Cass. pen., Sez. I, Sent., 16 marzo 2024, n. 15862

La prima sezione della Corte di cassazione ha rivisto la valutazione dell'elemento soggettivo del reato. È stata chiarita la comprensione del dolo, un fenomeno interiore ricostruito attraverso indizi, evidenziando la difficoltà di dimostrare gli aspetti interni dell'atto criminale. Nel contesto del tentato omicidio, non è necessario dimostrare un dolo specifico di tipo intenzionale, poiché il tentativo punibile può sussistere anche con un dolo diretto di tipo alternativo, pur rimanendo incompatibile con il dolo eventuale. Secondo un principio consolidato dalla giurisprudenza, si possono individuare differenti gradi di intensità della volontà dolosa, con l'accettazione dell'evento che varia in base alla percezione della sua probabilità di accadere. Il dolo diretto si distingue per l'accettazione e la diretta ricerca dell'evento, mentre il dolo eventuale si configura quando l'evento è previsto come altamente probabile ma non necessario. In questa prospettiva interpretativa, per riconoscere il dolo diretto di omicidio non è richiesta la previsione e la volontà esplicita di provocare la morte come unica e certa conseguenza, ma è sufficiente che essa sia prevista e voluta come altamente probabile in una serie di dinamiche lesive che possono includere anche lesioni. Il cosiddetto dolo alternativo, che contempla un secondo evento altamente probabile accanto al primo, viene considerato come dolo diretto. La distinzione tra dolo diretto di tipo alternativo e dolo eventuale richiede un'analisi attenta delle manifestazioni esteriori, considerando indicatori significativi dell'intenzione dell'agente. In conclusione, la sentenza ha fornito chiarezza sulla valutazione dell'elemento soggettivo del reato, ribadendo la necessità di considerare attentamente le circostanze e gli indicatori rilevanti per determinare la presenza e la qualificazione del dolo nell'ambito di un'azione criminale.

Cass. pen., Sez. I, Sent., (data ud. 10/01/2024) 16/04/2024, n. 15862     REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE   Motivi della decisione
  1. Il ricorso di A.A. è inammissibile e il ricorso di B.B. è infondato.
  2. Nel due motivi del ricorso proposto nell' interesse di A.A. la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della recidiva e quanto alla determinazione della pena.
Le doglianze, formulate anche nei termini della violazione di legge ma che in effetti afferiscono alla logicità e alla completezza della motivazione, sono manifestamente infondate. La sentenza impugnata, con riferimento alla misura della pena inflitta all' imputato, infatti, ha fatto buon governo della legge penale e ha evidenziato le ragioni che hanno guidato, nel rispetto del principio di proporzionalità, l'esercizio del potere discrezionale ex artt. 132 e 133 cod. pen. della Corte di merito. In ordine al riconoscimento della recidiva, nella sentenza si dà ampio conto della valutazione effettuata e la motivazione sul punto, fondata sulla sussistenza di precedenti specifici anche caratterizzati dall'uso di armi, quali una rapina, più reati di lesioni e un tentato omicidio, (cfr. pag. 15 della sentenza impugnata), è conforme ai principi pacificamente enucleati dalla giurisprudenza di legittimità e risulta coerente e adeguata. Ad analoghe conclusioni si deve pervenire quanto alla determinazione della pena. La motivazione complessivamente resa in ordine al trattamento sanzionatorio, con i riferimenti alla gravità dei fatti, alla lesione permanente inflitta e alla personalità complessiva del ricorrente, infatti, è adeguata anche sul punto e non è pertanto sindacabile in questa sede. 2.2. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna di A.A. al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
  1. Nei motivi del ricorso proposto nell' interesse di B.B. la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 52, 56 e 575 cod. pen. evidenziando che la conclusione della Corte territoriale non terrebbe nella dovuta considerazione alcuni elementi -quanto si desumerebbe dalle riprese di una delle telecamere e il contenuto dell'annotazione redatta dalla polizia
giudiziaria- dai quali emergerebbe che la dinamica dei fatti sarebbe diversa da quella indicata dai giudici di merito nei termini della distinzione in due momenti dell'azione che, invece, sarebbe stata unica. Sotto altro profilo, poi, il ricorrente rileva che la qualificazione giuridica attribuita ai fatti sarebbe errata in quanto nel caso specifico, diversamente da quanto ritenuto, correttamente considerata la situazione concitata nel quale si sono svolti i fatti e la necessità che l'imputato aveva di difendersi, non sarebbe configurabile il dolo diretto ma, al più, il dolo eventuale, incompatibile con il tentativo. Le doglianze sono infondate.
    1. La motivazione resa dalla Corte territoriale, che pure ha ritenuto di discostarsi in parte dalla ricostruzione cui era pervenuto il giudice di primo grado, risulta coerente agli elementi acquisiti e ciò anche se non vi è uno specifico riferimento alla videoripresa effettuata dalla telecamera posta nel locale in cui l'imputato si era fermato a prendere una bottiglia d'acqua due minuti prima.
A fronte della valutazione complessiva delle prove acquisite, nello specifico le dichiarazioni rese dai testimoni C.C. e, soprattutto, D.D., infatti, la ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza, secondo la quale l'azione si sarebbe sviluppata in due momenti distinti, appare logica e comunque compatibile con i tempi pure desumibili dalle immagini riprese dalla telecamera. Sul punto, come coerentemente ritenuto a pagina 7 e nell' inizio di pagina 8 della sentenza impugnata, risulta decisiva proprio la testimonianza del secondo teste D.D., amico dell' imputato, che ha descritto di avere assistito al momento in cui il ricorrente ha estratto il coltello e i due contendenti sono caduti a terra e si sono affrontati, dando così conto che questa fase era necessariamente separata e distinta dalla seconda che è stata rappresentata dagli agenti, sopravvenuti quando lo stesso teste, vedendoli arrivare con la coda dell'occhio, si era allontanato (oltre alle pagine in precedenza indicate cfr. anche pag. 10 della sentenza di primo grado). Con lo specifico e puntuale riferimento all'annotazione redatta dalla polizia giudiziaria, d'altro canto, i secondi giudici hanno coerentemente specificato quanto avvenuto in questo diverso segmento dell'azione, nel quale gli agenti hanno assistito a una fase successiva e ulteriore rispetto a quella descritta dal testimone. Quella cioè in cui A.A. non è stato attinto da alcun fendente quanto, piuttosto, non senza difficoltà, è stato fermato perché aveva ha aggredito B.B. con una bottiglia e un coltello (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata). 3.1.2. L'elemento "temporale" evidenziato dalla difesa facendo riferimento ai fotogrammi estrapolati dalla telecamera non risulta di per sé incompatibile con la conclusione cui è pervenuta la Corte territoriale e, pertanto, la mancata esplicita considerazione dello stesso da parte del giudice di merito non determina alcun vizio. La denunzia di minime incongruenze argomentative o circa l'omessa esposizione di elementi di valutazione che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione (ma che non siano inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisività), infatti, non può dar luogo all'annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto. Ciò in quanto, al contrario, è solo l'esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi, oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell'impianto argomentativo della motivazione
    1. Ad analoghe conclusioni si deve pervenire quanto alla ritenuta sussistenza del dolo alternativo, correttamente ritenuto compatibile con il dolo d'impeto.
      1. Nel delitto tentato -fattispecie caratterizzata dalla punibilità di atti che, per definizione, non hanno raggiunto lo scopo perseguito dall'agente e tipizzato dal legislatore nella norma incriminatrice di parte speciale- si pone il duplice problema di individuare sia l’idoneità e univocità in fatto degli atti (da valutarsi ex ante e in concreto, secondo la prospettiva dell'agente) che la reale intenzione perseguita dall'autore del fatto.
In ordine al secondo aspetto, proprio in virtù della mancata realizzazione dell'evento, la verifica appare particolarmente delicata e la riconoscibilità di un tentativo punibile impone la logica e coerente individuazione di 'segni esteriori' della condotta che, in rapporto alle circostanze del caso concreto, siano idonei, attraverso una catena inferenziale solida, di dedurre la presenza del necessario elemento psicologico. Il dolo, infatti, è un fenomeno interiore (costituito dalla rappresentazione e dalla volontà della condotta e di determinare l'evento preso di mira) che si ricostruisce necessariamente in via indiziaria, attraverso la valorizzazione di indicatori fattuali capaci di sostenere l'opzione ricostruttiva di sussistenza e di qualificazione dello stesso in cui si evidenzia che le difficoltà connesse alla dimostrazione di un dato "così poco estrinseco" come l'atteggiamento interiore non possono dar luogo a schemi presuntivi, ma postulano l'adozione di un ragionamento puramente indiziario "dovendosi inferire fatti interni o spirituali attraverso un procedimento che parte dall' id quod plerumque accidit e considera le circostanze esteriori, caratteristiche del caso concreto, che normalmente costituiscono l'espressione o accompagnano o sono comunque collegate agli stati psichici”.
      1. L'analisi relativa alla ricorrenza del dolo nel tentato omicidio non deve necessariamente approdare alla ricostruzione di un dolo specifico di tipo intenzionale, posto che il tentativo punibile è tale anche in presenza di dolo diretto di tipo alternativo, ferma restando la ritenuta incompatibilità tra tentativo punibile e dolo eventuale.
Secondo il principio risalente a Sez. U, n. 748 del 12/10/1993, dep. 1994, Cassata, per cui in tema di elemento soggettivo del reato, possono individuarsi vari livelli crescenti di intensità della volontà dolosa e, quindi, nel caso di azione posta in essere con accettazione dell'evento, l'autore può manifestare una adesione di volontà, maggiore o minore, a seconda della considerazione effettuata in termini di effettiva e concreta probabilità di verificazione dell'evento. Nel caso di evento ritenuto altamente probabile o certo, l'autore non si limita ad accettarlo come conseguenza accessoria ma di fatto lo vuole e ciò con un’intensità maggiore di quelle indicate in precedenza. Se l'evento, oltre che accettato, è direttamente perseguito, d'altro canto, la volontà si colloca in un ulteriore livello di gravità e può distinguersi al più tra un evento voluto come mezzo necessario per raggiungere uno scopo finale e un evento perseguito come scopo finale. Il dolo, quindi, va qualificato come eventuale solo nel caso di accettazione dell'evento, mentre negli altri casi indicati va qualificato come dolo diretto e, nell' ipotesi in cui l'evento è perseguito come scopo finale, come intenzionale. In tale prospettiva ermeneutica, pertanto, per esservi dolo diretto di omicidio non è necessario che l'evento morte sia previsto e voluto come unica e certa conseguenza della condotta ma è sufficiente che detto evento sia previsto e voluto come conseguenza altamente probabile nell'ambito di una dinamica lesiva che includa anche, in via cumulativa e alternativa, l'evento di lesioni. Il c.d. dolo alternativo, infatti, è dolo diretto in quanto espressione di un atteggiamento volitivo che include, accanto a un primo evento preso di mira, un secondo evento altamente probabile che è quindi previsto anch'esso come scopo della condotta e non è per tale ragione meramente accettato come conseguenza accessoria o ulteriore. La sottile linea di demarcazione che esiste tra il dolo diretto di tipo alternativo e il dolo eventuale, quindi, va identificata di volta in volta facendo riferimento alle concrete manifestazioni esteriori, prendendo in esame ogni indicatore rilevante dell'effettivo elemento psicologico dell'agente come, a titolo di esempio, nel tentato omicidio, la potenzialità dell'azione lesiva, desumibile dalla sede corporea attinta, dall' idoneità dell'arma impiegata, nonché dalle modalità dello stesso atto lesivo.
      1. Nel caso di specie la Corte territoriale si è correttamente conformata ai criteri indicati.
Con il riferimento al mezzo utilizzato (un coltello con una lama di lunghezza pari a 7 cm), alle modalità della condotta (caratterizzata da diversi fendenti), e alla parte del corpo attinta tra le altre (il collo), infatti, il giudice di merito ha dato adeguato e coerente conto della corretta applicazione dei principi enucleati dalla giurisprudenza di legittimità quanto alla sussistenza del dolo alternativo, pure nella specie del dolo d' impeto con questo compatibile.
    1. Il rigetto del ricorso proposto nell' interesse di B.B. comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso di A.A. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Rigetta il ricorso di B.B. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 10 gennaio 2024. Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2024.