Cons. Stato, Sez. VI, 23 luglio 2024, n. 6636

Il differimento del termine per l’esercizio del potere di autotutela in relazione a una denuncia di inizio attività è consentito nei casi in cui il soggetto richiedente ha rappresentato uno stato preesistente diverso da quello reale. Guida alla lettura Con la pronuncia in commento il Consiglio di Stato si è interrogato in merito al possibile differimento del termine per l’esercizio del potere di autotutela in caso di inerzia dell’amministrazione nell’esaminare gli atti del procedimento di SCIA/DIA. Preliminarmente è opportuno ricordare che, il differimento del termine iniziale per l’esercizio del potere di autotutela ai sensi dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 deve essere determinato dalla impossibilità per l’amministrazione, a causa del comportamento dell’istante, di svolgere un compiuto accertamento sulla spettanza del bene della vita nell’ambito della fase istruttoria del procedimento di primo grado. Viceversa, nel caso in cui l’amministrazione sia nelle condizioni di conoscere lo stato dei luoghi e la conformità documentale, l’inerzia nell’esaminare gli atti, come nella DIA, si rivela del tutto ingiustificata. Il superamento del limite temporale per l’esercizio del potere di autotutela in relazione a una denuncia di inizio attività è, dunque, consentito nei casi in cui il soggetto richiedente ha rappresentato uno stato preesistente diverso da quello reale, con conseguente impossibilità per la P.A. di conoscere fatti e circostanze rilevanti, imputabile al soggetto che ha beneficiato del rilascio del titolo, non potendo la negligenza dell’amministrazione procedente tradursi in un vantaggio per la stessa. Pertanto, il dies a quo di decorrenza del termine per l’esercizio dell’autotutela deve essere quindi individuato nel momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro. Con riguardo alla vicenda in esame la Sezione ha riscontrato l’esercizio del potere di autotutela dopo oltre sei anni dalla presentazione della denuncia di inizio attività e pertanto tale tempo si configura come non ragionevole rispetto ai limiti posti all’esercizio dello ius poenitendi tratteggiato dalla disciplina dell’autotutela e rispetto alla posizione di affidamento del soggetto destinatario dell’atto di ritiro, in ragione del lungo tempo trascorso dall’adozione della DIA annullata.

Pubblicato il 23/07/2024 N. 06636/2024REG.PROV.COLL. N. 09049/2021 REG.RIC.   REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9049 del 2021, proposto da Roma Express di Principe Tiziana e c. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Antonio Maria Di Leva, con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio del medesimo, sito in Napoli, via Toledo n. 156; contro Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Cristina Montanaro e Alessia Alesii, con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia; nei confronti Giovanni Altobelli, Dario Avati, Giovanbattista Raimondi, Vincenzo Panasiti, Rajaa Suleiman, Sara Paniconi e Carmela Martone, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del T.a.r. per il Lazio (Sezione seconda) n. 3059/2021, resa tra le parti.   Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; Viste le memorie delle parti; Visti gli atti tutti della causa; Designato relatore il cons. Giuseppe La Greca; Uditi nell’udienza pubblica del 30 maggio 2024 per le parti gli avvocati Antonio Maria Di Leva e Alessia Alesii; Rilevato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue.   FATTO e DIRITTO 1.1.- La vicenda contenziosa che ha condotto all’odierno giudizio d’appello ha riguardato l’impugnazione – con doglianze involgenti plurimi vizi – di diversi atti emanati dal Comune di Roma, ossia: a) quanto al ricorso introduttivo e al primo ricorso per motivi aggiunti (quest’ultimo, depositato il 24 aprile 2013), la determinazione dirigenziale n. 2086 del 2009 recante l’ingiunzione demolitoria di opere abusive che sarebbero state realizzate dalla Roma Express Trasporti Turistici di Principe Isidoro e c. s.n.c. (di seguito «Roma Express»), congiuntamente alla comunicazione di avvio del relativo procedimento e al verbale di accertamento n. 21531/2009; b) quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti (depositato il 9 gennaio 2014), la determinazione dirigenziale n. 1945 del 2013 con la quale Roma Capitale ha disposto «l’annullamento della DIA prot. n. 42700 del 28.6.2007 e della successiva variante prot. n. 25275 del 28.4.2008 e degli effetti dalle medesime prodotti, in regime di autotutela ai sensi degli artt. 19 comma 4 e 21 della l. n. 241 del 1990»; c) quanto al terzo ricorso per motivi aggiunti (depositato il 24 aprile 2014), la relazione n. CI/2014/12396 con cui sarebbero state ribadite le ragioni a sostegno dei provvedimenti; d) quanto al quarto ricorso per motivi aggiunti (depositato il 24 marzo 2015), la determinazione dirigenziale n. CI 13933/2014 del 29 dicembre 2014, di conferma della determinazione dirigenziale n. 1945/2013. 1.2.- Con determinazione dirigenziale n. 1945/2013, datata 7 ottobre 2013, l’Unità organizzativa tecnica del Municipio Roma VII dava atto della avvenuta presentazione della DIA, in data 28 giugno 2007, da parte dell’amministratore unico della società Roma Express, riguardante «lavori di demolizione di un fabbricato ad uso ufficio/autorimessa di mq 364,00, altezza di ml 5,20, cubatura complessiva di mc. 1892,80 (condonato con concessione in sanatoria rilasciata in data 2 aprile 2003) e ricostruzione di n. 7 abitazioni a schiera, con volumetria complessiva di mc 1805,44 (mq 347,20 x ml 5,20) in via Acilio Glabrione n. 18». Evidenziava il provvedimento che: - «il lotto in oggetto di mq 965,33, situato in via Acilio Glabrione n. 18, ricade in tale ambito ed è inserito nel piano particolareggiato n. 22 "Torre del Fiscale", approvato in data 12/06/2001, come zona di "nuova edificazione non residenziale", per cui non è ammesso l'intervento di demolizione e ricostruzione con stessa volumetria e sagoma esistenti, mentre è ammessa una nuova edificazione, anche con destinazione d'uso residenziale, con un indice di fabbricabilità di 0,80 mc/mq»; - «tale lotto è anche indicato dallo stesso Piano Particolareggiato come "comparto", all'interno del quale è stata inserita un'area destinata a parcheggio pubblico (PC1) di mq 1.020, per cui la stessa normativa di attuazione prevede che tale area sia ceduta gratuitamente al comune con indennizzo della eventuale sola recinzione, al fine della determinazione della cubatura totale realizzabile nel suddetto lotto interessato»; - «la cubatura totale realizzabile, previa cessione gratuita al comune dell'area interna al lotto in oggetto, delimitata come parcheggio pubblico, è di mc 772,26 (mq 965,33 x 0,80)»; - «le opere previste non sono conformi agli strumenti urbanistici vigenti, in quanto riguardano la realizzazione di n° 7 abitazioni a schiera, con cubatura totale di mc 1805,44, superiore a quella massima consentita di mc 772,26»; - «la D.I.A. in oggetto […] non è corredata di atto d'obbligo registrato e trascritto di cessione gratuita al Comune di Roma dell'area destinata a parcheggio pubblico, alla cui sottoscrizione, da parte dell'interessato, è subordinata l'efficacia»; - «qualora fosse ipotizzabile, secondo gli strumenti urbanistici vigenti, un intervento di demolizione e ricostruzione nel lotto in oggetto, tale intervento implicherebbe il mantenimento della volumetria preesistente legittimamente realizzata o legittimata ai sensi della legge n. 47/85, senza aumento della superficie lorda, secondo le N.T.A. del P.R.G. approvate con deliberazione della G.R. n. 689 del 06/03/1979»; - «la superficie lorda, oggetto di concessione edilizia in sanatoria n. 296388 del 02/04/2003, relativa al fabbricato da demolire nella D.l.A. presentata, è di mq. 364 mentre la superficie lorda da realizzare nella ricostruzione è di mq 533,20 circa, di cui mq 347,20 per il piano terra + mq 186,00 circa per il primo piano con destinazione lavatoio, così come rappresentato nel progetto allegato alla O.I.A suddetta»; - «non si è in presenza di una ricostruzione fedele dell'edificio da demolire, come si evince dall'ante operam, quindi non sarebbe possibile far riferimento ad una D.I.A. per l'intervento in oggetto, bensì ad un permesso di costruire, ai sensi della normativa vigente all'epoca dell'abuso»; - «il progetto allegato alla D.I.A. presentata è carente della rappresentazione grafica relativa allo stato ante operam dell'edificio e non vi è corrispondenza tra piante, prospetti e sezioni del post operam»; - la documentazione allegata alla DIA non sarebbe accompagnata dal calcolo degli oneri concessori e sull’area graverebbe sia il vincolo archeologico che paesistico; - «la Regione Lazio, ai sensi dell'art. 82 del D.P.R. n. 616 del 1977, con determina dirigenziale n. 81998 del 08/04/2010, ha rilasciato accertamento di compatibilità paesistica ai soli fini ambientali e paesaggistici con rimando, secondo quanto espresso nell'art. 2 della suddetta D.D., al Comune di accertare, nella propria competenza, l'ammissibilità o meno del progetto in ordine alle vigenti norme urbanistiche ed edilizie ed a vincoli di altra natura, nonché alle previsioni degli strumenti urbanistici comunali e sovracomunali»; - «dall’esame degli elaborati grafici a corredo del suddetto accertamento di conformità paesaggistica, si evince difformità tra lo stato di progetto approvato, che prevede nelle piante a quota + mt. 4.00 da piano stradale un impianto di accumulo con pannelli solari, e lo stato di fatto, poiché a tutt'oggi tale impianto non risulta realizzato». 1.3.- Il Comune annullava, quindi, in autotutela la DIA, osservando che «l’interesse privato, se pur rilevante, non può essere anteposto ad interessi pubblici rilevanti e tutelati, consistenti nella fattispecie anche nell’acquisizione al patrimonio dell'area destinata a parcheggio pubblico». In relazione alle ragioni di interesse pubblico, Roma Capitale affermava che esse sarebbero state correlate «alla corretta e legittima trasformazione edilizia, ed all'acquisizione dell’area destinata a parcheggio pubblico», sicché non sarebbe stato possibile «procedere a convalida della predetta denuncia di inizio attività e della sua successiva variante, abdicando all’esercizio dei poteri di autotutela». 2.- Roma Capitale si opponeva all’accoglimento delle avversarie domande. 3.1.- Con sentenza n. 3059 del 2021, il T.a.r per il Lazio, sez. II-bis, dichiarava in parte inammissibile e per la restante parte improcedibile il ricorso introduttivo; dichiarava improcedibile il primo ricorso per motivi aggiunti; rigettava il secondo, il terzo ed il quarto ricorso per motivi aggiunti. 3.2.- I punti salienti del giudizio di infondatezza delle doglianze involgenti l’atto di autotutela erano stati argomentati in ragione di «insuperabili rilievi, adeguatamente esplicitati dall’amministrazione, che legittima[va]no l’annullamento d’ufficio dei sopra indicati titoli edilizi». Più precisamente: a) quanto alla «non conformità dell’intervento alle previsioni del Piano Particolareggiato Zona “O” n. 22 “Torre del Fiscale”, nel quale, […] l’area interessata è inserita nella zona di “nuova edificazione non residenziale”»: a1) la demolizione delle opere preesistenti, costituite da un capannone destinato al parcheggio di autobus e da un fabbricato in muratura destinato ad uffici e servizi, con destinazione, come da concessione edilizia rilasciata in sanatoria il 2 aprile 2003, ad «attività industriale ed artigianale», con successiva edificazione di sette villette a schiera con destinazione residenziale, integra un intervento di nuova edificazione, il che avrebbe escluso «una qualificazione in termini di ristrutturazione sia pure c.d. “pesante” che, in ogni caso, è comunque soggetta alla disciplina del permesso di costruire»; a2) ai sensi dell’art. 22, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001 – previsione all’epoca vigente che ha costituito oggetto di successiva abrogazione, sebbene l’interessato avesse facoltà di optare, nei casi previsti, per la presentazione della d.i.a. c.d. sostitutiva in luogo del permesso di costruire, tale opzione, tuttavia, esauriva i suoi effetti sul piano procedimentale, restando ferma sul piano sostanziale l’applicazione della disciplina dettata per il permesso di costruire; per l’intervento in argomento l’ammissibilità della DIA (oggi SCIA) sostitutiva era comunque esclusa; a3) premesso il criterio discretivo tra un intervento di «demolizione e ricostruzione» e una «nuova costruzione», la demolizione di un capannone con annesso edificio destinato a servizi seguito dalla costruzione di sette villette a schiera non rientrava, neppure accedendo alla più ampia estensione consentita dal dettato normativo, nell’ambito degli interventi di demolizione e ricostruzione riconducibili alla ricostruzione c.d. «pesante»; nel caso di specie l’intervento in rilievo avrebbe integrato una «nuova costruzione»; a4) in forza delle previsioni del piano particolareggiato, la nuova edificazione sarebbe stata ammessa nelle aree incluse nella zona in argomento entro specifici limiti e, segnatamente, con un indice di fabbricabilità di 0,80 mc/mq.; a5) dalle stesse disposizioni delle N.T.A. del P.R.G. richiamate da parte ricorrente (il riferimento è agli artt. 15 e 16, richiamati dall’art. 17, indicate, da ultimo, nella memoria depositata da parte ricorrente il 30 dicembre 2020), non sarebbe emersa una generale ammissibilità di una integrale destinazione residenziale bensì il mantenimento delle preesistenze, nella fattispecie integralmente demolite, oltre a circoscritte potenzialità per interventi di completamento. Anche le trasformazioni indicate in dette norme sarebbero state da riferire a preesistenze e, nella sostanza, da ricondurre ad interventi inquadrabili nella ristrutturazione anche mediante demolizione e ricostruzione ove, invece, per le ragioni sopra esposte, l’intervento attuato dalla ricorrente avrebbe integrato un radicale intervento di nuova edificazione; a6) sarebbe stata priva di rilevanza la circostanza che le previsioni di piano non stabilissero espressamente l’invarianza di sagome, non potendosi prescindere dalle generali declaratorie degli interventi edilizi di cui alle classificazioni recate nel d.P.R. n. 380 del 2001, insuscettibili di essere modificate dalla disciplina edilizia ed urbanistica comunale, nella formulazione vigente e, dunque, applicabile ratione temporis; a7) il termine decennale di efficacia previsto per i piani particolareggiati, in sostanza, sarebbe stato applicabile solo alle disposizioni di contenuto espropriativo, non anche alle prescrizioni urbanistiche di piano, che sarebbero rimaste pienamente operanti e vincolanti sino all’approvazione di un nuovo piano attuativo; a8) il carico urbanistico sarebbe tutt’altro che diminuito; b) quanto ai presupposti dello ius poenitendi ex art. 21-nonies l. n. 241 del 1990: b1) nessun legittimo affidamento dell’interessata vi sarebbe stato stante la ponderazione complessiva degli interessi, correttamente svolta dall’amministrazione ai fini dell’adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio; b2) non emergerebbe in atti la piena corrispondenza tra gli elaborati grafici posti a corredo della richiesta di compatibilità paesaggistico ambientale e quelli allegati alla d.i.a. con precipuo riferimento all’impianto di «accumulo con pannelli solari», che non risulterebbe essere stato realizzato; b3) nell’ipotesi di presentazione di una dichiarazione di inizio di attività, l'inutile decorso del termine di trenta giorni assegnato all'autorità comunale per l'adozione del provvedimento di inibizione ad effettuare il previsto intervento edificatorio, non comportava che l'attività del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma normativo, potesse considerarsi lecitamente effettuata e, quindi, esente dalle sanzioni previste dall'ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi; il titolo abilitativo formatosi per effetto dell'inerzia dell'amministrazione potrebbe, infatti, formare oggetto, alle condizioni previste in via generale dall'ordinamento, di interventi di annullamento d'ufficio o revoca; b4) l’intervento in questione non sarebbe stato neppure assentibile mediante d.i.a. (neppure sostitutiva); b5) anche con riferimento all'annullamento di titoli edilizi adottati prima della modifica normativa introdotta all’art. 21-nonies l. n. 241 del 1990 con la l. 7 agosto 2015, n. 124, è fatta comunque salva l'operatività del «termine ragionevole», secondo la formulazione del testo originario della sopra indicata disposizione, considerato che la novella non potrebbe non valere come indice ermeneutico ai fini dello scrutinio dell'osservanza della regola di condotta in questione; b6) sia la rilevata inidoneità della d.i.a. sostitutiva a fornire legittimazione alla realizzazione delle opere edificate, sia le ulteriori circostanze riferite alle carenze e difformità documentali, convergerebbero nel senso della piena legittimità della determinazione adottata dall’amministrazione; b7) nella ponderazione degli interessi implicati, l’amministrazione avrebbe adeguatamente esplicitato gli interessi pubblici, ulteriori rispetto al ripristino della legittimità violata, a fondamento dell’annullamento d’ufficio dei titoli edilizi; in altri termini, al di là della circostanza che l’intervento di nuova edificazione sarebbe stato eseguito in assenza di un titolo edilizio idoneo – tale non essendo la d.i.a. sostitutiva –, l’amministrazione avrebbe rilevato l’incidenza che dall’edificazione deriva in termini di negativo impatto sul contesto, stante il non esiguo incremento del carico urbanistico, con i correlati riflessi concernenti le dotazioni di standard, stante la perdurante carenza di aree destinate a servizi pubblici. 4.- Avverso la predetta sentenza interponeva appello la parte privata la quale ne chiedeva la riforma sulla base di doglianze così articolate: 1) Errores in iudicando; violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 19, 21 e 21-nonies l. n. 241 del 1990; artt. 3, co. 6, 6 e 7 n.t.a. p.r.g. Comune di Roma approvato con d.c.c. n. 18 del 12 febbraio 2008; regolamento generale edilizio del comune di Roma approvato con deliberazione 18 agosto 1934 n. 5261; art. 3, co. 12, n.t.a. p.r.g. vigente sino all’approvazione del nuovo p.r.g.; art. 4, co. 1, lett. d, n.t.a del nuovo p.r.g. cit.); eccesso di potere per difetto di interesse pubblico all’adozione del provvedimento. L’appellante sostiene che: - nel caso di specie sarebbe da escludersi la presenza di una «nuova costruzione» come definita dall’art. 3, comma 1, lett. e), d.P.R. n. 380 del 2001, considerato che l’intervento risulterebbe realizzato in coerenza con quanto disposto dal piano particolareggiato n. 22 «Torre del Fiscale», il cui art. 15 NTA prevedrebbe la possibilità di eseguire interventi di demolizione e ricostruzione, con il mantenimento del volume preesistente, senza aumento della superficie lorda e con il rispetto dell’altezza massima non superiore a ml. 7,50 o a quella, se maggiore, dell’edificio preesistente senza alcun ulteriore limite in merito alla variazione della sagoma; - la destinazione abitativa sarebbe ammessa in forza del richiamo che l’art. 17 NTA opererebbe ai precedenti artt. 15 e 16 (l’art. 15, peraltro, sarebbe applicabile in presenza di un’area libera); - quanto alla rilevata (dal Comune) prevista cessione al Comune di Roma Capitale dell’area di parcheggio (la cui realizzazione, in tesi di parte appellante, non sarebbe possibile), essa sarebbe contemplata nel piano particolareggiato solo per la fattispecie della nuova costruzione e non della demolizione e ricostruzione; - i contestati volumi aggiuntivi integrerebbero la fattispecie del c.d. volume tecnico; - non sussistevano i presupposti per considerare il piano seminterrato ed il primo piano nel calcolo delle superfici e dei volumi utili (il piano primo sarebbe stato destinato ad ospitare gli impianti tecnologici per l’utilizzo delle fonti rinnovabili di energia; il piano seminterrato sarebbe stato destinato a cantine); - quanto alla variazione di sagoma, il progetto sarebbe stato conforme alla pianificazione urbanistica; - la previsione del parcheggio pubblico sarebbe risultata non più attuabile per il decorso del termine decennale di validità del piano attuativo, il quale sarebbe scaduto il 12 maggio 2011; il vincolo espropriativo sarebbe pure, peraltro, decaduto; 2) Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3 e 21-nonies l. n. 241 del 1990); mancata valutazione e insussistenza del pubblico interesse all’adozione dell’atto di autotutela. L’appellante sostiene che: - i provvedimenti non sarebbero sorretti da adeguata motivazione (quanto all’ulteriore interesse pubblico oltre il mero ripristino della legalità) e non sarebbero stati emanati entro il termine ragionevole richiamato dall’art. 21- nonies l. n. 241 del 1990. In tal senso il T.a.r. non avrebbe valutato: a) la circostanza dell’avvenuta ultimazione delle opere oltre il termine di sei anni dalla DIA, b) il legittimo affidamento riposto dalla parte privata e la mancata considerazione delle ragioni di pubblico interesse concrete ed attuali; - il maggior carico urbanistico non sarebbe dimostrato (il quale sarebbe, invece, diminuito). 5.- Si è costituita in giudizio Roma Capitale la quale ha evidenziato che quanto dichiarato nella DIA del 2007 e successiva variante 2008 non rifletterebbe la situazione fattuale posta in essere dalla società appellante in termini di volumetria e considerato che l’invocato art. 17 NTA sarebbe riferibile soltanto alle possibili categorie di destinazioni d’uso e non anche ai possibili interventi. Poiché la società avrebbe eseguito opere di nuova costruzione, l’edificazione avrebbe integrato – come affermato in sentenza – un intervento di nuova edificazione e non di ristrutturazione sia pure c.d. pesante. Il piano primo non potrebbe configurarsi come volume tecnico poiché gli elaborati grafici corredati alla D.D. n. 1998 datata 8 aprile 2010 non sarebbero conformi a quelli allegati alla DIA. Quanto all’efficacia del piano attuativo, essa sarebbe da escludersi dovendosi applicare il termine decennale solamente per le disposizioni aventi contenuto espropriativo, non anche alle prescrizioni urbanistiche di piano, che rimarrebbero pienamente operanti e vincolanti. Da ultimo, la (asserita) legittimità dell’autotutela sulla DIA sarebbe confermata non solo dal mancato obbligo della cessione gratuita dell’area da destinare a parcheggio pubblico, ma anche dall’interesse pubblico alla base di un vincolo paesaggistico che graverebbe sull’area ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004 a causa della presenza di antichi acquedotti e della Via Latina. 6.1.- L’appellante ha depositato, in prossimità dell’udienza, ulteriori scritti difensivi volti a ribadire la propria posizione. 6.2.- Ha replicato la parte pubblica la quale, rispetto alla presunta non tempestività dell’azione amministrativa fatta valere dalla società, ha sottolineato la necessità di rimuovere una situazione di illegittimità senza che in tal senso potesse, in tesi, rilevare il decorso del tempo. 7.- All’udienza pubblica del 30 maggio 2024, presenti i procuratori delle parti i quali hanno ribadito le rispettive tesi difensive, l’appello, su richiesta degli stessi, è stato trattenuto in decisione. 8.- Premesso, in via preliminare, che il gravame proposto da Roma Express non riguarda i capi della sentenza relativi alla dichiarata inammissibilità ed improcedibilità del ricorso introduttivo nonché relativi alla dichiarata improcedibilità del primo ricorso per motivi aggiunti, l’appello deve essere accolto nei sensi appresso specificati. 9.- In via prioritaria devono esaminarsi le censure involgenti la dedotta incompatibilità del provvedimento di autotutela con i canoni delineati dall’art. 21- nonies l. n. 241 del 1990 vigente ratione temporis, in punto di congruità della motivazione sottesa all’atto di ritiro. Ciò in relazione al tempo nel quale esso è stato adottato rispetto al momento di presentazione della DIA e al legittimo affidamento che sarebbe stato ingenerato in capo al privato. Tra i dedotti elementi deve, in via di ulteriore priorità, scrutinarsi quello che preclude il legittimo esercizio del potere di autotutela una volta superato il ‘termine ragionevole’ (il provvedimento nel caso di specie è stato adottato il 7 ottobre 2013) rispetto alla data di adozione del provvedimento oggetto di ritiro (nel caso di specie, rispetto alla presentazione della denunzia di inizio attività, datata 28 giugno 2007). 9.1.- L’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990, nel testo vigente ratione temporis, stabiliva, al comma 1, che «Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge». A tale disposizione rinviava il testo dell’art. 19, comma 3, della l. n. 241 del 1990 vigente al tempo della presentazione della DIA, il quale stabiliva – per quanto qui di interesse – che «L’amministrazione competente, in caso di accertata carenza delle condizioni, modalità e fatti legittimanti, nel termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 2, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. È fatto comunque salvo il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies». 9.2.- Il testo di tale disposizione vigente al momento del successivo atto di autotutela era, nella sostanza, di analogo tenore, al netto di una diversa modulazione dei termini ivi contemplati («3. L'amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. E' fatto comunque salvo il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci, l'amministrazione, ferma restando l'applicazione delle sanzioni penali di cui al comma 6, nonché' di quelle di cui al capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo periodo»). 9.3.- L’art. 22 d. P.R. n. 380 del 2001, sempre nel testo vigente al momento della presentazione della DIA, ammetteva la realizzabilità «mediante denuncia di inizio attività gli interventi non riconducibili all'elenco di cui all'articolo 10 e all'articolo 6». Il seguente art. 23, comma 6, prevedeva che «Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 1 sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento, e, in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l'autorità giudiziaria e il consiglio dell'ordine di appartenenza. È comunque salva la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio di attività, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia». 9.4.- L’evoluzione della disciplina – che ha visto, tra l’altro, la DIA trasformarsi in SCIA – ha previsto che «all’immediata intrapresa dell’attività oggetto di segnalazione si accompagnino successivi poteri di controllo dell’amministrazione, più volte rimodulati, da ultimo dall’art. 6 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche»). 9.5.- Ora, Roma Capitale ha ritenuto di «annullare» (gli effetti del)la DIA trascorsi più di sei anni dalla presentazione della denuncia di inizio attività: tale tempo si configura come non ragionevole rispetto ai limiti posti all’esercizio dello ius poenitendi tratteggiato dalla primigenia disciplina dell’autotutela contenuta nella l. n. 241 del 1990 e rispetto alla posizione del soggetto societario destinatario dell’atto di ritiro. 9.6.- L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sentenza n. 8 del 2017), con riferimento alla questione dell’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria (le cui conclusioni valgono, in linea di principio, anche per l’esercizio dei poteri di autotutela a seguito di DIA o SCIA), ha chiarito che il relativo provvedimento «deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’adozione dell'atto di ritiro, anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole». Ha evidenziato che, «ai fini dell’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consuma il potere di adozione dell'annullamento d'ufficio e, in ogni caso, il termine “ragionevole” per la sua adozione decorre soltanto dal momento della scoperta, da parte dell'amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell'atto di ritiro; l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione risulta attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati; la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell'atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione può dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte»; «nella vigenza dell’art. 21-nonies l. 241 del 1990 – per come introdotto dalla l. n. 15 del 2005 – l'annullamento d'ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all'adozione dell'atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole; in tali ipotesi, tuttavia, deve ritenersi: i) che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell'annullamento d'ufficio e che, in ogni caso, il termine «ragionevole» per la sua adozione decorra soltanto dal momento della scoperta, da parte dell'amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell'atto di ritiro; ii) che l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione risulterà attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati (al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell’esercizio del ius poenitendi); iii) che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell'atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte». 9.7.- Ciò premesso, nella specie, manca sia l’esternazione delle ragioni di interesse pubblico (al di là del mero ripristino della legalità violata) sia la valutazione motivata della posizione dei soggetti destinatari del titolo edilizio. Nel caso in esame tale affidamento era, peraltro, particolarmente qualificato in ragione del lungo tempo trascorso dall'adozione della d.i.a. annullata, risultando decorsi oltre sei anni dal suo consolidamento, in presenza di obblighi (cessione dell’area destinata a parcheggio) a carico dell’appellante di non chiara evidenza. 9.8.- Va aggiunto sotto tale profilo che il d.l. n. 133 del 2014 («Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive»), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, aveva posto uno sbarramento temporale all'esercizio del potere di autotutela, rappresentato da «diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici». Pur se tale norma non è applicabile ratione temporis, in ogni caso, come questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di evidenziare, rileva ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema degli interessi rilevanti (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 5625 del 2015). 9.9.- Ora, è nel principio di buon andamento espresso nell’art. 97 Cost. che «si radica il vincolo per il legislatore di tenere conto, nella disciplina dell’annullamento d’ufficio, anche dell’interesse pubblico alla stabilità dei rapporti giuridici già definiti dall’amministrazione» (Corte cost. n. 181 del 2017) con la conseguenza che, proprio nei casi in cui è mancato ab origine un provvedimento ampliativo in senso stretto (vertendosi nel caso di specie di un’attività posta in essere sulla base di DIA), l’adozione dell’atto di autotutela avrebbe dovuto avvenire, comunque, in un tempo accettabile – per l’appunto «ragionevole» – idoneo a non determinare la violazione di tale principio di rilevanza costituzionale e comunque tale da non ledere il legittimo affidamento che giocoforza si è determinato in capo al privato in mancanza di tempestivi provvedimenti. 9.10.- Né, nel caso di specie, può parlarsi di carenza di effetti ab origine della DIA poiché essa conteneva la documentazione minima necessaria; quanto alle difformità di ordine sostanziale – peraltro non del tutto nitide – evidenziate in sede di autotutela, la relativa rilevanza ai fini degli effetti dell’efficacia della DIA era esclusa dalla previsione del potere di cui all’art. 23, comma 6, d.P.R. n. 380 del 2001 e dal termine perentorio ivi contemplato, non rispettato dall’Amministrazione. 9.11.- Inoltre, nel provvedimento di autotutela, sul versante documentale, il Comune di Roma ha fatto riferimento alla mancata sottoscrizione dell’atto di cessione gratuita dell’area destinata a parcheggio – ciò che avrebbe privato di efficacia la DIA – e alla (asserita) carenza della documentazione grafica relativa allo stato «ante operam» dell’edificio e alla mancata corrispondenza tra piante, prospetti e sezioni del post operam. Ove pure si volesse ragionare – con una evidente forzatura, anche in fatto – secondo il parametro di legittimità offerto dalla attuale formulazione dell’art. 21-nonies l. n. 241 del 1990, il quale pure dà rilevanza alle carenze e difformità documentali, le evidenziate carenze non avrebbero consentito, comunque, di superare l’ulteriore (rispetto a quello ex d.l. n. 133 del 2014) termine di legge «secco» introdotto dal legislatore per l’esercizio del potere di autotutela. È stato condivisibilmente evidenziato che l’articolo 21-nonies, in definitiva, contempla, oggi, «due categorie di provvedimenti – differenziabili in ragione dell'uso della disgiuntiva "o" – che consentono all'Amministrazione di esercitare il potere di annullamento d'ufficio oltre il termine di diciotto mesi dalla loro adozione, a seconda che siano, appunto, conseguenti a false rappresentazioni dei fatti o a dichiarazioni sostitutive false. La ratio dell’illustrato comma 2-bis, infatti, risiede nell’esigenza che il dies a quo di decorrenza del termine per l’esercizio dell’autotutela debba essere individuato nel momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro (cfr. Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, n. 8 del 17 ottobre 2017, riferita peraltro al concetto di termine “ragionevole”, in quanto involgente una fattispecie concreta venuta in essere prima della riforma). La “scoperta” sopravvenuta all’adozione del provvedimento di primo grado deve tradursi in una impossibilità di conoscere fatti e circostanze rilevanti imputabile al soggetto che ha beneficiato del rilascio del titolo edilizio, non potendo la negligenza dell’Amministrazione procedente tradursi in un vantaggio per la stessa, che potrebbe continuamente differire il termine di decorrenza dell’esercizio del potere. In sostanza, il differimento del termine iniziale per l’esercizio dell’autotutela deve essere determinato dall’impossibilità per l’Amministrazione, a causa del comportamento dell’istante, di svolgere un compiuto accertamento sulla spettanza del bene della vita nell’ambito della fase istruttoria del procedimento di primo grado» (Cons. Stato, sez. VI, n. 1926 del 2024, cit.; più recentemente n. 4665 del 2024). Ora, in una situazione quale quella per cui è causa, nella quale il Comune era perfettamente nelle condizioni di conoscere dello stato dei luoghi e della conformità o meno dell’integrale corredo documentale versato agli atti del procedimento dall’appellante, l’inerzia della civica Amministrazione nell’esaminare gli atti, frutto di un atto privato quale era la DIA, si rivelava del tutto ingiustificata. In tal senso, il provvedimento di ritiro si mostra chiaramente lesivo del principio di affidamento del privato nella «sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto» (Corte cost. n. 216 del 2023), il quale non può essere leso da una decisione che trasmodi in un nuovo regolamento di una situazione sostanziale consolidata. 10.- Conclusivamente, previo assorbimento delle ulteriori doglianze, irrilevanti ai fini della presente decisione, l’appello va accolto nei sensi sopra specificati con conseguente accoglimento del secondo ricorso per motivi aggiunti, con riguardo al primo (e assorbente) motivo, e del quarto ricorso per motivi aggiunti, con riguardo al primo motivo in via derivata, e annullamento degli atti ivi impugnati. In relazione al terzo ricorso per motivi aggiunti, il carattere non provvedimentale della relazione ivi impugnata ne determinava l’inammissibilità per carenza originaria di interesse. 11.- Gli specifici profili della vicenda procedimentale e contenziosa consentono la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione sesta), accoglie l’appello nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, in parziale riforma dell’impugnata sentenza: a) accoglie il secondo ricorso per motivi aggiunti, con riguardo al primo motivo, e il quarto ricorso per motivi aggiunti, con riguardo al primo motivo in via derivata, proposti in prime cure; b) annulla conseguentemente gli atti ivi impugnati; c) dichiara improcedibile il terzo ricorso per motivi aggiunti di primo grado; d) compensa le spese del doppio grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Carmine Volpe, Presidente Giordano Lamberti, Consigliere Davide Ponte, Consigliere Lorenzo Cordi', Consigliere Giuseppe La Greca, Consigliere, Estensore