Cassazione Penale, Sez. III, 29 agosto 2024 (ud. 10 luglio 2024), n. 33287

Con sentenza n. 33287 del 29 agosto 2024, la Terza Sezione della Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata sul rapporto tra i reati di “discarica abusiva” e “abbandono incontrollato di rifiuti”. In prima battuta, il Collegio rammenta che la giurisprudenza della Corte è consolidata nel rilevare che l'unico criterio idoneo a dirimere i casi di concorso apparente di norme è da rinvenirsi nel principio di specialità ex art. 15 cod. pen. e afferma che, nel caso sottoposto al suo esame, tra i reati di discarica abusiva e abbandono incontrollato di rifiuti si verifica un fenomeno di duplice tipicità (apparente) sopravvenuta, quando una iniziale condotta di abbandono di rifiuti prosegue nel tempo in forme quantitativamente più importanti, progredendo verso la discarica abusiva. I Giudici precisano che entrambi i reati hanno infatti in comune la dismissione di rifiuti con tendenziale carattere di definitività, ma il criterio discretivo è stato rinvenuto principalmente nelle «dimensioni dell'area occupata», nella «quantità dei rifiuti depositati». La discarica abusiva si connota per le seguenti caratteristiche, la presenza delle quali costituisce valido elemento per ritenere configurata la condotta vietata: l'accumulo, più o meno sistematico, ma comunque non occasionale, di rifiuti in un'area determinata; l'eterogeneità dell'ammasso dei materiali; la definitività del loro abbandono; il degrado, quanto meno tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei materiali in questione. Pertanto, mentre nella discarica abusiva la condotta o è abituale - come nel caso di plurimi conferimenti - o, pur quando consiste in un'unica azione, è comunque strutturata, ancorché grossolanamente, al fine della definitiva collocazione dei rifiuti in loco, nel reato di abbandono la condotta è «meramente occasionale», ciò essendo desumibile dall'unicità ed estemporaneità della condotta medesima, che si risolve nel semplice collocamento dei rifiuti in un determinato luogo, in assenza di attività prodromiche o successive, e dalla quantità dei rifiuti abbandonati. Ad avviso della Terza Sezione, l'abbandono di rifiuti è quindi configurabile solo nel caso di condotta estemporanea e meramente occasionale e, anche in tale ipotesi, solo laddove la condotta abbia ad oggetto quantitativi modesti, aree non estese e non implichi attività di gestione dei rifiuti o ad esse prodromiche. In tutti gli altri casi invece sarà configurabile il reato di discarica abusiva. I Giudici della Suprema Corte di Cassazione ritengono che nel caso sottoposto al loro esame si è in presenza di un caso di «progressione criminosa» (che si configura quando la progressione determina la modificazione del titolo del reato e consiste non solo nella intensificazione della medesima attività, ma determini il trapasso a diversa fattispecie più grave, per quanto connessa, implicante la prima) che può essere risolto sulla base del principio di specialità, nel senso che il reato di discarica, in quanto più grave, «contiene» quello meno grave di abbandono di rifiuti.

Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 10/07/2024) 29/08/2024, n. 33287 PATRIMONIO AMBIENTALE › Inquinamento Intestazione   REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta da Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. GALANTI Alberto - Relatore Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA Sul ricorso presentato da A.A., nato a O il Omissis, avverso la sentenza della Corte di appello di Milano in data 08/09/2023. visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Alberto Galanti; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Giuseppe Riccardi, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.       Svolgimento del processo 1. Con sentenza del 08/09/2023, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano del 27/10/2021, dichiarava non doversi procedere nei confronti di A.A. per i reati di cui al capo A) commessi anteriormente all'8 settembre 2018 perché estinti per prescrizione e riconosciuta la continuazione con la sentenza del Tribunale di Milano, irr. 3/12/2015, in riferimento al più grave reato di cui al capo A), rideterminava la pena applicata allo stesso in anni 2 mesi 6 di arresto, 16.000,00 Euro di ammenda, con aumento di ulteriori 4.000 Euro a titolo di continuazione con la predetta sentenza. Limitava la confisca all'area censita al foglio 4, mappale 127, del catasto di Rho alla quota di comproprietà della SCAVIL Srl. 2. Avverso la sentenza l'imputato propone ricorso per cassazione. 2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge in relazione agli articoli 157  e 161  cod. pen., 256, comma 1, lettere a) e b), D.Lgs. 152/2006 , 129 cod. proc. pen., in relazione alla intervenuta prescrizione del reato di deposito incontrollato di rifiuti e contraddittorietà della motivazione. La sentenza, nel dare atto del contrasto giurisprudenziale esistente sulla natura permanente o istantanea del reato di deposito incontrollato di rifiuti, ne nega la natura permanente, ma poi conclude in senso opposto, condividendo la tesi accusatoria secondo cui i depositi incontrollati di rifiuti vanno considerati come reato permanente. La contraddizione è acuita alla luce di quanto dichiarato a pag. 15 della sentenza, in cui si dà atto dell'orientamento più recente sulla natura istantanea del reato (che del resto non è stato contestato come abituale). Ed infatti, l'assenza di qualsivoglia indice di destinazione allo smaltimento o al recupero evidenzia la destinazione all'abbandono dei rifiuti. Non può quindi farsi applicazione dei criteri indicati dalla Corte milanese, secondo cui la sistematica pluralità di azioni e la reiterata utilizzazione di un unico sito deporrebbe per la natura permanente del reato (Cass. n. 32305/2022 ). È la stessa sentenza, del resto, a dichiarare a chiare lettere (pag. 22) l'insussistenza in capo all'indagato di una organizzazione aziendale in grado di stoccare temporaneamente rifiuti per poi convogliarli tempestivamente alla sede di smaltimento. Inoltre, non è detto che le condotte di deposito incontrollato siano coincidenti con quelle di deposito abusivo, potendo essere molte di meno, in un lungo arco temporale, né è dato conoscere le quantità ogni volta trasportate. Sussistono pertanto incertezze su entrambi i requisiti di permanenza del reato indicati dalla Corte milanese. Sarebbero quindi prescritte tutte le condotte poste in essere prima del 7 agosto 2019. 2.2. Con il secondo motivo, censura violazione della disciplina del reato continuato in relazione agli aumenti operati per continuazione in riferimento al reato di abbandono di rifiuti rispetto al reato di discarica abusiva. Non si comprende a che titolo la Corte di appello abbia proceduto ad aumento per l'articolo 256, comma 2, né come abbia calcolato tale aumento. A pagina 31, la sentenza considera esclusivamente la condotta di cui al comma 3 dell'articolo 256 e, per la continuazione interna, di cui al comma 1 lettere a) e b), ma non considera il comma 2 del medesimo articolo, in palese contraddizione rispetto a quanto indicato sia nel capo di imputazione che nella stessa sentenza. La sentenza, che si discosta di un anno dal minimo edittale previsto per il comma 3 dell'articolo 256, avrebbe dovute ben specificare l'entità dell'aggravio rispetto ad una specifica continuazione interna per le condotte di abbandono o deposito incontrollato non dichiarate prescritte (v. pag. 15). Altrimenti avrebbero dovuto dichiarare assorbente il reato di discarica rispetto a quelle di abbandono. 2.3. Con il terzo motivo lamenta violazione di legge in riferimento agli articoli 62-bis  e 133  cod. pen. e contraddittorietà della motivazione per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Il primo giudice aveva fondato il trattamento sanzionatorio sulla gravità dei fatti e i numerosi precedenti penali dell'imputato, mentre i secondi giudici avevano ritenuto che l'atto di appello non avesse censurato il diniego opposto dal primo giudice. In realtà, sia pure in modo preciso, l'appellante aveva indicato l'esiguo numero dei viaggi di trasporto dei rifiuti, peraltro risalenti nel tempo (pag. 14). Inoltre, il comportamento processuale dell'imputato, che ha reso confessione, ha consentito alla produzione di documenti e all'inversione dell'ordine delle prove, non è stato oggetto di considerazione. Né si è considerato che l'imputato aveva già iniziato sua sponte a smaltire i rifiuti. 2.4. Con il quarto motivo lamenta violazione di legge in riferimento agli articoli 81  e 133  cod. pen. La Corte territoriale, pur dando conto della estinzione per prescrizione di alcuni reati, non ha operato alcuna riduzione a seguito del riconoscimento in continuazione della sentenza del Tribunale di Milano del 16/10/2015, anzi applicando un aumento di 4.000 Euro di ammenda. 2.5. Con il quinto motivo deduce violazione dell'articolo 20-bis  cod. pen., 53 l. 689/1981  e contraddittorietà di motivazione. La Corte di appello ha rigettato la richiesta di applicazione di pene sostitutive in ragione dei precedenti penali dell'imputato e della durata del reato continuato. Ma l'articolo 58 della I. 689/1981 prevede che il giudice possa negare le pene sostitutive solo se ritenga che le prescrizioni non vengano adempiute, prognosi che i giudici non hanno effettuato. 2.6. con il sesto motivo deduce violazione dell'articolo 240  cod. pen., 256 comma 3 D.Lgs. 152/2006 , nonché mancanza e contraddittorietà della motivazione. La sentenza nulla motiva in ordine alle ragioni che hanno portato a confermare la confisca del capannone e del suo contenuto, a nulla valendo il richiamo alla sentenza di primo grado, che però, nella parte richiamata, si riferisce alle sole statuizioni civili. Quanto al capannone, non vi è dubbio che l'attività di abbandono si è svolta unicamente nel piazzale e non nel capannone, difettando quindi il nesso di pertinenzialità con il reato. Quanto agli oggetti contenuti nel capannone, la sentenza impugnata rinvia a quella di primo grado, che tuttavia motiva solo con riferimento ai rifiuti contenuti nel capannone e non anche ai beni ivi custoditi. 3. In data 20 giugno 2024, l'Avv. Giovanni Parini, per la parte civile Comune di Rho, depositava conclusioni scritte in cui chiedeva che il ricorso venisse rigettato o dichiarato inammissibile. 4. In data 24 giugno 2024 l'Avv. Marco Brunoldi, per l'imputato, depositava motivi aggiunti in cui sostanzialmente insisteva sulla deduzione di prescrizione formulata nel ricorso principale. 5. In data 3 luglio 2024 l'Avv. Marco Brunoldi, per l'imputato, depositava note di replica alle conclusioni del P.G., in cui insisteva per l'accoglimento del ricorso. Motivi della decisione 1. Il ricorso è complessivamente infondato. 2. Il primo motivo è infondato. Preliminarmente, il Collegio evidenzia che il provvedimento impugnato non fa buon governo dei principi che regolano il concorso apparente di norme. Ed infatti, come noto, esso viene solitamente risolto in dottrina alla luce del criterio di "specialità" e, talvolta, secondo quello della "sussidiarietà" o della "consunzione". La giurisprudenza di questa Corte, al contrario, è consolidata nel rilevare che l'unico criterio idoneo a dirimere i casi di concorso apparente di norme è da rinvenirsi nel principio di specialità ex art. 15  cod. pen. (Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668; Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, Di Lorenzo, Rv. 248722; Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865; Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, Rv. 235962; Sez. U, n. 47164 del 20/12/2005, Marino, Rv. 232302). In tale ipotesi si verifica, a fronte di un unico fatto di reato, una "tipicità plurima", che però è solo apparente, perché solo una sarà la norma che provvederà alla concreta qualificazione e sanzione del fatto stesso. Tale duplice tipicità potrà essere "originaria" o "sopravvenuta", a seconda se la coesistenza tra le due norme incriminatrici si verifichi ab initio o solo in un momento successivo. Nel caso in esame, tra i reati di discarica abusiva e abbandono incontrollato di rifiuti si verifica un fenomeno di duplice tipicità (apparente) sopravvenuta, quando una iniziale condotta di abbandono di rifiuti prosegue nel tempo in forme quantitativamente più importanti, progredendo verso la discarica abusiva. Entrambi i reati hanno infatti in comune la dismissione di rifiuti con tendenziale carattere di definitività, ma il criterio discretivo è stato rinvenuto principalmente nelle "dimensioni dell'area occupata", nella "quantità dei rifiuti depositati" (Sez. 3, n. 19864 del 07/04/2022, Catalano, n.m.; Sez. 3, n. 25548 del 26/03/2019, Schepis, Rv. 276009 - 01, in motivazione). Più recentemente, questa Corte ha evidenziato (Sez. 3, n. 686 del 14/12/2023, dep. 2024, Torelli, n.m.) che la discarica abusiva si connota per le seguenti caratteristiche, la presenza delle quali costituisce valido elemento per ritenere configurata la condotta vietata: l'accumulo, più o meno sistematico, ma comunque non occasionale, di rifiuti in un'area determinata; l'eterogeneità dell'ammasso dei materiali; la definitività del loro abbandono; il degrado, quanto meno tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei materiali in questione. Pertanto, mentre nella discarica abusiva la condotta o è abituale - come nel caso di plurimi conferimenti - o, pur quando consiste in un'unica azione, è comunque strutturata, ancorché grossolanamente, al fine della definitiva collocazione dei rifiuti in loco, nel reato di abbandono differisce la condotta è "meramente occasionale", ciò essendo desumibile dall'unicità ed estemporaneità della condotta medesima, che si risolve nel semplice collocamento dei rifiuti in un determinato luogo, in assenza di attività prodromiche o successive, e dalla quantità dei rifiuti abbandonati (Sez. 3, n. 18399 del 16/03/2017, Cotto, Rv. 269914). In altre parole, se ai fini della configurabilità del reato di discarica abusiva è irrilevante la circostanza che manchino attività di trasformazione, recupero o riciclo, proprie di una discarica autorizzata (Sez. 3, n. 39027 del 20/04/2018, Caprino, Rv. 273918 - 01), ove tali attività siano presenti, pur in presenza di condotte occasionali sarà configurabile il reato di cui all'articolo 256 , comma 3, D.Lgs. 152/2006 . L'abbandono di rifiuti è quindi configurabile solo nel caso di condotta estemporanea e meramente occasionale e, anche in tale ipotesi, solo laddove la condotta abbia ad oggetto quantitativi modesti, aree non estese e non implichi attività di gestione dei rifiuti o ad esse prodromiche. In tutti gli altri casi sarà configurabile il reato di discarica abusiva. Si è pertanto in presenza di un caso di "progressione criminosa" (che si configura quando la progressione determina la modificazione del titolo del reato e consiste non solo nella intensificazione della medesima attività, ma determini il trapasso a diversa fattispecie più grave, per quanto connessa, implicante la prima; v. sul punto Sez. 4, n. 48528 del 25/10/2023, Cusimano, n.m.; Sez. 5, n. 18667 del 03/02/2021, F., Rv. 281250; Sez. 1, n. 16209 del 1978, Rv. 140675) che può essere risolto sulla base del principio di specialità, nel senso che il reato di discarica, in quanto più grave, "contiene" quello meno grave di abbandono di rifiuti. Non a caso, nell'ipotesi in esame, a pagina 7 della sentenza si chiarisce che la sentenza di primo grado ha qualificato i fatti di cui al capo A) "come realizzazione e gestione di una discarica non autorizzata ex articolo 256 , comma 3, D.Lgs. 152/2006 , in continuazione con raccolte non autorizzate di rifiuti, sia pericolose che non pericolose, ex articolo 256 , comma 1, D.Lgs. 152/2006 " e riconosciuto "l'assorbimento nei reati di cui al capo A) delle contestazioni ai sensi dell'articolo 256, comma 2, in relazione al comma 1, lettera a), D.Lgs. 152/2006 , di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti da parte di titolare di impresa di cui al capo G), nonché di trasporto non autorizzato di rifiuti di cui al capo C)". All'assorbimento, delle condotte di trasporto abusivo e abbandono o deposito incontrollato, avrebbe dovuto far seguito l'applicazione del solo regime sanzionatorio, e prescrizionale, del reato assorbente. Pertanto, erroneamente (e benevolmente) la Corte di appello ha proceduto a rideterminare la pena dichiarando la prescrizione di parte delle condotte che, per effetto della riqualificazione operata dalla prima sentenza, avevano cessato di esistere in quanto tali (per effetto della applicazione delle norme sul concorso apparente di norme coesistenti) ed erano confluite (già nella sentenza di primo grado) nel solo reato di discarica abusiva, unico da considerare anche ai fini prescrizionali. Pertanto, la doglianza si rivolge ad un capo di sentenza che ha applicato una indebita (e benevola) riduzione del trattamento sanzionatorio inflitto in primo grado ed è di conseguenza inammissibile per difetto di interesse. 3. Il secondo motivo è manifestamente infondato. Alla luce delle superiori considerazioni, appare evidente che la Corte territoriale ha confermato l'assorbimento del reato di cui all'articolo 256 , comma 2, D.Lgs. 152/2006 , in quello di cui al successivo comma 3 (tanto che di esso non vi è traccia a pagina 32, ove si quantifica la pena, in cui la continuazione interna viene applicata solo in relazione all'articolo 256, comma 1, lettere a) e b), e, tuttavia, ha ritenuto di diminuire la pena, "come se" il reato assorbito e quello assorbente fossero uniti sotto il vincolo della continuazione (il che non è) e parte dei reati assorbiti fossero prescritti, mentre non ha operato alcun aumento in continuazione per il reato di cui all'articolo 256 , comma 2, D.Lgs. 152/2006 . Il motivo è quindi manifestamente infondato. 4. Il terzo motivo è inammissibile. 4.1. In riferimento alle circostanze attenuanti generiche, la sentenza impugnata, nel richiamare la motivazione del primo giudice circa le ragioni ostative al riconoscimento delle medesime, specifica chiaramente di conoscere e valutare la condotta processuale dell'imputato (pag. 31); e, tuttavia, ritiene che su tali elementi "facciano aggio i contrari elementi valorizzati in primo grado e inerenti sia alla personalità dell'imputato e alla sua capacità criminale consolidata, sia alla gravità del reato, quindi ad entrambi i commi dell'articolo 133  c.p.". Tale motivazione fa buon governo dei principi elaborati da Questa Corte, secondo cui attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale "concessione" del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell'art. 133  cod. pen., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena" (cfr., Sez. 2, n. 14307 del 14.3.2017, Musumeci; Sez. 2, n. 30228 del 5.6.2014, Vernucci); il loro riconoscimento non costituisce, pertanto, un diritto dell'imputato, conseguente all'assenza di elementi negativi, ma richiede elementi di segno positivo (v. ex multis sez. 3, n. 24128 del 18/3/2021, De Crescenzo, Rv. 281590; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, n.m.); inoltre, stante la ratio della disposizione di cui all'art. 62-bis  cod. pen., al giudice di merito non è richiesto di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (sez. 2 n. 3896 del 20/1/2016, Rv. 265826; sez. 7 n. 39396 del 27/5/2016, Rv. 268475; sez. 4 n. 23679 del 23/4/2013, Rv. 256201), rientrando la stessa concessione di esse nell'ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (sez. 6 n. 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737). Non è neppure necessario esaminare tutti i parametri di cui all'art. 133  cod. pen., ma è sufficiente specificare a quale si sia inteso far riferimento (sez. 1, n. 33506 del 7/7/2010, Rv. 247959; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv 242419). Rileva altresì la Corte che "il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'art. 62-bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92 , convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125 , per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Guarnieri, Rv. 283489 - 01; Sez. 1, Sentenza n, 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986 - 01)". 5. Il quarto motivo è del pari inammissibile. In riferimento alla dosimetria della pena, la sentenza impugnata, che sottolinea altresì l'incidenza dei gravi e reiterati precedenti penali dell'imputato, ritiene che "la dimensione macroscopica dell'accumulo dei rifiuti, la sua visibilità da ampie aree circostanti e il suo strabordare sulla sede stradale giustificano una pena base pari al punto medio della cornice edittale, per il grave danno ambientale realizzato dall'imputato con colpa molto intensa, data dalla contemporanea violazione di un'ordinanza sindacale di rimozione di rifiuti". Anche in questo caso, la motivazione è conforme all'orientamento di questa Corte, secondo cui la graduazione del trattamento sanzionatorio, in generale, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132  e 133  cod. pen. Per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che il giudice dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133  cod. pen. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. U, n. 12778 del 27/02/2020, S., Rv. 278869-01, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243 - 01). Nel giudizio di cassazione è dunque inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, Cicciù, Rv. 273819, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, Pacchiarotti, Rv. 255825; da ultimo v. Sez. 2, n. 1929 del 16/12/2020, dep. 2021, Cipollini, non mass.). 6. Il quinto motivo è manifestamente infondato. Questa Corte ha precisato che la sostituzione della pena detentiva con la pena sostitutiva presuppone una valutazione discrezionale del giudice, il cui esercizio, se adeguatamente motivato, non è sindacabile nel giudizio di legittimità, così come previsto per i criteri dettati dall'art. 133  c.p. ai fini della determinazione della pena cui rimanda l'art. 58 della I. n. 689/1981 (Sez. 4, n. 12331 del 27/02/2024, De Falco, n.m.). Vero è che il D.Lgs. n. 10 ottobre 2022 n 150 è intervenuto sulla legge n. 689/81  con l'evidente obiettivo di estendere l'ambito applicativo delle sanzioni sostitutive; tuttavia, è pur vero che, anche nel testo attualmente vigente, l'art. 58  della legge n. 689/81  richiede al giudice, che debba valutare se applicare una pena sostitutiva, di tenere conto "dei criteri indicati dall'art. 133  del codice penale". Il novellato art. 58 stabilisce infatti che, nel decidere se applicare una pena sostitutiva e nello scegliere quale pena applicare, il giudice debba valutare quale sia la pena più idonea alla rieducazione del condannato e se sia possibile, attraverso opportune prescrizioni, prevenire il pericolo di commissione di altri reati. Nel motivare sull'applicazione (o mancata applicazione) delle pene sostitutive, dunque, il giudice può ancora oggi tenere conto dei precedenti penali dell'imputato, da valutare non tanto nella prospettiva della meritevolezza del beneficio della sostituzione, quanto in quella dell'efficacia della pena sostitutiva e della possibilità di considerarla più idonea alla rieducazione rispetto alla pena detentiva (Sez. 4, n. 42847 del 11/10/2023, Palumbo, Rv. 285381 - 01). Nel caso di specie, il giudice, nell'esercizio del suo potere discrezionale, ha specificamente evidenziato (pag. 32) che (il corsivo è del Collegio) "i motivi aggiunti non hanno offerto ragioni di ritenere che, a dispetto dei gravi e numerosi precedenti penali poco sopra illustrati e della lunga durata del reato continuato sopra accertato, l'imputato sia effettivamente pragmaticamente aperto a una fedele osservanza degli impegni connaturati a un percorso sanzionatorio alternativo a quello delle pene che non presuppongono la cooperazione del reo e che costituiscono il paradigma classico della restrizione della libertà personale, immediata comprensibilità anche per soggetti che, come l'imputato, non hanno chiaramente manifestato una volontà di emenda", così ottemperando all'obbligo motivazionale imposto dalla legge, con cui il ricorso non si confronta, risultando di tal guisa inammissibile. 7. Il sesto motivo è inammissibile. Quanto al capannone, sia l'imputazione sub A) che la stessa sentenza (pagg. 8 e 34) precisano che la realizzazione della discarica abusiva è avvenuta in parte all'interno del capannone e in parte sul piazzale ad esso antistante, per cui correttamente è stata disposta la confisca dello stesso in quanto "strumento del reato". Quanto agli altri oggetti, per un verso il ricorso non ne contiene neppure l'indicazione precisa, difettando della necessaria specificità. Peraltro verso, la sentenza impugnata (sempre a pag. 34) precisa, con riferimento agli unici oggetti menzionati specificamente, che il "bobcat" era stato utilizzato per spianare i rifiuti e per farsi largo tra di essi, e il camion per effettuare i trasporti, per cui correttamente erano stati confiscati in quanto "corpo" o "strumento" del reato (cose mediante le quali il reato viene commesso). Il motivo è pertanto inammissibile per aspecificità. 8. I motivi aggiunti, che costituiscono specificazione del primo motivo, sono infondati alla luce delle considerazioni esposte al par. 2. 9. Il ricorso deve in conclusione essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Conclusione Così deciso il 10 luglio 2024. Depositata in Cancelleria il 29 agosto 2024.