Cons. Stato, Sez. V, 26 luglio 2024, n. 6726
La procedura di project financing è piuttosto complessa ed implica “l’esercizio di poteri amministrativi del tutto interni”. Si tratta in particolare di materia di giurisdizione esclusiva (più da vicino: concessione di costruzione e gestione di opera pubblica e di concessione di servizi pubblici, come anche evidenziato da Cass. Civile, sez. un., 27 novembre 2019, n. 31027) ove si assiste, in ogni caso, alla “spendita di poteri amministrativi”. Si innesta in queste ipotesi, infatti, une ben determinata “relazione procedimentale” e dunque anche “un sicuro e formalizzato procedimento amministrativo”: di qui la “generale qualificazione pubblicistica” di un siffatto procedimento che “non è certo attenuata … dalla più ampia discrezionalità delle scelte della PA”. Discrezionalità che dunque implica “una situazione di potere dell’amministrazione” che coinvolge “anche diritti soggettivi” quali quelli la cui violazione viene in questa sede invocata (id est: libertà negoziale). La responsabilità precontrattuale della p.a. non sorge per il sol fatto che essa abbia deciso o meno di avviare e/o concludere la procedura di project financing, ma si determina nel momento in cui il privato può effettivamente vantare un affidamento obiettivamente meritevole di tutela, dimostrando di non avere ‘colpevolmente’ contribuito a creare il proprio affidamento (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 agosto 2023, n. 7927); in base ad un orientamento consolidato (ribadito, da ultimo, da Cons. Stato, V, 11 gennaio 2021, n. 368; cfr. anche Id., V, 11 gennaio 2018, n. 111), nel caso di mancata conclusione del procedimento di project financing sussiste la responsabilità precontrattuale dell'Amministrazione che, pur non adottando provvedimenti illegittimi, tenga un comportamento non ispirato al canone di correttezza e buona fede e, perciò, lesivo delle legittime aspettative ingenerate nel contraente privato ovvero della ragionevole convinzione circa il buon esito delle trattative (così, Cons. Stato, sez. V, 12 agosto 2021, n. 5870); sussiste la responsabilità precontrattuale dell'amministrazione nel caso di mancata conclusione del procedimento di project financing, responsabilità che nasce dal fatto che il soggetto pubblico, pur non adottando provvedimenti illegittimi, tiene un comportamento illecito, in quanto lesivo delle legittime aspettative ingenerate nel contraente privato ovvero della ragionevole convinzione del danneggiato circa il buon esito delle trattative. Tale responsabilità va riconosciuta nel caso in cui una P.A., prima pronunci la dichiarazione di pubblico interesse- approvando il progetto proveniente dal promotore- e successivamente annulli d'ufficio la stessa per una diversa valutazione sulla convenienza economica del ricorso allo strumento della finanza di progetto e, tanto, anche in presenza della legittimità del provvedimento di autotutela (si veda Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 111). Prima di soffermare l’attenzione sull’aspetto centrale, ovvero sulla responsabilità amministrativa derivante da comportamenti amministrativi cd. in senso stretto della P.A., perché espressivi di potere pubblico, rispetto allo specifico istituto del project financing, invero, i Giudici hanno in primis ritenuto sussistere la giurisdizione del g.a. richiamando le parole della Cassazione civile sentenza n. 30712 del 2022, secondo cui: “La procedura di project financing è piuttosto complessa ed implica “l’esercizio di poteri amministrativi del tutto interni”. Si tratta in particolare di materia di giurisdizione esclusiva (più da vicino: concessione di costruzione e gestione di opera pubblica e di concessione di servizi pubblici, come anche evidenziato da Cass. Civile, sez. un., 27 novembre 2019, n. 31027) ove si assiste, in ogni caso, alla “spendita di poteri amministrativi”. Si innesta in queste ipotesi, infatti, una ben determinata “relazione procedimentale” e dunque anche “un sicuro e formalizzato procedimento amministrativo”: di qui la “generale qualificazione pubblicistica” di un siffatto procedimento che “non è certo attenuata … dalla più ampia discrezionalità delle scelte della PA”. Discrezionalità che dunque implica “una situazione di potere dell’amministrazione” che coinvolge “anche diritti soggettivi” quali quelli la cui violazione viene in questa sede invocata (id est: libertà negoziale). Come anche affermato dalla Corte di cassazione, sezioni unite, nell’ordinanza 28 aprile 2020, n. 8236, si tratta in questi casi non di “mero comportamento” ma di “comportamento amministrativo” in senso stretto, ossia di materie non solo generalmente attratte nella giurisdizione esclusiva del GA ma ove la pubblica amministrazione agisce, ad ogni buon conto, attraverso il chiaro esercizio di poteri autoritativi (cfr. Corte cost., sentenza n. 191 del 2006).”; presupposto imprescindibile, invero, affinché la giurisdizione esclusiva possa considerarsi legittima secondo la innanzi indicata decisione della Consulta, oltre che della precedente n. 204/2004. Tanto premesso, e passando ad analizzare il merito della questione, il Collegio rileva come la giurisprudenza amministrativa in tema di responsabilità da comportamento scorretto abbia, ormai, affermato che: i)“anche nello svolgimento dell'attività autoritativa, l'amministrazione è tenuta a rispettare non soltanto le norme di diritto pubblico (la cui violazione implica, di regola, l'invalidità del provvedimento e l'eventuale responsabilità da provvedimento per lesione dell'interesse legittimo), ma anche le norme generali dell'ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza, la violazione delle quali può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull'interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell'altrui scorrettezza (Cons. Stato, Ad. plen., n. 5/2018, cit.; Cons. Stato, VI, 6 febbraio 2013, n. 633; IV, 6 marzo 2015, n. 1142; Cons. Stato, Ad. plen., 5 settembre 2005, n. 6; Cass. civ., Sez. Un., 12 maggio 2008, n. 11656; Cass. civ., Sez. I, 12 maggio 2015, n. 9636; 3 luglio 2014, n. 15250)”; ii) secondo l'indirizzo ribadito dall'Adunanza plenaria (Cons. Stato, Ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5), “la responsabilità precontrattuale richiede non solo la buona fede soggettiva del privato, ma anche che l'affidamento incolpevole risulti leso da una condotta oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e lealtà dell'amministrazione, e che tale oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia anche soggettivamente imputabile all'amministrazione stessa”. Quanto sopra si riflette in punto di termini per avanzare l’azione: “…trattandosi di diritto soggettivo (e non di interesse legittimo) non trova applicazione il termine decadenziale di 120 giorni di cui all’art. 30, comma 3, c.p.a. (che riguarda la sola “lesione di interessi legittimi” e non anche di diritti soggettivi) ma, piuttosto, il termine di prescrizione che, vuoi che si acceda alla tesi della natura aquiliana della responsabilità precontrattuale (cfr. Cons. Stato, Sez. VI , 21 maggio 2014, n. 2610), vuoi che si acceda alla tesi della natura contrattuale di tale responsabilità (cfr. Cass. civ., Sez. Un., ord. 28 aprile 2020, n. 8236 nonché Cass. civile, Sez. I, 12 luglio 2016, n. 14188, secondo cui la mancata approvazione del contratto è fonte di responsabilità precontrattuale da responsabilità relazionale ossia da "contatto sociale qualificato"), nel caso di specie comunque risulta rispettato”. Volgendo lo sguardo allo specifico istituto del project financing, poi, la Corte, richiamando la posizione della giurisprudenza formatasi sul punto, afferma che: “la responsabilità precontrattuale della p.a. non sorge per il sol fatto che essa abbia deciso o meno di avviare e/o concludere la procedura di project financing, ma si determina nel momento in cui il privato può effettivamente vantare un affidamento obiettivamente meritevole di tutela, dimostrando di non avere ‘colpevolmente’ contribuito a creare il proprio affidamento (Cons. Stato, Sez. V, 24 agosto 2023, n. 7927); in base ad un orientamento consolidato (ribadito, da ultimo, da Cons. Stato, Sez. V, 11 gennaio 2021, n. 368; cfr. anche Id., 11 gennaio 2018, n. 111), nel caso di mancata conclusione del procedimento di project financing sussiste la responsabilità precontrattuale dell'Amministrazione che, pur non adottando provvedimenti illegittimi, tenga un comportamento non ispirato al canone di correttezza e buona fede e, perciò, lesivo delle legittime aspettative ingenerate nel contraente privato ovvero della ragionevole convinzione circa il buon esito delle trattative (Cons. Stato, Sez. V, 12 agosto 2021, n. 5870); sussiste la responsabilità precontrattuale dell'amministrazione nel caso di mancata conclusione del procedimento di project financing, responsabilità che nasce dal fatto che il soggetto pubblico, pur non adottando provvedimenti illegittimi, tiene un comportamento illecito, in quanto lesivo delle legittime aspettative ingenerate nel contraente privato ovvero della ragionevole convinzione del danneggiato circa il buon esito delle trattative. Tale responsabilità va riconosciuta nel caso in cui una P.A., prima pronunci la dichiarazione di pubblico interesse- approvando il progetto proveniente dal promotore- e successivamente annulli d'ufficio la stessa per una diversa valutazione sulla convenienza economica del ricorso allo strumento della finanza di progetto e, tanto, anche in presenza della legittimità del provvedimento di autotutela (Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 111).” Ancora, è stato affermato che: “le regole di legittimità amministrativa e quelle di correttezza operano su piani distinti, uno relativo alla validità degli atti amministrativi e l'altro concernente invece la responsabilità dell'amministrazione e i connessi obblighi di protezione in favore della controparte. Oltre che distinti, i profili in questione sono autonomi e non in rapporto di pregiudizialità, nella misura in cui l'accertamento di validità degli atti impugnati non implica che l'amministrazione sia esente da responsabilità per danni nondimeno subiti dal privato destinatario degli stessi” (Cons. Stato, Ad. plen., 29 novembre 2021, n. 21). Ed ancora che: “A conferma della descritta evoluzione si pone l'art. 1, comma 2-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241, il quale dispone che: "(i) rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede” (Cons. Stato, Ad. plen., 29 novembre 2021, n. 21, cit.). Infine che: “La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione può derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all'esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, ai doveri di correttezza e buona fede. (Cons. Stato, Ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5)” (così Cons. Stato, Sez. V, 13 luglio 2020, n. 4514). In questa direzione, pertanto: “non viene in rilievo l’attività provvedimentale della p.a. (l’esercizio diretto ed immediato del potere) bensì il comportamento (collegato in via indiretta e mediata all’esercizio del potere) complessivamente tenuto dalla stazione appaltante nel corso della gara, di modo che rilevano le regole di diritto privato la cui violazione non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma a responsabilità; anche per la p.a. le regole di correttezza e buona fede così come per i privati sono regole di responsabilità” (Cons. Stato, Sez. V, 13 luglio 2020, n. 4514, cit.). Con specifico riguardo al caso oggetto di decisione, poi, la Sezione ritiene che la revoca sia in sé legittima ma il comportamento complessivamente tenuto dal Comune appellato non è risultato improntato alla massima lealtà e correttezza, avendo taciuto per quasi quatto anni la sussistenza di cause seriamente ostative alla definizione della procedura avviata nel 2007.
Pubblicato il 26/07/2024
N. 06726/2024REG.PROV.COLL.
N. 03640/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3640 del 2022, proposto da
Co.T.Im. S.r.l. Costruzioni Turistiche Immobiliari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Roberto Damonte, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di San Bartolomeo al Mare, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Matteo Borello, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Marco Gardin in Roma, via Laura Mantegazza n. 24; per la riforma della sentenza del TAR per la Liguria, Sez. I, 25/01/2022 n. 62, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di San Bartolomeo al Mare; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 maggio 2024 il Cons. Massimo Santini e uditi per le parti gli avvocati Damonte e Gazza, in sostituzione di Borello; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Nel 2005 veniva avviata la procedura di project financing per la ristrutturazione e ampliamento della casa comunale, per la riqualificazione dell’asilo infantile nonché per la realizzazione di un parcheggio pubblico e di un parcheggio multipiano. Soggetto promotore era COTIM, società immobiliare, odierna appellante. In data 20 settembre 2007 veniva dichiarato il pubblico interesse cui non seguiva tuttavia la gara per la assegnazione della relativa concessione. Nel 2011 veniva chiesta, dalla stessa amministrazione comunale, la disponibilità ad inserire anche una quota di edilizia ERP nell’ambito del progetto sopra descritto: integrazione questa che veniva subito accettata da COTIM con nota del 30 novembre 2011 (con cui si trasmetteva il PEF aggiornato). La procedura non aveva tuttavia ulteriore seguito. Solo dopo numerosi solleciti, con deliberazione n. 123 del 29 ottobre 2015 veniva disposta la revoca della precedente dichiarazione di pubblico interesse del 2007 per i seguenti motivi: a) il Piano urbanistico comunale del 2013 prevedeva una diversa localizzazione degli uffici del comune; b) il patto di stabilità (DL n. 201 del 2011) aveva nel frattempo eliso la possibilità per il comune di compartecipare alla spesa complessiva (per una somma pari a 400mila euro). 2. A questo punto COTIM, pur prestando acquiescenza alla suddetta revoca, invocava tuttavia la responsabilità precontrattuale della PA per omessa tempestiva informazione circa l’impossibilità di conseguire la concessione (sia per ragioni urbanistiche, sia per ragioni finanziarie) e chiedeva dinanzi al TAR Liguria il risarcimento dei danni patiti (corrispondente al c.d. interesse negativo, ossia alle spese affrontate per il progetto e per la sua iniziale procedura, per una somma complessivamente pari ad oltre 58mila euro). 3. Il giudice di primo grado, tuttavia, rigettava il gravame per violazione del termine di 120 giorni di cui all’art. 30, comma 3, c.p.a. (ed infatti: la delibera di revoca era di ottobre 2015 mentre il ricorso per il risarcimento era stato notificato a dicembre 2018). Né potevano essere invocati i presupposti per la corresponsione dell’indennizzo di cui all’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990 dal momento che, sempre secondo il giudice di primo grado, la “dichiarazione di pubblico interesse del project financing” non comporta la attribuzione di “vantaggi a titolo definitivo”, trattandosi di fase “semplicemente prodromica all'indizione di una gara”. 4. La decisione di primo grado formava oggetto di appello per i motivi di seguito indicati: 4.1. Erroneità nella parte in cui il giudice di primo grado non avrebbe considerato che “non ci si duole di un “comportamento mero”, tale da determinare la giurisdizione del g.o.. Quello che viene contestato non è infatti una condotta avulsa dall'esercizio del potere, ma una condotta procedimentale, ossia la modalità con cui il potere è stato in concreto esercitato e che si assume inosservante dei doveri di buona fede e correttezza”. In particolare vi sarebbe stata violazione del “dovere di informazione, che è esplicazione del dovere di correttezza e buona fede”. In sostanza si sarebbe trattato di “comportamento ondivago, contraddittorio, superficiale, gravemente omissivo sul piano informativo”, tale da costituire grave violazione altresì del fondamentale dovere di leale collaborazione. 4.2. Erroneità nella parte in cui non sarebbe stato dunque considerato che non si tratterebbe di invocare un “danno da provvedimento” ossia “per lesione di interessi legittimi” (presupposto, questo, affinché trovi applicazione il termine di 120 giorni di cui all’art. 30, comma 3, c.p.a.) quanto piuttosto una responsabilità di tipo precontrattuale la quale postula la sussistenza di un diritto soggettivo. 4.3. Erroneità nella parte in cui non è stato riconosciuto il risarcimento da responsabilità contrattuale in favore della società appellante, né alcun indennizzo ai sensi dell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990. 5. Si costituiva in giudizio l’appellata amministrazione comunale la quale, dopo avere nuovamente sollevato eccezione di giurisdizione del GA, chiedeva comunque il rigetto del gravame mediante articolate controdeduzioni che, più avanti, formeranno oggetto di specifica trattazione. 6. Alla pubblica udienza del 30 maggio 2024 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso in appello veniva infine trattenuto in decisione. 7. Tutto ciò premesso l’appello è fondato nei sensi e nei limiti di cui appresso. 8. Innanzitutto sussiste la giurisdizione del GA (eccezione, questa, nuovamente sollevata dalla difesa dell’amministrazione comunale) in quanto, come affermato dalle sezioni unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 30712 del 18 ottobre 2022 (pressoché in termini): la procedura di project financing è piuttosto complessa ed implica “l’esercizio di poteri amministrativi del tutto interni”. Si tratta in particolare di materia di giurisdizione esclusiva (più da vicino: concessione di costruzione e gestione di opera pubblica e di concessione di servizi pubblici, come anche evidenziato da Cass. Civile, sez. un., 27 novembre 2019, n. 31027) ove si assiste, in ogni caso, alla “spendita di poteri amministrativi”. Si innesta in queste ipotesi, infatti, une ben determinata “relazione procedimentale” e dunque anche “un sicuro e formalizzato procedimento amministrativo”: di qui la “generale qualificazione pubblicistica” di un siffatto procedimento che “non è certo attenuata … dalla più ampia discrezionalità delle scelte della PA”. Discrezionalità che dunque implica “una situazione di potere dell’amministrazione” che coinvolge “anche diritti soggettivi” quali quelli la cui violazione viene in questa sede invocata (id est: libertà negoziale). Come anche affermato dalla Corte di cassazione, sezioni unite, nell’ordinanza 28 aprile 2020, n. 8236, si tratta in questi casi non di “mero comportamento” ma di “comportamento amministrativo” in senso stretto, ossia di materie non solo generalmente attratte nella giurisdizione esclusiva del GA ma ove la pubblica amministrazione agisce, ad ogni buon conto, attraverso il chiaro esercizio di poteri autoritativi (cfr. Corte cost., sentenza n. 191 del 2006). Da quanto sopra complessivamente detto consegue il rigetto della specifica riproposta eccezione di giurisdizione. 9. Nel merito, quanto al primo motivo di appello si invoca una “responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull'interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell'altrui scorrettezza” (Cons. Stato, sez. V, 10 agosto 2018, n. 4912; Cons. Stato, Ad. plen., n. 5/2018). Al riguardo la giurisprudenza (cfr., ex multis: Cons. Stato, sez. V, 22 ottobre 2019, n. 7161; Cons. Stato, sez. V, 10 agosto 2018, n. 4912) ha in particolare affermato che: - “anche nello svolgimento dell'attività autoritativa, l'amministrazione è tenuta a rispettare non soltanto le norme di diritto pubblico (la cui violazione implica, di regola, l'invalidità del provvedimento e l'eventuale responsabilità da provvedimento per lesione dell'interesse legittimo), ma anche le norme generali dell'ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza, la violazione delle quali può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull'interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell'altrui scorrettezza (Cons. Stato, Ad. plen., n. 5/2018, cit.; Cons. Stato, VI, 6 febbraio 2013, n. 633; IV, 6 marzo 2015, n. 1142; Cons. Stato, Ad. plen., 5 settembre 2005, n. 6; Cass. civ., SS.UU. 12 maggio 2008, n. 11656; Cass. civ., I, 12 maggio 2015, n. 9636; 3 luglio 2014, n. 15250)”; - secondo l'indirizzo ribadito dall'Adunanza plenaria (Cons. Stato, Ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5), “la responsabilità precontrattuale richiede non solo la buona fede soggettiva del privato, ma anche che l'affidamento incolpevole risulti leso da una condotta oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e lealtà dell'amministrazione, e che tale oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia anche soggettivamente imputabile all'amministrazione stessa”. Pertanto, trattandosi di diritto soggettivo (e non di interesse legittimo) non trova applicazione il termine decadenziale di 120 giorni di cui all’art. 30, comma 3, c.p.a. (che riguarda la sola “lesione di interessi legittimi” e non anche di diritti soggettivi) ma, piuttosto, il termine di prescrizione che, vuoi che si acceda alla tesi della natura aquiliana della responsabilità precontrattuale (cfr. Cons. Stato, sez. VI , 21 maggio 2014, n. 2610), vuoi che si acceda alla tesi della natura contrattuale di tale responsabilità (cfr. Cass., sez. un., ord. 28 aprile 2020, n. 8236 nonché Cass. civile, sez. I, 12 luglio 2016, n. 14188, secondo cui la mancata approvazione del contratto è fonte di responsabilità precontrattuale da responsabilità relazionale ossia da "contatto sociale qualificato"), nel caso di specie comunque la richiesta risarcitoria si rivela tempestivamente azionata, sul piano giurisdizionale, atteso che la delibera di revoca, ossia l’atto che ha segnato il momento in cui la società è stata resa edotta con certezza circa l’impossibilità di proseguire nella suddetta “relazione procedimentale”, risaliva al 29 ottobre 2015, laddove il ricorso di primo grado per ottenere l’anelato risarcimento è stato notificato in data 23 gennaio 2019. Di qui la piena tempestività dell’azione giudiziale di COTIM e dunque l’accoglimento del primo motivo di appello. 10. Da quanto detto consegue l’accoglimento altresì del secondo motivo di appello. E ciò per la piana applicazione della sentenza di questa stessa sezione n. 8273 del 12 settembre 2023 secondo cui, in siffatte ipotesi (omessa tempestiva informazione circa l’impossibilità di conseguire la concessione sia per ragioni urbanistiche, sia per ragioni finanziarie), si riscontra una certa “superficialità e disattenzione nel non rendere tempestivamente e puntualmente edotta la parte appellante circa la difficoltà di natura finanziaria medio tempore sorte in ordine alla possibilità di eseguire concretamente l’appalto. Di qui il venir meno agli obblighi di lealtà e correttezza”. Più in particolare, occorre valutare se vi sia spazio per il risarcimento da responsabilità precontrattuale ossia verificare se la PA si sia comportata non solo da buon amministratore ma anche da corretto contraente. In altre parole ci si deve soffermare non sulla legittimità del provvedimento adottato (qui positivamente già vagliata dal momento che non vi è stata impugnativa sul punto) ma piuttosto sulla correttezza del comportamento concretamente assunto. In diritto, si premette che secondo la costante giurisprudenza amministrativa: - “la responsabilità precontrattuale della p.a. non sorge per il sol fatto che essa abbia deciso o meno di avviare e/o concludere la procedura di project financing, ma si determina nel momento in cui il privato può effettivamente vantare un affidamento obiettivamente meritevole di tutela, dimostrando di non avere ‘colpevolmente’ contribuito a creare il proprio affidamento” (Cons. Stato, sez. V, 24 agosto 2023, n. 7927); - “in base ad un orientamento consolidato (ribadito, da ultimo, da Cons. Stato, V, 11 gennaio 2021, n. 368; cfr. anche Id., V, 11 gennaio 2018, n. 111), nel caso di mancata conclusione del procedimento di project financing sussiste la responsabilità precontrattuale dell'Amministrazione che, pur non adottando provvedimenti illegittimi, tenga un comportamento non ispirato al canone di correttezza e buona fede e, perciò, lesivo delle legittime aspettative ingenerate nel contraente privato ovvero della ragionevole convinzione circa il buon esito delle trattative” (Cons. Stato, sez. V, 12 agosto 2021, n. 5870); - “sussiste la responsabilità precontrattuale dell'amministrazione nel caso di mancata conclusione del procedimento di project financing, responsabilità che nasce dal fatto che il soggetto pubblico, pur non adottando provvedimenti illegittimi, tiene un comportamento illecito, in quanto lesivo delle legittime aspettative ingenerate nel contraente privato ovvero della ragionevole convinzione del danneggiato circa il buon esito delle trattative. Tale responsabilità va riconosciuta nel caso in cui una P.A., prima pronunci la dichiarazione di pubblico interesse- approvando il progetto proveniente dal promotore- e successivamente annulli d'ufficio la stessa per una diversa valutazione sulla convenienza economica del ricorso allo strumento della finanza di progetto e, tanto, anche in presenza della legittimità del provvedimento di autotutela” (Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 111). Più da vicino è stato affermato che: “le regole di legittimità amministrativa e quelle di correttezza operano su piani distinti, uno relativo alla validità degli atti amministrativi e l'altro concernente invece la responsabilità dell'amministrazione e i connessi obblighi di protezione in favore della controparte. Oltre che distinti, i profili in questione sono autonomi e non in rapporto di pregiudizialità, nella misura in cui l'accertamento di validità degli atti impugnati non implica che l'amministrazione sia esente da responsabilità per danni nondimeno subiti dal privato destinatario degli stessi” (Cons. Stato, ad. plen., 29 novembre 2021, n. 21). Ed ancora che: “A conferma della descritta evoluzione si pone l'art. 1, comma 2-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241, il quale dispone che: "(i) rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede” (Cons. Stato, ad. plen., 29 novembre 2021, n. 21, cit.). Infine che: “La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione può derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all'esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, ai doveri di correttezza e buona fede. >> (Cons. Stato, Ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5)” (così Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2020, n. 4514). In questa direzione, pertanto: “non viene in rilievo l’attività provvedimentale della p.a. (l’esercizio diretto ed immediato del potere) bensì il comportamento (collegato in via indiretta e mediata all’esercizio del potere) complessivamente tenuto dalla stazione appaltante nel corso della gara, di modo che rilevano le regole di diritto privato la cui violazione non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma a responsabilità; anche per la p.a. le regole di correttezza e buona fede così come per i privati sono regole di responsabilità” (Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2020, n. 4514, cit.). Tanto doverosamente premesso, va osservato in fatto e in diritto quanto segue. Le difficoltà legate al patto di stabilità erano note, ai competenti uffici del Comune appellato, almeno dalla emanazione del DL n. 201 del 6 dicembre 2011 (comma 11-ter art. 28). Di tali difficoltà il Comune appellato non ha mai reso edotto l’appellante se non a quasi quattro anni di distanza ossia in occasione della revoca stessa. Di qui la violazione dell’art. 1338 c.c. in tema di omessi obblighi informativi circa possibili ragioni di invalidità della procedura contrattuale. Del resto la stessa legge n. 183 del 2011, anche a voler ammettere la sicura notorietà del patto di stabilità (elemento questo che in linea di principio potrebbe escludere una responsabilità ex art. 1338 c.c. allorché l’invalidità dipenda da una disposizione di legge che entrambe le parti erano tenute a conoscere e che non avevano pertanto l’obbligo di comunicarsi tra loro), prevedeva in ogni caso alcune ipotesi derogatorie la cui applicabilità poteva essere nota (e comunque valutata) soltanto agli uffici tecnici e contabili della amministrazione comunale e non anche al privato concorrente, dato il contenuto squisitamente tecnico di taluni meccanismi contabili. Con ciò si vuole dire che il c.d. “patto di stabilità” non costituiva una causa ostativa in termini assoluti ma soltanto un elemento tecnicamente valutabile ad opera degli uffici strettamente competenti. In altre parole la causa ostativa era solo genericamente ma non anche specificamente conoscibile, ossia con riguardo alla sua effettiva applicazione al caso di specie, da tutte le parti in causa: di qui l’impossibilità di ricorrere alla causa esimente relativa alla doverosa conoscenza di una norma impeditiva. Identico ragionamento va esteso alla circostanza che, sin dal 6 dicembre 2013, il Comune stesso aveva adottato il piano urbanistico comunale (PUC) dal quale chiaramente emergeva il trasferimento della sede comunale (oggetto specifico del project financing presentato da COTIM) in altra differente area urbana. Anche tale elemento, di cui il Comune era chiaramente e direttamente a conoscenza, è stato taciuto per quasi due anni, In questa direzione il Collegio ravvisa pertanto evidenti profili di responsabilità di tipo precontrattuale a carico del Comune appellato per comportamento scorretto nella fase delle trattative. Ciò in quanto il tratto procedimentale che ha seguito la dichiarazione di pubblico interesse del progetto presentato da COTIM è stato caratterizzato da superficialità e disattenzione nel non rendere tempestivamente e puntualmente edotta la parte appellante circa la difficoltà di natura finanziaria medio tempore sorte in ordine alla possibilità di realizzare concretamente il rapporto concessorio in questione. Di qui il venir meno agli obblighi di lealtà e correttezza. In sintesi: la revoca è stata in sé legittima ma il comportamento complessivamente tenuto dal Comune appellato non è risultato improntato alla massima lealtà e correttezza, avendo taciuto per quasi quattro anni (due per quanto riguarda le difficoltà di natura urbanistica) la sussistenza di cause seriamente ostative alla definizione della procedura avviata nel 2007. In altre parole, nel caso di specie la revoca è stata in sé legittima (ed infatti giammai contestata) ma il comportamento complessivamente tenuto dal Comune non è risultato improntato alla massima lealtà e correttezza, avendo taciuto per diversi anni la sussistenza di cause seriamente ostative alla definizione della procedura avviata nel 2007. La richiesta risarcitoria (secondo motivo di appello) va dunque senz’altro accolta nell’an e nei limiti del danno emergente effettivamente dimostrato. 11. In ordine al quantum (terzo motivo di appello) la stessa richiesta risarcitoria va invece ridotta dal momento che la prospettata somma di oltre 41 mila euro non trova altrimenti riscontro in fatture ed altri documenti di pagamento. Viene solo prodotto, infatti, un prospetto riepilogativo delle spese sostenute, soprattutto sul piano progettuale, ma non vi è documentazione fiscale o contabile che ne attesti l’effettivo pagamento (cfr. nota COTIM 26 dicembre 2015, in allegato al n. 4 della produzione documentale di primo grado depositata in data 2 dicembre 2021). La difesa di parte appellante si è così limitata a depositare una “fattura proforma” senza alcun documento che attestasse gli esborsi effettivamente sostenuti. Ed infatti, trattandosi di spese asseritamente effettuate la ricorrente avrebbe dovuto fornire la rigorosa prova di simili esborsi. Presumibilmente si tratta di progettazione effettuata con risorse interne i cui costi potevano essere imputati, se del caso, attraverso la dimostrazione del pagamento dei relativi stipendi necessari per le suddette risorse interne ma, di tale prova, non vi è stata alcuna allegazione o produzione agli atti del presente giudizio. Non è un caso che la citata nota del 26 dicembre 2015, dopo avere elencato le ridette spese progettuali, passa poi ad elencare i “costi esterni sostenuti” ossia spese legali e di asseverazione bancaria. Il che sta a significare, almeno per implicito, che i costi progettuali sino a quel punto indicati avevano matrice puramente interna all’impresa stessa. Tali costi, seppure interni all’impresa, avrebbero potuto essere dimostrati attraverso una riparametrazione delle voci stipendiali ma, come si è già avuto modo di osservare, un simile calcolo non è stato in alcun modo effettuato nel corso del presente giudizio. In altre parole, a differenza delle spese legali e bancarie per quanto riguarda gli oneri progettuali (asseritamente pari ad oltre 41 mila 796 euro, come da nota COTIM in data 8 novembre 2016) non sono state esibite le corrispondenti quietanze comprovanti il relativo pagamento. Sul punto la difesa di parte appellante non svolge peraltro più specifiche deduzioni di parte (cfr., in particolare, memoria di replica in data 9 maggio 2024). Le uniche voci in qualche modo dimostrate riguardano dunque spese legali per la procedura (13 mila 987 euro) e spese finanziarie per asseveramento del PEF (3 mila 600 euro a favore della Banca CARIGE). In siffatta direzione, l’interesse negativo può essere sì riconosciuto ma limitatamente a tali due specifiche voci, con esclusione di ogni altra spesa non altrimenti dimostrata e debitamente documentata. Il tutto per una cifra complessiva pari a 17 mila 497 euro e con esclusione, ad ogni buon conto, della ulteriore voce che riguarda spese di progettazione non altrimenti dimostrate attraverso più specifici documenti di matrice contabile e finanziaria. Di qui il parziale riconoscimento del danno emergente relativo all’interesse negativo oggetto di ristoro. 12. Il collegio si esime infine dall’affrontare la domanda di indennizzo ex art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990, atteso che tale motivo è stato proposto soltanto in via subordinata ossia in caso di rigetto della richiesta risarcitoria da responsabilità precontrattuale (cfr. pag. 19 atto di appello introduttivo). 13. Ai fini dell’integrale ristoro del danno riconosciuto come risarcibile, che costituisce debito di valore, occorre poi riconoscere al ricorrente, sulla somma sopra ricavata secondo gli indicati parametri (si ripete: 17 mila 497 euro), sia la rivalutazione monetaria secondo l’indice medio dei prezzi al consumo elaborato dall’Istat, che attualizza al momento della liquidazione il danno subito, sia gli interessi compensativi (determinati in via equitativa assumendo come parametro il tasso di interesse legale), calcolati sulla somma periodicamente rivalutata, volti a compensare la mancata disponibilità di tale somma fino al giorno della liquidazione del danno e con decorrenza dalla data di cristallizzazione del danno, da individuare nel momento della notifica del ricorso di primo grado e sino alla data di pubblicazione della presente decisione. Il tutto comprensivo, infine, degli interessi legali da calcolare sulla somma complessiva dal giorno della pubblicazione della sentenza — trattandosi di debito di valuta — e sino all’effettivo soddisfo (Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2017, n. 3448). 14. In conclusione il ricorso in appello è fondato e deve essere accolto, sebbene nei sensi e nei limiti di cui al punto 11 e sulla base degli ulteriori criteri di calcolo di cui al punto 13. 15. Le spese di lite, in relazione al doppio grado di giudizio, possono essere integralmente compensate tra tutte la parti costituite attesa la pacifica complessità delle esaminate questioni. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, in riforma della gravata sentenza, accoglie altresì il ricorso di primo grado sebbene nei limiti di cui alla stessa parte motiva (punti 11 e 13) e condanna l’Amministrazione al pagamento della somma ivi indicata. Spese del doppio grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Rosanna De Nictolis, Presidente Stefano Fantini, Consigliere Marina Perrelli, Consigliere Annamaria Fasano, Consigliere Massimo Santini, Consigliere, Estensore
Co.T.Im. S.r.l. Costruzioni Turistiche Immobiliari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Roberto Damonte, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di San Bartolomeo al Mare, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Matteo Borello, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Marco Gardin in Roma, via Laura Mantegazza n. 24; per la riforma della sentenza del TAR per la Liguria, Sez. I, 25/01/2022 n. 62, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di San Bartolomeo al Mare; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 maggio 2024 il Cons. Massimo Santini e uditi per le parti gli avvocati Damonte e Gazza, in sostituzione di Borello; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Nel 2005 veniva avviata la procedura di project financing per la ristrutturazione e ampliamento della casa comunale, per la riqualificazione dell’asilo infantile nonché per la realizzazione di un parcheggio pubblico e di un parcheggio multipiano. Soggetto promotore era COTIM, società immobiliare, odierna appellante. In data 20 settembre 2007 veniva dichiarato il pubblico interesse cui non seguiva tuttavia la gara per la assegnazione della relativa concessione. Nel 2011 veniva chiesta, dalla stessa amministrazione comunale, la disponibilità ad inserire anche una quota di edilizia ERP nell’ambito del progetto sopra descritto: integrazione questa che veniva subito accettata da COTIM con nota del 30 novembre 2011 (con cui si trasmetteva il PEF aggiornato). La procedura non aveva tuttavia ulteriore seguito. Solo dopo numerosi solleciti, con deliberazione n. 123 del 29 ottobre 2015 veniva disposta la revoca della precedente dichiarazione di pubblico interesse del 2007 per i seguenti motivi: a) il Piano urbanistico comunale del 2013 prevedeva una diversa localizzazione degli uffici del comune; b) il patto di stabilità (DL n. 201 del 2011) aveva nel frattempo eliso la possibilità per il comune di compartecipare alla spesa complessiva (per una somma pari a 400mila euro). 2. A questo punto COTIM, pur prestando acquiescenza alla suddetta revoca, invocava tuttavia la responsabilità precontrattuale della PA per omessa tempestiva informazione circa l’impossibilità di conseguire la concessione (sia per ragioni urbanistiche, sia per ragioni finanziarie) e chiedeva dinanzi al TAR Liguria il risarcimento dei danni patiti (corrispondente al c.d. interesse negativo, ossia alle spese affrontate per il progetto e per la sua iniziale procedura, per una somma complessivamente pari ad oltre 58mila euro). 3. Il giudice di primo grado, tuttavia, rigettava il gravame per violazione del termine di 120 giorni di cui all’art. 30, comma 3, c.p.a. (ed infatti: la delibera di revoca era di ottobre 2015 mentre il ricorso per il risarcimento era stato notificato a dicembre 2018). Né potevano essere invocati i presupposti per la corresponsione dell’indennizzo di cui all’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990 dal momento che, sempre secondo il giudice di primo grado, la “dichiarazione di pubblico interesse del project financing” non comporta la attribuzione di “vantaggi a titolo definitivo”, trattandosi di fase “semplicemente prodromica all'indizione di una gara”. 4. La decisione di primo grado formava oggetto di appello per i motivi di seguito indicati: 4.1. Erroneità nella parte in cui il giudice di primo grado non avrebbe considerato che “non ci si duole di un “comportamento mero”, tale da determinare la giurisdizione del g.o.. Quello che viene contestato non è infatti una condotta avulsa dall'esercizio del potere, ma una condotta procedimentale, ossia la modalità con cui il potere è stato in concreto esercitato e che si assume inosservante dei doveri di buona fede e correttezza”. In particolare vi sarebbe stata violazione del “dovere di informazione, che è esplicazione del dovere di correttezza e buona fede”. In sostanza si sarebbe trattato di “comportamento ondivago, contraddittorio, superficiale, gravemente omissivo sul piano informativo”, tale da costituire grave violazione altresì del fondamentale dovere di leale collaborazione. 4.2. Erroneità nella parte in cui non sarebbe stato dunque considerato che non si tratterebbe di invocare un “danno da provvedimento” ossia “per lesione di interessi legittimi” (presupposto, questo, affinché trovi applicazione il termine di 120 giorni di cui all’art. 30, comma 3, c.p.a.) quanto piuttosto una responsabilità di tipo precontrattuale la quale postula la sussistenza di un diritto soggettivo. 4.3. Erroneità nella parte in cui non è stato riconosciuto il risarcimento da responsabilità contrattuale in favore della società appellante, né alcun indennizzo ai sensi dell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990. 5. Si costituiva in giudizio l’appellata amministrazione comunale la quale, dopo avere nuovamente sollevato eccezione di giurisdizione del GA, chiedeva comunque il rigetto del gravame mediante articolate controdeduzioni che, più avanti, formeranno oggetto di specifica trattazione. 6. Alla pubblica udienza del 30 maggio 2024 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso in appello veniva infine trattenuto in decisione. 7. Tutto ciò premesso l’appello è fondato nei sensi e nei limiti di cui appresso. 8. Innanzitutto sussiste la giurisdizione del GA (eccezione, questa, nuovamente sollevata dalla difesa dell’amministrazione comunale) in quanto, come affermato dalle sezioni unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 30712 del 18 ottobre 2022 (pressoché in termini): la procedura di project financing è piuttosto complessa ed implica “l’esercizio di poteri amministrativi del tutto interni”. Si tratta in particolare di materia di giurisdizione esclusiva (più da vicino: concessione di costruzione e gestione di opera pubblica e di concessione di servizi pubblici, come anche evidenziato da Cass. Civile, sez. un., 27 novembre 2019, n. 31027) ove si assiste, in ogni caso, alla “spendita di poteri amministrativi”. Si innesta in queste ipotesi, infatti, une ben determinata “relazione procedimentale” e dunque anche “un sicuro e formalizzato procedimento amministrativo”: di qui la “generale qualificazione pubblicistica” di un siffatto procedimento che “non è certo attenuata … dalla più ampia discrezionalità delle scelte della PA”. Discrezionalità che dunque implica “una situazione di potere dell’amministrazione” che coinvolge “anche diritti soggettivi” quali quelli la cui violazione viene in questa sede invocata (id est: libertà negoziale). Come anche affermato dalla Corte di cassazione, sezioni unite, nell’ordinanza 28 aprile 2020, n. 8236, si tratta in questi casi non di “mero comportamento” ma di “comportamento amministrativo” in senso stretto, ossia di materie non solo generalmente attratte nella giurisdizione esclusiva del GA ma ove la pubblica amministrazione agisce, ad ogni buon conto, attraverso il chiaro esercizio di poteri autoritativi (cfr. Corte cost., sentenza n. 191 del 2006). Da quanto sopra complessivamente detto consegue il rigetto della specifica riproposta eccezione di giurisdizione. 9. Nel merito, quanto al primo motivo di appello si invoca una “responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull'interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell'altrui scorrettezza” (Cons. Stato, sez. V, 10 agosto 2018, n. 4912; Cons. Stato, Ad. plen., n. 5/2018). Al riguardo la giurisprudenza (cfr., ex multis: Cons. Stato, sez. V, 22 ottobre 2019, n. 7161; Cons. Stato, sez. V, 10 agosto 2018, n. 4912) ha in particolare affermato che: - “anche nello svolgimento dell'attività autoritativa, l'amministrazione è tenuta a rispettare non soltanto le norme di diritto pubblico (la cui violazione implica, di regola, l'invalidità del provvedimento e l'eventuale responsabilità da provvedimento per lesione dell'interesse legittimo), ma anche le norme generali dell'ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza, la violazione delle quali può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull'interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell'altrui scorrettezza (Cons. Stato, Ad. plen., n. 5/2018, cit.; Cons. Stato, VI, 6 febbraio 2013, n. 633; IV, 6 marzo 2015, n. 1142; Cons. Stato, Ad. plen., 5 settembre 2005, n. 6; Cass. civ., SS.UU. 12 maggio 2008, n. 11656; Cass. civ., I, 12 maggio 2015, n. 9636; 3 luglio 2014, n. 15250)”; - secondo l'indirizzo ribadito dall'Adunanza plenaria (Cons. Stato, Ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5), “la responsabilità precontrattuale richiede non solo la buona fede soggettiva del privato, ma anche che l'affidamento incolpevole risulti leso da una condotta oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e lealtà dell'amministrazione, e che tale oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia anche soggettivamente imputabile all'amministrazione stessa”. Pertanto, trattandosi di diritto soggettivo (e non di interesse legittimo) non trova applicazione il termine decadenziale di 120 giorni di cui all’art. 30, comma 3, c.p.a. (che riguarda la sola “lesione di interessi legittimi” e non anche di diritti soggettivi) ma, piuttosto, il termine di prescrizione che, vuoi che si acceda alla tesi della natura aquiliana della responsabilità precontrattuale (cfr. Cons. Stato, sez. VI , 21 maggio 2014, n. 2610), vuoi che si acceda alla tesi della natura contrattuale di tale responsabilità (cfr. Cass., sez. un., ord. 28 aprile 2020, n. 8236 nonché Cass. civile, sez. I, 12 luglio 2016, n. 14188, secondo cui la mancata approvazione del contratto è fonte di responsabilità precontrattuale da responsabilità relazionale ossia da "contatto sociale qualificato"), nel caso di specie comunque la richiesta risarcitoria si rivela tempestivamente azionata, sul piano giurisdizionale, atteso che la delibera di revoca, ossia l’atto che ha segnato il momento in cui la società è stata resa edotta con certezza circa l’impossibilità di proseguire nella suddetta “relazione procedimentale”, risaliva al 29 ottobre 2015, laddove il ricorso di primo grado per ottenere l’anelato risarcimento è stato notificato in data 23 gennaio 2019. Di qui la piena tempestività dell’azione giudiziale di COTIM e dunque l’accoglimento del primo motivo di appello. 10. Da quanto detto consegue l’accoglimento altresì del secondo motivo di appello. E ciò per la piana applicazione della sentenza di questa stessa sezione n. 8273 del 12 settembre 2023 secondo cui, in siffatte ipotesi (omessa tempestiva informazione circa l’impossibilità di conseguire la concessione sia per ragioni urbanistiche, sia per ragioni finanziarie), si riscontra una certa “superficialità e disattenzione nel non rendere tempestivamente e puntualmente edotta la parte appellante circa la difficoltà di natura finanziaria medio tempore sorte in ordine alla possibilità di eseguire concretamente l’appalto. Di qui il venir meno agli obblighi di lealtà e correttezza”. Più in particolare, occorre valutare se vi sia spazio per il risarcimento da responsabilità precontrattuale ossia verificare se la PA si sia comportata non solo da buon amministratore ma anche da corretto contraente. In altre parole ci si deve soffermare non sulla legittimità del provvedimento adottato (qui positivamente già vagliata dal momento che non vi è stata impugnativa sul punto) ma piuttosto sulla correttezza del comportamento concretamente assunto. In diritto, si premette che secondo la costante giurisprudenza amministrativa: - “la responsabilità precontrattuale della p.a. non sorge per il sol fatto che essa abbia deciso o meno di avviare e/o concludere la procedura di project financing, ma si determina nel momento in cui il privato può effettivamente vantare un affidamento obiettivamente meritevole di tutela, dimostrando di non avere ‘colpevolmente’ contribuito a creare il proprio affidamento” (Cons. Stato, sez. V, 24 agosto 2023, n. 7927); - “in base ad un orientamento consolidato (ribadito, da ultimo, da Cons. Stato, V, 11 gennaio 2021, n. 368; cfr. anche Id., V, 11 gennaio 2018, n. 111), nel caso di mancata conclusione del procedimento di project financing sussiste la responsabilità precontrattuale dell'Amministrazione che, pur non adottando provvedimenti illegittimi, tenga un comportamento non ispirato al canone di correttezza e buona fede e, perciò, lesivo delle legittime aspettative ingenerate nel contraente privato ovvero della ragionevole convinzione circa il buon esito delle trattative” (Cons. Stato, sez. V, 12 agosto 2021, n. 5870); - “sussiste la responsabilità precontrattuale dell'amministrazione nel caso di mancata conclusione del procedimento di project financing, responsabilità che nasce dal fatto che il soggetto pubblico, pur non adottando provvedimenti illegittimi, tiene un comportamento illecito, in quanto lesivo delle legittime aspettative ingenerate nel contraente privato ovvero della ragionevole convinzione del danneggiato circa il buon esito delle trattative. Tale responsabilità va riconosciuta nel caso in cui una P.A., prima pronunci la dichiarazione di pubblico interesse- approvando il progetto proveniente dal promotore- e successivamente annulli d'ufficio la stessa per una diversa valutazione sulla convenienza economica del ricorso allo strumento della finanza di progetto e, tanto, anche in presenza della legittimità del provvedimento di autotutela” (Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 111). Più da vicino è stato affermato che: “le regole di legittimità amministrativa e quelle di correttezza operano su piani distinti, uno relativo alla validità degli atti amministrativi e l'altro concernente invece la responsabilità dell'amministrazione e i connessi obblighi di protezione in favore della controparte. Oltre che distinti, i profili in questione sono autonomi e non in rapporto di pregiudizialità, nella misura in cui l'accertamento di validità degli atti impugnati non implica che l'amministrazione sia esente da responsabilità per danni nondimeno subiti dal privato destinatario degli stessi” (Cons. Stato, ad. plen., 29 novembre 2021, n. 21). Ed ancora che: “A conferma della descritta evoluzione si pone l'art. 1, comma 2-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241, il quale dispone che: "(i) rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede” (Cons. Stato, ad. plen., 29 novembre 2021, n. 21, cit.). Infine che: “La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione può derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all'esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, ai doveri di correttezza e buona fede. >> (Cons. Stato, Ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5)” (così Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2020, n. 4514). In questa direzione, pertanto: “non viene in rilievo l’attività provvedimentale della p.a. (l’esercizio diretto ed immediato del potere) bensì il comportamento (collegato in via indiretta e mediata all’esercizio del potere) complessivamente tenuto dalla stazione appaltante nel corso della gara, di modo che rilevano le regole di diritto privato la cui violazione non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma a responsabilità; anche per la p.a. le regole di correttezza e buona fede così come per i privati sono regole di responsabilità” (Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2020, n. 4514, cit.). Tanto doverosamente premesso, va osservato in fatto e in diritto quanto segue. Le difficoltà legate al patto di stabilità erano note, ai competenti uffici del Comune appellato, almeno dalla emanazione del DL n. 201 del 6 dicembre 2011 (comma 11-ter art. 28). Di tali difficoltà il Comune appellato non ha mai reso edotto l’appellante se non a quasi quattro anni di distanza ossia in occasione della revoca stessa. Di qui la violazione dell’art. 1338 c.c. in tema di omessi obblighi informativi circa possibili ragioni di invalidità della procedura contrattuale. Del resto la stessa legge n. 183 del 2011, anche a voler ammettere la sicura notorietà del patto di stabilità (elemento questo che in linea di principio potrebbe escludere una responsabilità ex art. 1338 c.c. allorché l’invalidità dipenda da una disposizione di legge che entrambe le parti erano tenute a conoscere e che non avevano pertanto l’obbligo di comunicarsi tra loro), prevedeva in ogni caso alcune ipotesi derogatorie la cui applicabilità poteva essere nota (e comunque valutata) soltanto agli uffici tecnici e contabili della amministrazione comunale e non anche al privato concorrente, dato il contenuto squisitamente tecnico di taluni meccanismi contabili. Con ciò si vuole dire che il c.d. “patto di stabilità” non costituiva una causa ostativa in termini assoluti ma soltanto un elemento tecnicamente valutabile ad opera degli uffici strettamente competenti. In altre parole la causa ostativa era solo genericamente ma non anche specificamente conoscibile, ossia con riguardo alla sua effettiva applicazione al caso di specie, da tutte le parti in causa: di qui l’impossibilità di ricorrere alla causa esimente relativa alla doverosa conoscenza di una norma impeditiva. Identico ragionamento va esteso alla circostanza che, sin dal 6 dicembre 2013, il Comune stesso aveva adottato il piano urbanistico comunale (PUC) dal quale chiaramente emergeva il trasferimento della sede comunale (oggetto specifico del project financing presentato da COTIM) in altra differente area urbana. Anche tale elemento, di cui il Comune era chiaramente e direttamente a conoscenza, è stato taciuto per quasi due anni, In questa direzione il Collegio ravvisa pertanto evidenti profili di responsabilità di tipo precontrattuale a carico del Comune appellato per comportamento scorretto nella fase delle trattative. Ciò in quanto il tratto procedimentale che ha seguito la dichiarazione di pubblico interesse del progetto presentato da COTIM è stato caratterizzato da superficialità e disattenzione nel non rendere tempestivamente e puntualmente edotta la parte appellante circa la difficoltà di natura finanziaria medio tempore sorte in ordine alla possibilità di realizzare concretamente il rapporto concessorio in questione. Di qui il venir meno agli obblighi di lealtà e correttezza. In sintesi: la revoca è stata in sé legittima ma il comportamento complessivamente tenuto dal Comune appellato non è risultato improntato alla massima lealtà e correttezza, avendo taciuto per quasi quattro anni (due per quanto riguarda le difficoltà di natura urbanistica) la sussistenza di cause seriamente ostative alla definizione della procedura avviata nel 2007. In altre parole, nel caso di specie la revoca è stata in sé legittima (ed infatti giammai contestata) ma il comportamento complessivamente tenuto dal Comune non è risultato improntato alla massima lealtà e correttezza, avendo taciuto per diversi anni la sussistenza di cause seriamente ostative alla definizione della procedura avviata nel 2007. La richiesta risarcitoria (secondo motivo di appello) va dunque senz’altro accolta nell’an e nei limiti del danno emergente effettivamente dimostrato. 11. In ordine al quantum (terzo motivo di appello) la stessa richiesta risarcitoria va invece ridotta dal momento che la prospettata somma di oltre 41 mila euro non trova altrimenti riscontro in fatture ed altri documenti di pagamento. Viene solo prodotto, infatti, un prospetto riepilogativo delle spese sostenute, soprattutto sul piano progettuale, ma non vi è documentazione fiscale o contabile che ne attesti l’effettivo pagamento (cfr. nota COTIM 26 dicembre 2015, in allegato al n. 4 della produzione documentale di primo grado depositata in data 2 dicembre 2021). La difesa di parte appellante si è così limitata a depositare una “fattura proforma” senza alcun documento che attestasse gli esborsi effettivamente sostenuti. Ed infatti, trattandosi di spese asseritamente effettuate la ricorrente avrebbe dovuto fornire la rigorosa prova di simili esborsi. Presumibilmente si tratta di progettazione effettuata con risorse interne i cui costi potevano essere imputati, se del caso, attraverso la dimostrazione del pagamento dei relativi stipendi necessari per le suddette risorse interne ma, di tale prova, non vi è stata alcuna allegazione o produzione agli atti del presente giudizio. Non è un caso che la citata nota del 26 dicembre 2015, dopo avere elencato le ridette spese progettuali, passa poi ad elencare i “costi esterni sostenuti” ossia spese legali e di asseverazione bancaria. Il che sta a significare, almeno per implicito, che i costi progettuali sino a quel punto indicati avevano matrice puramente interna all’impresa stessa. Tali costi, seppure interni all’impresa, avrebbero potuto essere dimostrati attraverso una riparametrazione delle voci stipendiali ma, come si è già avuto modo di osservare, un simile calcolo non è stato in alcun modo effettuato nel corso del presente giudizio. In altre parole, a differenza delle spese legali e bancarie per quanto riguarda gli oneri progettuali (asseritamente pari ad oltre 41 mila 796 euro, come da nota COTIM in data 8 novembre 2016) non sono state esibite le corrispondenti quietanze comprovanti il relativo pagamento. Sul punto la difesa di parte appellante non svolge peraltro più specifiche deduzioni di parte (cfr., in particolare, memoria di replica in data 9 maggio 2024). Le uniche voci in qualche modo dimostrate riguardano dunque spese legali per la procedura (13 mila 987 euro) e spese finanziarie per asseveramento del PEF (3 mila 600 euro a favore della Banca CARIGE). In siffatta direzione, l’interesse negativo può essere sì riconosciuto ma limitatamente a tali due specifiche voci, con esclusione di ogni altra spesa non altrimenti dimostrata e debitamente documentata. Il tutto per una cifra complessiva pari a 17 mila 497 euro e con esclusione, ad ogni buon conto, della ulteriore voce che riguarda spese di progettazione non altrimenti dimostrate attraverso più specifici documenti di matrice contabile e finanziaria. Di qui il parziale riconoscimento del danno emergente relativo all’interesse negativo oggetto di ristoro. 12. Il collegio si esime infine dall’affrontare la domanda di indennizzo ex art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990, atteso che tale motivo è stato proposto soltanto in via subordinata ossia in caso di rigetto della richiesta risarcitoria da responsabilità precontrattuale (cfr. pag. 19 atto di appello introduttivo). 13. Ai fini dell’integrale ristoro del danno riconosciuto come risarcibile, che costituisce debito di valore, occorre poi riconoscere al ricorrente, sulla somma sopra ricavata secondo gli indicati parametri (si ripete: 17 mila 497 euro), sia la rivalutazione monetaria secondo l’indice medio dei prezzi al consumo elaborato dall’Istat, che attualizza al momento della liquidazione il danno subito, sia gli interessi compensativi (determinati in via equitativa assumendo come parametro il tasso di interesse legale), calcolati sulla somma periodicamente rivalutata, volti a compensare la mancata disponibilità di tale somma fino al giorno della liquidazione del danno e con decorrenza dalla data di cristallizzazione del danno, da individuare nel momento della notifica del ricorso di primo grado e sino alla data di pubblicazione della presente decisione. Il tutto comprensivo, infine, degli interessi legali da calcolare sulla somma complessiva dal giorno della pubblicazione della sentenza — trattandosi di debito di valuta — e sino all’effettivo soddisfo (Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2017, n. 3448). 14. In conclusione il ricorso in appello è fondato e deve essere accolto, sebbene nei sensi e nei limiti di cui al punto 11 e sulla base degli ulteriori criteri di calcolo di cui al punto 13. 15. Le spese di lite, in relazione al doppio grado di giudizio, possono essere integralmente compensate tra tutte la parti costituite attesa la pacifica complessità delle esaminate questioni. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, in riforma della gravata sentenza, accoglie altresì il ricorso di primo grado sebbene nei limiti di cui alla stessa parte motiva (punti 11 e 13) e condanna l’Amministrazione al pagamento della somma ivi indicata. Spese del doppio grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Rosanna De Nictolis, Presidente Stefano Fantini, Consigliere Marina Perrelli, Consigliere Annamaria Fasano, Consigliere Massimo Santini, Consigliere, Estensore