di causa), non è stata affatto provata la sanabilità del manufatto in quanto “nuova costruzione”, come tale vietata sia in base al regime previgente che all’attuale. Ad ogni buon conto, esula dal perimetro dell’appello in esame lo scrutinio della legittimità del parere rilasciato dall’Ente Parco in data 12 marzo 2014 nella parte in cui richiama, a torto o a ragione, quali parametri di riferimento, il «Piano del Parco Naturale regionale di Portofino approvato con deliberazione del Consiglio regionale n. 21 del 4 agosto 2011», anziché quello del 1976.
    1. Con il secondo motivo di gravame l’interessato contesta l’applicazione dell’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000, stante che la decadenza dai benefici, cui la norma fa riferimento, non potrebbe essere esteso al rilascio di un titolo edilizio.
      1. Sebbene il termine “benefici” sia sovrapponibile a quello di provvedimenti di attribuzione di benefici economici di cui all’art. 21-novies, comma 1, della l. n. 241 del 1990, ma non alle
«autorizzazioni», categoria cui vengono ricondotti anche i titoli edilizi, e sebbene un tale distinguo terminologico trova conferma nelle modifiche apportate all’art.75 dall’art. 264, comma 2, lett. a), del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, che parlando di «contributi, finanziamenti e agevolazioni» fa riferimento solo a benefici economici (nella specie quelli introdotti nel periodo della pandemia per fronteggiare la contingenza di crisi economica), tuttavia l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (Cons. Stato, A.P., 11 settembre 2020, n. 18) ha evidenziato che col termine decadenza si individua piuttosto una vicenda pubblicistica estintiva, ex tunc, di una posizione giuridica di vantaggio (c.d. beneficio), lato sensu intesa. Essa si diversifica dall’autotutela: a) per l’espressa e specifica previsione, da parte della legge, non sussistendo, in materia di decadenza, una norma generale quale quelle prevista dall’art. 21- nonies della legge 241/90 che ne disciplini presupposti, condizioni ed effetti; b) per la tipologia del vizio, more solito individuato nella falsità o non veridicità degli stati e delle condizioni dichiarate dall’istante, o nella violazione di prescrizioni amministrative ritenute essenziali per il perdurante godimento dei benefici, ovvero, ancora, nel venir meno dei requisiti di idoneità per la costituzione e la continuazione del rapporto; c) per il carattere vincolato del potere, una volta accertato il ricorrere dei presupposti.
      1. Per tale ragione all’art. 75 del d.P.R. n. 445/2000 è stata sempre riconosciuta la natura di
«regola generalissima per sanzionare l’ottenimento d’un beneficio (di qualunque natura, foss’anche solo ampliativo del jus aedificandi) solo grazie ad una non veritiera rappresentazione dei presupposti di fatto su cui esso si basa ed altrimenti non dovuto» (Cons. Stato, sez. VI, 31 dicembre 2019, n. 8920). In assenza di un regime specifico, ad essa si è fatto riferimento per giustificare la caducazione (doverosa, appunto) del beneficio ampliativo cui è riconducibile anche la sanatoria edilizia. Ne sono peraltro conseguite letture rigorose a discapito del privato, che da un lato hanno esteso il concetto di «rappresentazione di fatti», riconducendovi anche le omissioni dichiarative, dall’altro hanno consentito l’annullamento a prescindere dalla previa cristallizzazione del falso in un giudicato penale.
    1. Le considerazioni svolte sono sufficienti a respingere anche il terzo motivo di appello, basato sulla tardività dell’esercizio dell’autotutela, essendo l’atto del 2013, laddove quello annullato risale addirittura al 1998; tardività accentuata, secondo la ricostruzione dell’appellante, dalla circostanza che già nel 2010 il Comune di Portofino aveva evaso negativamente l’istanza del signor Camillo Marchese, ritenendo insussistente l’interesse pubblico all’annullamento.
      1. In effetti nel sistema attuale di regolazione dell’istituto, come chiarito, l’ottenimento di un atto sulla base di dichiarazioni non veritiere giustifica la deroga alla tempistica di adozione dell’annullamento. Nella specie il termine non era ancora normativamente predeterminato, ma andava ricondotto alla nozione di “ragionevolezza” genericamente utilizzata dal legislatore.
Tale richiamo non stava a significare che il decorso di un lasso temporale particolarmente ampio consumasse in via definitiva il potere di riesame da parte dell’amministrazione, quanto – piuttosto – che tale circostanza imponesse una sempre più accorta valutazione fra l’interesse pubblico al ritiro dell’atto illegittimo e il complesso delle altre circostanze e interessi rilevanti (in primis, quello del destinatario del provvedimento illegittimo – in ipotesi a lui favorevole il quale maturava, per effetto del decorso del tempo, un affidamento legittimo alla permanenza dell’assetto di interessi delineato dal provvedimento medesimo). Ora, una valutazione in termini astratti del tempo trascorso tra il rilascio del condono e il suo annullamento sembrerebbe ictu oculi ben oltre il concetto di ragionevolezza, per quanto lo si voglia dilatare: come chiarito sempre dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella richiamata sentenza n. 8/2017, «la locuzione “termine ragionevole” richiama evidentemente un concetto non parametrico ma relazionale, riferito al complesso delle circostanze rilevanti nel caso di specie». Essa è cioè «strettamente connessa a quella di esigibilità in capo all’amministrazione, ragione per cui è del tutto congruo che il termine in questione (nella sua dimensione “ragionevole”) decorra soltanto dal momento in cui l’amministrazione è venuta concretamente a conoscenza dei profili di illegittimità dell’atto. In particolare, in caso di titoli abilitativi rilasciati sulla base di dichiarazioni oggettivamente non veritiere (e a prescindere dagli eventuali risvolti di ordine penale), laddove la fallace prospettazione abbia sortito un effetto rilevante ai fini del rilascio del titolo, è parimenti congruo che il termine “ragionevole” decorra solo dal momento in cui l’amministrazione ha appreso della richiamata non veridicità».
      1. Nel caso di specie il Comune di Portofino è venuto a conoscenza della portata non veridica
delle affermazioni delle parti a seguito del deposito della verificazione nell’ambito del procedimento n.r.g. 639/2010, e ha provveduto in merito a pochi mesi di distanza dalla pronuncia del Consiglio di Stato (del 10 maggio 2013) che ne ha ribadito la portata di realtà fattuale divenuta ineludibile, da valutare nel procedimento di condono. Non vi è dunque ragione alcuna di dubitare dell’avvenuto rispetto del termine ragionevole, avuto riguardo da tale acquisita conoscenza.
    1. Il mancato coinvolgimento della Commissione edilizia integrata nell’adozione dell’annullamento de quo è infine privo di pregio stante che lo stesso è motivato sulla sussistenza della dichiarazione falsa e non sulla operatività di vincoli, o su valutazioni progettuali, con riferimento ai quali ridetto organismo si era pronunciato. Come già affermato dalla Sezione (Cons. Stato, sez. II, 5 agosto 2019, n. 5517) non risulta necessaria l’acquisizione, ai fini del contrarius actus, di un nuovo parere da parte della Commissione edilizia integrata, in quanto «É invero assodato in giurisprudenza che, in base al principio del contrarius actus, qualora in sede di rilascio di una concessione edilizia sia stato acquisito il parere della Commissione edilizia, tale parere vada acquisito anche all’atto dell’annullamento d'ufficio del suddetto titolo abilitativo, (cfr. al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, 12 novembre 2003, n. 7218, citata dal medesimo appellante, nonché ad es., più risalente nel tempo, Cons., Stato, sez. V, 18 agosto 1998 , n. 1272) fatte peraltro salve le ipotesi in cui il provvedimento di autotutela sia supportato da evidenti ragioni formali, ovvero da ragioni meramente logico-giuridiche e non, quindi, tecnico-edilizie (cfr., Cons. Stato, sez. V, 12 maggio 2011, n. 2821; sez. IV, 31 marzo 2009, n. 1909)». Nella specie tale ultimo tipo di ragioni per certo non sussisteva.
  1. In conclusione l’appello deve essere respinto.
  2. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l’appellante al pagamento in favore del Comune di Portofino delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in €. 5.000,00 (cinquemila), oltre IVA, CPA ed altri accessori di legge, se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Carlo Saltelli, Presidente Francesco Frigida, Consigliere Antonella Manzione, Consigliere, Estensore Francesco Guarracino, Consigliere Ugo De Carlo, Consigliere