Cass. civ., sez. II, ord., 18 settembre 2024, n. 25116
Massima Ove il testatore, dopo avere apposto una condizione sospensiva, dipendente anche dalla sua volontà, alla disposizione testamentaria ne impedisca l’avveramento, la disposizione testamentaria, ove non revocata, resta pienamente efficace.
Ordinanza
…omissis…
5. Con il primo motivo viene denunciata violazione dell’art. 1362 cod. civ.
Assumono i ricorrenti che la Corte d’appello, avendo reputato (sia pure utilizzando il verbo sembrare) che i nipoti onerati si fossero assunti l’obbligazione di assistenza (alla quale solo per il sopravvenuto contrario volere dello zio non era stato possibile dare esecuzione) e che, comunque, anche diversamente opinando, l’avveramento della condizione non si era verificato per volere del testatore, aveva violato la regola ermeneutica sopra richiamata.
In particolare, si addebita alla decisione di non avere preso in considerazione alcuno dei criteri di cui alla anzidetta disposizione, tenendo conto delle circostanze fattuali rilevanti emergenti dagli atti. In materia testamentaria, si soggiunge, secondo l’orientamento consolidato in giurisprudenza, con i dovuti adattamenti, era applicabile l’art. 1362 cod. civ., così da evitare che la volontà del testatore venisse prevaricata dall’interprete. In altri termini, il contenuto letterale, salvo il caso in cui l’espressione non sia foriera di dubbio alcuno, deve confrontarsi con il comportamento tenuto dal testatore successivamente alla stesura della scheda. In conclusione, seguendo gli indicati criteri, in alcun modo si sarebbe potuti giungere ad affermare la soddisfazione del disponente col solo e mero fatto dell’assunzione dell’obbligazione di assistenza, non seguita dall’effettiva prestazione: altro senso non poteva avere il prescritto “impegno ad accudire”.
Sotto altro profilo, riguardante l’avveramento della condizione, <<la corte di merito ha omesso di esaminare l’altra (parte di clausola) immediatamente seguente, nella quale la richiesta dell’impegno (…) doveva avvenire nel luogo da lui indicato ((OMISSIS)) e protrarsi (continuativamente e/o periodicamente) fino alla sua morte: tutti accadimenti che, dalla deposizione del teste Z., non sono mai emersi>>.
5.1. La censura è inammissibile.
La ratio portante della decisione è costituita dalla constatazione che non fu possibile adempiere alla condizione per volere del disponente stesso. L’anzidetto accertamento rende vano disquisire sul contenuto della prestazione richiesta: l’effettivo adempimento, per vero, fu impedito dal volere dell’A..
6. Con il secondo motivo viene denunciata <<errata applicazione>> dell’art. 1359 cod. civ.
I ricorrenti sostengono che la norma evocata non era applicabile alla fattispecie in esame, trattandosi di evento <<inoppugnabilmente possibile, futuro ed incerto alla data di redazione del testamento>>. L’art. 1359 cod. civ., si soggiunge, è posto a tutela di posizioni giuridiche attive (l’aspettativa dell’altro contraente), situazione che qui non ricorreva affatto, stante che <<il chiamato, obbligato ad adempiere la prestazione assistenziale in favore del testatore (…) non è titolare, fino alla morte del testatore, di alcuna aspettativa (…) giuridica>>. Diverso il caso in cui <<la situazione di pendenza scaturente dalla condizione sospensiva sussista alla data di apertura della successione e consenta di individuare una vicenda riconducibile, per analogia od interpretazione estensiva, alla fattispecie prevista dall’art. 1359 c.c.>>.
6.1. La censura deve essere rigettata, sia pure con motivazione diversa rispetto a quella adottata dalla Corte di Trieste.
Il richiamo all’art. 1359 cod. civ. non è condivisibile.
La previsione normativa anzidetta dispone che la condizione debba considerarsi avverata “qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa”. All’evidenza, essa regola i rapporti fra le parti di un contratto, così da impedire che la parte che resterebbe favorita dal non avveramento, si adoperi, ai danni dell’altra parte, perché ciò avvenga.
La natura di negozio giuridico unilaterale del testamento rende impraticabile l’estensione della regola.
Il codice civile ha raccolto l’eredità della cd. regola sabiniana, diretta a salvaguardare la volontà testamentaria.
L’art. 634 cod. civ., invero, pone una disciplina affatto diversa rispetto a quella prevista per i contratti dall’art. 1354 cod. civ., diretta a salvaguardare la volontà del disponente.
Volontà, la quale deve soccombere nel solo caso preveduto dall’art. 626 cod. civ. (motivo illecito che è stato causa esclusiva della disposizione testamentaria).
L’art. 634 cod. civ. salvaguarda la volontà del testatore, considerando come non apposte <<le condizioni impossibili e quelle contrarie a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume>>.
La condizione apposta al testamento di cui si discute non rientra in alcuna delle anzidette categorie e se ne distingue nettamente sotto altro profilo: il mancato avveramento della condizione si è verificato per volere dello stesso disponente, il quale non ha voluto essere assistito in vita dai nominati nipoti.
Trattasi, pertanto, di una condizione revocata per volontà dello stesso testatore.
È bene soggiungere che si è al di fuori del caso esaminato con la sentenza n. 5871/2002. In quell’occasione, peraltro con un non indifferente limitazione del “favor testamenti”, si reputò che se la condizione diviene impossibile in tempo successivo alla stesura del testamento si risolve in una condizione mancata e non più realizzabile, che non può essere equiparata, quanto agli effetti, all’impossibilità originaria (Sez. 2, n. 5871, 22/4/2002). Con la conseguente inefficacia della disposizione testamentaria, oltre e al di fuori del solo caso codicisticamente contemplato con l’art. 626 cod. civ.
Al di là della condivisibilità o meno della costruzione, è del tutto evidente che una tale conclusione poggia le basi sul presupposto che l’accadimento, che rende impossibile la condizione è, appunto, successivo alla morte del testatore e quindi, fa presumere, che ove il testatore lo avesse previsto avrebbe disposto diversamente dei suoi beni.
Al contrario, si ribadisce, qui è stato proprio il testatore a impedire l’avveramento della condizione e, nonostante ciò, ha mantenuto ferma la nomina ad eredi universali dei nipoti. Quindi, se appare improprio evocare la disciplina di cui all’art. 1359 cod. civ. per le ragioni in estrema sintesi sopra esposte, proprio il “favor testamenti” impone comunque la salvezza dell’istituzione testamentaria non revocata, nonostante la revoca, per condotta incompatibile del disponente, della condizione sospensiva apposta.
In definitiva, appare utile enunciare il seguente principio di diritto: “ove il testatore, dopo avere apposto una condizione sospensiva, dipendente anche dalla sua volontà, alla disposizione testamentaria, ne impedisca l’avveramento, la disposizione testamentaria, ove non revocata, resta pienamente efficace”.
…omissis…