Cass. III, ord., 28 ottobre 2024, n. 27753
Massima In caso di esercizio dell'azione di ingiustificato arricchimento nei confronti di una Pubblica Amministrazione, è irrilevante, di per sé sola considerata, l'utilità della prestazione espletata, sicché, eccepitane la carenza da parte della convenuta, l'attore non è onerato dal dover provare la sua sussistenza. Nota In materia di onere probatorio relativo all’azione generale di arricchimento prevista dall’articolo 2041 del Codice civile e promossa contro la pubblica amministrazione la Corte di cassazione ha affermato che chi agisce per l’indennizzo o la restituzione della cosa non deve provare l’utilitas conseguita dall’arricchito o sottostare al riconoscimento della sua sussistenza da parte del soggetto pubblico, ma deve solo dimostrare il proprio depauperamento. Infatti, la pubblica amministrazione a fronte dell’oggettiva prestazione ricevuta non è tenuta ad alcuna restituzione solo se dimostra che l’arricchimento conseguito gli è stato imposto per sua inconsapevolezza o perché da essa non voluto. Il caso concreto Nel caso si trattava di prestazioni per la realizzazione di lavori in un cantiere comunale e di cui l’ente locale contestava tanto l’affidamento quanto il vantaggio conseguito. In effetti, dal punto di vista soggettivo, il Comune riteneva di non aver mai intrattenuto rapporti contrattuali con la società ricorrente bensì con la ditta individuale di cui era titolare il rappresentante legale della società stessa. Inoltre, dal punto di vista oggettivo l’ente locale contestava di aver conseguito qualsiasi vantaggio dalle prestazioni asseritamente svolte dal soggetto privato, in quanto i lavori erano stati bloccati dalla chiusura del cantiere su iniziativa della procura locale e la ditta era stata richiesta di eliminare i calcinacci interrati nell’area sequestrata. Il principio di diritto Il giudice di merito aveva dato ragione al Comune che si era opposto all’ingiunzione di remunerare la società subentrata alla ditta individuale nei lavori del cantiere affermando che l’ente aveva disconosciuto di aver ricevuto un vantaggio patrimoniale dall’attività della ricorrente. Ma ciò non è un presupposto per l’accoglimento della domanda giudiziale contro l’indebito arricchimento della pubblica amministrazione. Da cui l’annullamento della decisione e il rinvio a diverso giudice che dovrà verificare l’effettivo depauperamento del privato e la circostanza che si sia eventualmente trattato di “arricchimento imposto”. Sul punto la Cassazione nell’operare il rinvio ha espresso il principio di diritto cui dovrà attenersi il giudice d’appello: “in caso di esercizio dell’azione di ingiustificato arricchimento nei confronti di una Pubblica Amministrazione, è irrilevante, di per sé sola considerata, l’utilità della prestazione espletata, sicché, eccepitane la carenza da parte della convenuta, l’attore non è onerato dal dover provare la sua sussistenza”. Le motivazioni della decisione Una volta che sia stato provato il proprio depauperamento – e il contestuale arricchimento della pubblica amministrazione – da parte di chi agisce a norma dell’articolo 2041 del Cc, la domanda va accolta con il solo “limite del divieto di arricchimento imposto”. Questo perché – come afferma la decisione di legittimità – “il diritto fondamentale di azione del depauperato deve adeguatamente coniugarsi con l’esigenza, altrettanto fondamentale, del buon andamento dell’attività amministrativa, affidando alla stessa pubblica amministrazione l’onere di eccepire e provare il rifiuto dell’arricchimento o l’impossibilità del rifiuto per la sua inconsapevolezza”. Quindi, non solo l’impoverito non deve provare alcuna utilità della Pa in cui favore ha eseguito le sue prestazioni, ma neppure ha l’onere di dimostrare la regolarità della loro esecuzione quando è pacifico esse siano state rese. L’eventuale scorretta esecuzione rileva, invece, ai fini della riduzione dell’entità stessa dell’arricchimento. Di fatto, la Cassazione con la sua pronuncia oblitera un pregresso prevalente orientamento che condizionava l’accoglimento dell’azione “di ingiustificato arricchimento” al riconoscimento dell’utilitas da parte della pubblica amministrazione, ossia a fronte di una valutazione soggettiva della stessa Pa. Il diverso orientamento applicato nel caso concreto discende dal precedente nomofilattico espresso dalle sezioni Unite civili nel 2015 che “hanno posto l’accento sulla connotazione invece strettamente oggettiva dell’arricchimento che il depauperato deve provare, senza che l’amministrazione possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso”.
Ordinanza
…omissis…
- (OMISSIS) S.r.l.u. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 31/20, del 9 gennaio 2020, del Tribunale di Lecce, che – accogliendo il gravame esperito dal Comune di (OMISSIS) avverso la sentenza n. 254/17, del 16 giugno 2017, del Giudice di pace di Tricase – ha accolto l'opposizione, proposta dal medesimo Comune, avverso il provvedimento monitorio che gli ingiungeva il pagamento, in favore della predetta società, dell'importo di € 1.830,00, maggiorato degli interessi ex art. 5 del d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 e delle spese della procedura, provvedimento emesso in relazione al completamento di taluni lavori eseguiti per l'apertura di una strada nel pressi della piscina comunale.
- Riferisce, in punto di fatto, l'odierna ricorrente che il suddetto ente municipale, nell'opporsi al decreto ingiuntivo (emesso sulla base di fattura allegata da (OMISSIS) al ricorso monitorio), in primo luogo eccepiva di non aver dato alcun incarico alla società ingiungente, bensì a soggetto giuridicamente del tutto diverso, ovvero alla ditta individuale (OMISSIS) di P.D.. In secondo luogo, l'opponente contestava che i lavori fossero stati eseguiti correttamente, deducendo essere in corso un'indagine della magistratura per appurare la qualità del materiale utilizzato.
- Avverso la sentenza del Tribunale salentino e ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), sulla base – come detto – di due motivi.
- Il primo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. – “nullità della sentenza” per “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,342 e 345 cod. proc. civ.”.
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- Il secondo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e in particolare degli artt. 2041 e 2042 cod. civ.”.
- Ha resistito all'avversaria impugnazione, con controricorso, il Comune di (OMISSIS), chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
- A propria volta, il P.D., sia in proprio che nella qualità di già titolare della ditta individuale (OMISSIS), ha aderito, con controricorso, ai motivi d'impugnazione proposti dalla società ricorrente.
- La trattazione dei ricorsi è stata fissata ai sensi dell'art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
- Sia la (OMISSIS) che il P.D. hanno presentato memoria.
- Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
- In via preliminare va evidenziato che l'iniziativa assunta dal P.D. – sebbene con atto denominato “controricorso” – costituisce, a tutti gli effetti, impugnazione incidentale della sentenza, avendo il medesimo espressamente concluso per la cassazione della stessa.
- Ciò detto, entrambi i ricorsi vanno accolti, nei limiti di seguito indicati.
- Il primo motivo è inammissibile, in entrambe le censure in cui si articola.
- Tale esito, in primo luogo, s'impone per la doglianza relativa al mancato rilievo del difetto di specificità dei motivi di appello proposti dal Comune, perché essa non rispetta l'art. 366, comma 1,
- Il primo motivo è inammissibile, in entrambe le censure in cui si articola.
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- Analogamente, anche la censura di violazione dell'art. 345 cod. proc. civ. è inammissibile, perché non conforme al disposto dell'art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ.
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- Il secondo motivo di entrambi i ricorsi, invece, è fondato.
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- Erra, infatti, il Tribunale salentino quando, nel rigettare la domanda ex art. 2041 cod. civ., proposta da (OMISSIS) in via di subordine, afferma che, a fronte della contestazione – da parte del Comune di (OMISSIS) – dell'assenza della “utilitas” della prestazione resa in proprio favore, l'opposta (OMISSIS) “non ha fornito alcuna prova di aver correttamente eseguito i lavori e comunque dell'utilità che il Comune avrebbe conseguito dai lavori stessi”, ponendo, invero, a carico della stessa un onere probatorio che la norma suddetta non contempla.
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- In conclusione, il primo motivo di entrambi i ricorsi va accolto e l'impugnata sentenza cassata in relazione, con rinvio al Tribunale di Lecce, in persona di diverso magistrato, per la decisione sul