Cass. civ., sez. III, ord., 5 novembre 2024, n. 28390
Massima. Non rappresenta fatto costitutivo di responsabilità risarcitoria l'omessa comunicazione da parte di uno dei due coniugi, prima della celebrazione del matrimonio, dello stato psichico di concreta incertezza circa la permanenza del vincolo matrimoniale e della scelta di contrarre matrimonio con la riserva mentale di sperimentare la possibilità che il detto vincolo non si dissolva.
Ordinanza …omissis… è stata dichiarata la nullità del matrimonio dal Tribunale ecclesiastico, essendo la riserva mentale in ordine alla dissolubilità del matrimonio causa di nullità del medesimo secondo il diritto canonico. Non è stata accolta la domanda di riconoscimento della sentenza ecclesiastica, stante la contrarietà all'ordine pubblico derivante dalla necessità di protezione dell'affidamento incolpevole del coniuge ignaro della riserva mentale, la quale è estranea al regime della nullità del matrimonio previsto dall'ordinamento civile. L'assenza di una nullità rilevante per l'ordinamento civile sgombra subito il campo dalla responsabilità del coniuge in mala fede ai sensi dell'art. 129 bis c.c. (come anche alla tipologia dell'errore di cui all'art. 122 c.c. della denunciata lesione dell'affidamento). Residua la questione della responsabilità risarcitoria per la mancata comunicazione della riserva mentale sulla possibile dissolubilità del matrimonio a causa del ravvisato concreto rischio di emersione di fatti che avrebbero potuto rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, rischio che la nubenda si era rappresentata al punto di contrarre il matrimonio “per prova”. In entrambi i gradi di merito tale responsabilità risarcitoria è stata esclusa sulla base di una motivazione, in particolare da parte della corte territoriale, per quanto concerne il sindacato di legittimità, che il Collegio non può che condividere. Al riguardo, deve rammentarsi quanto affermato, in generale, dalla fondamentale pronuncia n. 500 del 1999 delle Sezioni Unite di questa Corte: «ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana non assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto, poiché la tutela risarcitoria è assicurata solo in relazione alla ingiustizia del danno, che costituisce fattispecie autonoma, contrassegnata dalla lesione di un interesse giuridicamente rilevante. Quali siano gli interessi meritevoli di tutela non è possibile stabilirlo a priori: caratteristica del fatto illecito delineato dall'art. 2043 c.c., inteso nei sensi suindicati come norma primaria di protezione, è infatti la sua atipicità. Compito del giudice, chiamato ad attuare la tutela ex art. 2043 c.c., è quindi quello di procedere ad una selezione degli interessi giuridicamente rilevanti, poiché solo la lesione di un interesse siffatto può dare luogo ad un "danno ingiusto", ed a tanto provvederà istituendo un giudizio di comparazione degli interessi in conflitto, e cioè dell'interesse effettivo del soggetto che si afferma danneggiato, e dell'interesse che il comportamento lesivo dell'autore del fatto è volto a perseguire, al fine di accertare se il sacrificio dell'interesse del soggetto danneggiato trovi o meno giustificazione nella realizzazione del contrapposto interesse dell'autore della condotta, in ragione della sua prevalenza. Comparazione e valutazione che, è bene precisarlo, non sono rimesse alla discrezionalità del giudice, ma che vanno condotte alla stregua del diritto positivo, al fine di accertare se, e con quale consistenza ed intensità, l'ordinamento assicura tutela all' interesse del danneggiato». La necessità della comparazione, che l'ordinamento giuridico stabilisce, deriva dalla circostanza che nella nozione di ingiustizia di cui all'art. 2043, la quale indubitabilmente qualifica il danno (contra ius), deve tuttavia essere altresì considerato il comportamento del danneggiante, il quale deve essere non iure (privo di giustificazione per il diritto) ai fini dell'integrazione della fattispecie di responsabilità. La comparazione si risolve nella prevalenza dell'interesse della vittima, reputato rilevante dall'ordinamento giuridico, che è la sfera dove si colloca il danno, laddove tuttavia manchi un interesse normativamente protetto in capo al soggetto che, chi promuove l'azione di responsabilità, identifica come danneggiante. La responsabilità risarcitoria discende dall'ingiustizia del danno, non dalla antigiuridicità della condotta, alla luce dell'atipicità dell'illecito aquiliano quale protezione della situazione soggettiva rilevante per l'ordinamento giuridico, ma l'interesse non riceve la protezione derivante dalla clausola generale del danno ingiusto se ciò che per l'ordinamento deve essere tutelato, in base alla sua valutazione di prevalenza, è l'interesse dell'autore della condotta asseritamente pregiudizievole, in realtà non produttiva di un danno ingiusto, proprio per la prevalenza dell'interesse di chi agisce. Ciò premesso, deve considerarsi che la libertà matrimoniale è un diritto della personalità, sancito anche dall'art. 12 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Benché il matrimonio sia un atto di autonomia privata, non può esservi attribuito l'effetto impegnativo del vincolo di cui all'art. 1372 c.c. alla luce del diritto di chiedere la separazione giudiziale al cospetto di un fatto tale da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza. Come affermato da Cass. n. 18853 del 2011: «nel vigente diritto di famiglia, contrassegnato dal diritto di ciascun coniuge, a prescindere dalla volontà o da colpe dell'altro, di separarsi e divorziare, in attuazione di un diritto individuale di libertà riconducibile all'art. 2 Cost., ciascun coniuge può legittimamente far cessare il proprio obbligo di fedeltà proponendo domanda di separazione ovvero, ove ne sussistano i presupposti, direttamente di divorzio. Con il matrimonio, infatti, secondo la concezione normativamente sancita del legislatore, i coniugi non si concedono un irrevocabile, reciproco ed esclusivo "ius in corpus" – da intendersi come comprensivo della correlativa sfera affettiva – valevole per tutta la vita, al quale possa corrispondere un "diritto inviolabile" di ognuno nei confronti dell'altro, potendo far cessare ciascuno i doveri relativi in ogni momento con un atto unilaterale di volontà espresso nelle forme di legge”». Si tratta del diritto strettamente personale ed irrinunciabile, riconosciuto ai coniugi dall'ordinamento italiano, di far cessare gli stessi effetti civili, in attuazione di un diritto individuale di libertà riconducibile all'art. 2 Cost. Con riferimento ad altro profilo, ha affermato Cass. n. 6598 del 2019 che «l'ordinamento non tutela il bene del mantenimento della integrità della vita familiare fino a prevedere che la sua violazione di per sé possa essere fonte di una responsabilità risarcitoria per dolo o colpa in capo a chi con la sua volontà contraria o comunque con il suo comportamento ponga fine o dia causa alla fine di tale legame. L'ammissione di una tale affermazione incondizionata di responsabilità potrebbe andare a confliggere con altri diritti costituzionalmente protetti, quali la libertà di autodeterminarsi ed anche la stessa libertà di porre fine al legame familiare, riconosciuta nel nostro ordinamento fin dal 1970». L'atto di impegno matrimoniale è rimesso alla libera e responsabile scelta del soggetto, quale espressione della piena libertà di autodeterminarsi al fine della celebrazione del matrimonio. Tale libertà non può essere limitata da un obbligo giuridico di comunicare alla propria controparte uno stato soggettivo quale l'incertezza circa la permanenza del vincolo matrimoniale, avvertendo il soggetto il rischio concreto della sua dissoluzione ed effettuando la scelta matrimoniale nella consapevolezza di tale rischio, ciò che in altri termini comporta un tentativo o prova di convivenza matrimoniale. Affinché tale libertà non sia compromessa dall'incombenza di una conseguenza quale la responsabilità risarcitoria derivante dall'inottemperanza ad un dovere giuridico, la comunicazione in discorso, in quanto relativa alla sfera personale affettiva, può comportare esclusivamente un dovere morale o sociale. Alla luce della libertà della scelta matrimoniale non emergono, dalla mancata comunicazione dello stato d'animo di incertezza in questione, un interesse della controparte meritevole di tutela da parte dell'ordinamento con il riconoscimento del rimedio risarcitorio e, dunque, un danno ingiusto. La riserva mentale circa la concreta possibilità della dissoluzione del matrimonio è così improduttiva di effetti per l'ordinamento italiano, sia dal lato del coniuge portatore della riserva, che non può avvantaggiarsene fino a conseguire la nullità del matrimonio (in conformità del resto alla generale irrilevanza della riserva mentale in materiale negoziale), sia dal lato dell'altro coniuge, che non è titolare di un interesse meritevole di tutela risarcitoria per l'ordinamento, per avere fatto affidamento sulla mancanza di quella riserva. Va in conclusione enunciato il seguente principio di diritto: “non rappresenta fatto costitutivo di responsabilità risarcitoria l'omessa comunicazione da parte di uno dei due coniugi, prima della celebrazione del matrimonio, dello stato psichico di concreta incertezza circa la permanenza del vincolo matrimoniale e della scelta di contrarre matrimonio con la riserva mentale di sperimentare la possibilità che il detto vincolo non si dissolva”. …omissis…