Cons. Stato, Sez. VII, 23 ottobre 2024, n. 8499

Il provvedimento di decadenza non ha violato i principi di proporzionalità e correttezza, essendo intervenuto in ragione di fatti sopravvenuti nonché di condotte addebitabili alla stessa parte appellante, attuate a valle della concessione. Guida alla lettura Il Consiglio di Stato, con la pronuncia in commento, ha evidenziato che il provvedimento di decadenza non ha violato i principi di proporzionalità e correttezza, essendo intervenuto in ragione di fatti sopravvenuti nonché di condotte addebitabili alla stessa parte appellante, attuate a valle della concessione. Nessun affidamento incolpevole sarebbe configurabile in capo alla parte, la quale, tenendo una condotta negligente nel corso del rapporto, semmai ha causato il provvedimento impugnato. Nella fattispecie concreta è stato accertato che per lunghi periodi lo stabilimento oggetto di concessione è rimasto in condizioni di abbandono per omessa custodia, comportando una fonte di pericolo per la pubblica sicurezza e per la pubblica incolumità e integrando la condizione di non uso del bene in concessione di cui all’art. 47, co.1, lett. b) del R.D. n. 343 del 1942 (c.d. codice della navigazione). Non uso che di per sé legittimava l’esercizio del potere di decadenza, considerato che la messa in sicurezza del bene in concessione corrispondeva a un preciso obbligo del concessionario. Pertanto, un provvedimento di decadenza dalla concessione demaniale marittima, che si fonda su dati di fatto incontestati, riconducibili a una delle fattispecie legittimanti l’esercizio del potere di recesso, risulta conforme all’art. 47 del codice della navigazione, che contempla la condizione di non uso del bene in concessione.    

Pubblicato il 23/10/2024 N. 08499/2024REG.PROV.COLL. N. 08463/2023 REG.RIC.   REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8463 del 2023, proposto da Grand Hotel Cervia S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Efisio Figus Diaz, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Cervia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Franco Fiorenza, Silvia Medini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Capitaneria di Porto di Ravenna, Agenzia del Demanio, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Seconda) n. 105/2023   Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Cervia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 settembre 2024 il Cons. Sergio Zeuli e uditi per le parti gli avvocati Michela Di Benedetto, in sostituzione dell'avvocato Diaz Efisio Figus, e l'avvocato Sabrina Scalini in sostituzione dell'avvocato Franco Fiorenza; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. La sentenza impugnata ha dichiarato in parte improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, in parte ha rigettato il ricorso e i successivi motivi aggiunti proposti dalla parte appellante per l’annullamento del provvedimento prot. 700 del 18 maggio del 2018 con cui il Comune di Cervia ha disposto la sua decadenza dalla concessione demaniale marittima n. 34/2009 - stabilimento balneare Grand Hotel ute 210 e di tutti gli atti connessi, conseguenti e presupposti. A supporto del gravame, la parte appellante, proprietaria del Grand Hotel Cervia, titolare della concessione stabilimento balneare denominato “Bagno Cervia” esponeva le seguenti circostanze: la compagine sociale, prima dell’acquisizione dell’albergo, aveva incontrato due volte i dirigenti comunali per verificare la presenza di impedimenti all’acquisizione, al risanamento dei debiti e alla proroga delle due concessioni essenziali all’attività, essendo la terrazza di cui alla concessione n.17/2012 parte dello stesso corpo di fabbrica del Grand Hotel; il via libera degli organi dirigenziali comunali induceva all’acquisto del cespite, così, grazie all’affidamento riposto nel comune di Cervia, la parte appellante il 5 ottobre del 2016 sottoscriveva due contratti di affitto d’azienda con la società LDR da cui ricavava i proventi della locazione, destinati a ripianare i debiti esistenti; eseguiva la ristrutturazione dello Stabilimento Balneare per euro 305.000,00 e saldava i canoni arretrati del Bagno Cervia sino a tutto il 2017; oltre ad eseguire ulteriori pagamenti dovuti, otteneva dall’Agenzia del Demanio Emilia Romagna una rateizzazione dei canoni arretrati per la concessione della terrazza, acquistando la relativa fideiussione; raggiungeva un accordo transattivo con la Banca creditrice della Grand Hotel per somme derivanti da rate di mutuo rimaste insolute; il 20 aprile del 2017 perveniva la comunicazione di avvio del procedimento per la proroga della concessione n.34/2009, fino al 31 dicembre del 2020, atteso l’ottenimento della dilazione degli arretrati per la concessione n.17/2012; ottenuta la rateizzazione, la Grand Hotel depositava la corrispondente fideiussione con le modifiche e le integrazioni richieste dall’amministrazione che emetteva il titolo concessorio; l’11 luglio del 2017 perveniva il rigetto della fideiussione e il comune comunicava l’iscrizione a ruolo degli importi rateizzati; all’esito di un incontro successivamente intervenuto con i dirigenti comunali, la parte decideva di formalizzare un’istanza avente ad oggetto lo slittamento dei termini per la riscossione degli importi suddetti, oltre che l’apertura dello stabilimento, anche perché la proroga della cui concessione, era in corso di emissione; il 3 agosto del 2017, tuttavia, il comune di Cervia intimava la chiusura dello stabilimento, avviando il procedimento di decadenza, poi emessa il successivo 18 maggio del 2018, dalla concessione n.34/2009, avente ad oggetto lo stabilimento balneare Grand Hotel; la decisione condizionava la prosecuzione del rapporto, anche perché era stato parallelamente avviato il procedimento di decadenza dalla concessione n.17/2012, avente ad oggetto la terrazza prospiciente l’hotel, conclusosi parimenti con un provvedimento di decadenza, impugnato in altro giudizio; in assenza della concessione, la parte appellante era costretta anche a rimettere l’accordo concluso con la banca creditrice, con conseguente avvio della procedura esecutiva immobiliare, culminata nel pignoramento e nella vendita all’incanto; nelle more, le quote sociali della Grand Hotel erano oggetto di sequestro conservativo, successivamente revocato il 19 aprile del 2019; dopo aver vanamente tentato di convincere l’amministrazione a desistere dall’iniziativa, la parte proponeva infine ricorso dinanzi al TAR Emilia Romagna, avverso il detto provvedimento di decadenza. La sentenza impugnata ha dichiarato improcedibili il ricorso e i motivi aggiunti e ha respinto la domanda di accertamento incidentale della illegittimità degli atti a fini risarcitori. Avverso di essa sono dedotti i seguenti motivi di appello: a) NULLITA’ DELLA RICORSA SENTENZA, PER MANCANZA DI MOTIVAZIONE, E/O MERAMENTE FIGURATIVA, CONTRADDITTORIA, APPARENTE E PERPLESSA TALE DA RENDERE INCOMPRENSIBILE IL PERCORSO ARGOMENTATIVO. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 47 CODICE NAVIGAZIONE, ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO, DIFETTO D’ISTRUTTORIA E MOTIVAZIONE, LESIONE DEI PRINCIPI DI PROPORZIONALITA’, CORRETTEZZA E BUONA FEDE. b) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 21-QUINQUES E 21-NONIES DELLA L. 241/90, LESIONE DEL PRINCIPIO DI LEGITTIMO AFFIDAMENTO RIPOSTO SUL PROCEDIMENTO DI RINNOVO DELLA CONCESSIONE DEMANIALE DELLO STABILIMENTO, VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE SULLA CARENZA D’INTERESSE, MANCATA PRONUNCIA SULL’ISTANZA RISARCITORIA, VIOLAZIONE DELLA RESPONSABILITA’ PRECONTRATTUALE. 2. Si è costituito in giudizio il comune di Cervia, contestando l’avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame. DIRITTO 3. Il primo motivo d’appello rappresenta che il provvedimento di decadenza impugnato sarebbe stato emesso in violazione di quanto previsto dall’articolo 47 del R.D. n.343 del 1942 (cd. codice della navigazione), oltre che in violazione dei principi di proporzionalità e buona fede, che avrebbero dovuto presidiare l’esercizio del potere discrezionale del concedente nell’occorso. La parte appellante evidenzia, al contempo, che su questo specifico motivo di appello, già proposto in primo grado, la sentenza impugnata risulterebbe generica ed imprecisa. 3.1. Fermo restando che la condivisibile declaratoria della proposta azione di annullamento circoscrive l’oggetto del giudizio all’eventuale accertamento della illegittimità degli atti a fini risarcitori, il motivo è infondato perché il provvedimento di decadenza si fonda su dati di fatto incontestati, ciascuno di essi autonomamente sussumibile in una delle fattispecie tipiche che, a norma dell’art.47 citato, legittimavano l’esercizio del potere di recesso dal rapporto concessorio. Prima di analizzare questi ultimi, è tuttavia necessario premettere che è impropria la rilevanza attribuita dal motivo in esame al mancato pagamento dei canoni insoluti con riferimento alla concessione n.17/2012, avente ad oggetto la terrazza prospiciente l’hotel. Infatti quest’ultima circostanza ha rappresentato, al più, uno dei motivi che ha fatto venir meno la fiducia riposta dal concedente nel concessionario, ma non è stata addotta quale motivo autonomo di decadenza dal provvedimento impugnato. Dunque, le doglianze ad essa riferibili non possono rientrare nel thema decidendum, perché indebitamente proposte in questa sede. 3.1.1. Venendo alle fattispecie concrete che hanno sorretto il provvedimento di decadenza, è accertato che per lunghi periodi lo stabilimento oggetto di concessione è rimasto in condizioni di abbandono, per omessa custodia, perciò esposto ad atti vandalici. Questo, oltre a rendere il bene una fonte di pericolo per la pubblica sicurezza e per la pubblica incolumità, ha integrato la condizione di non uso del bene in concessione di cui alla lett. b) del comma 1 dell’art.47 del codice della navigazione, la qual cosa, di per sé sola, come puntualmente rilevato dal provvedimento impugnato, legittimava l’esercizio del potere di decadenza in danno della parte appellante, anche perché la messa in sicurezza del bene in concessione corrispondeva ad un preciso obbligo del concessionario. 3.1.2. Inoltre risulta accertato – all’esito dei sopralluoghi eseguiti dalla Polizia Municipale - che lo stabilimento era gestito dalla LDL Ristorazione, ossia soggetto diverso dal concessionario e che l’attività di somministrazione di alimenti e bevande in loco era svolta, oltre tutto in violazione dell’art.86 del T.U.L.P.S., da parte di altro soggetto. In entrambi i casi queste sub-gestioni non erano state comunicate al concedente, che avrebbe dovuto autorizzarle, in violazione dell’art.46 del codice della navigazione. Inoltre, gli accertamenti eseguiti in loco dalla Capitaneria di Porto evidenziavano che lo stabilimento balneare era privo del servizio di salvataggio dei bagnanti. Anche queste gravi violazioni – puntualmente riportate nel provvedimento impugnato – giustificavano di per sé sole la decadenza della concessione ai sensi delle lett. e) ed f) del citato articolo 47 codice della navigazione. 3.2. Alla luce delle ridette circostanze si può pacificamente escludere che, nell’occorso, l’amministrazione abbia esercitato in modo scorretto il potere discrezionale di cui era attributaria e che lo stesso sia stato immotivato, trovando invece preciso riscontro nelle norme di legge. 3.3. Tanto meno può fondatamente sostenersi che il provvedimento impugnato abbia violato i principi di proporzionalità e correttezza. Infatti, per come si desume dallo stesso svolgimento dei fatti, una volta venuta a conoscenza dell’intenzione della parte appellante di acquistare e di risanare la struttura al fine di riavviare l’attività, l’amministrazione comunale ha dato prova di ampia disponibilità a tutela dell’iniziativa, autorizzando il subentro e concedendo una rateizzazione del debito. Tuttavia, la successiva condotta tenuta – i fatti contestati sono infatti avvenuti in pendenza del rapporto concessorio oggetto di causa – ha evidentemente causato il venir meno del necessario rapporto fiduciario, inducendo l’amministrazione a decidersi per la decadenza, rispetto ad una situazione del bene già precedentemente compromessa, con una risoluzione che non appare né sproporzionata, né irragionevole e della quale dunque tanto meno può affermarsi la contrarietà a buona fede. 4. Il secondo motivo d’appello contesta alla sentenza impugnata di non avere riconosciuto che, in capo alla parte appellante, si era ingenerato un legittimo affidamento al mantenimento della concessione il che, a tutto concedere, avrebbe dovuto indurre l’amministrazione a mantenere efficace la concessione almeno per un periodo transitorio, onde consentire di coprire i costi sostenuti per il risanamento dell’azienda alberghiera, compreso il pagamento dei canoni rimasti insoluti dalla precedente gestione. 4.1. Il motivo è infondato perché la situazione di cui al processo non poteva ingenerare alcun legittimo affidamento nella parte appellante. 4.1.1. Innanzitutto gli atti in forza dei quali detto affidamento si sarebbe ingenerato sarebbero identificabili nelle interlocuzioni preliminari da questa avute coi dirigenti comunali; e tuttavia durante queste ultime non è mai stata acquisita la certezza in ordine ad un’apprezzabile durata del rapporto concessorio, perché esse avevano ad oggetto solo le condizioni che, per il concedente, avrebbero consentito il subentro del nuovo concessionario. In altre parole, anche a voler trascurare il dato che quelle riunioni rappresentavano meri atti preparatori e non definitivi, come tali inidonei a fondare alcuna aspettativa di diritto, l’oggetto degli incontri era solo l’esatta delimitazione degli obblighi assunti da entrambe le parti, e, per quanto riguarda la parte appellata, la possibilità di concedere tra l’altro una dilazione di pagamento. Dunque non vi era alcun impegno, neppure programmatico, col quale la concedente assicurava alla concessionaria che il rapporto avrebbe avuto una durata almeno sufficiente alla copertura dei costi da sostenere per l’iniziativa intrapresa, costi che corrispondevano, invece, a (e servivano a fronteggiare) gli ordinari obblighi volontariamente assunti dal concessionario. 4.1.2. A dimostrare l’infondatezza della doglianza vale poi ricordare che la decadenza venne disposta per condotte addebitabili alla stessa parte appellante, poste in essere “a valle” della concessione, e cioè si tratta di un provvedimento intervenuto successivamente, adottato in ragione di fatti sopravvenuti e, come visto, supportato da ragionevoli motivazioni. Di conseguenza alcun affidamento “incolpevole” sarebbe configurabile in capo alla parte, la quale, tenendo una condotta negligente nel corso del rapporto, semmai ha causato il provvedimento impugnato. 4.1.3. Aggiungasi che lo stesso fondamento della pretesa – ossia i costi sostenuti per avviare l’attività - è quanto meno discutibile possa sorreggere una tutela dell’affidamento. Detti costi corrispondevano infatti ad obblighi precisi ed attuali in capo al concessionario, e non rappresentavano investimenti liberamente assunti dalla parte, nell’ipotesi di ottenere ulteriori benefici dal rapporto concessorio, prospettati dall’amministrazione concedente, la qual cosa avrebbe, in tesi, potuto ingenerare in costui un legittimo affidamento. 5. Da tutto quanto precede emerge, infine, con tutta evidenza che la domanda annullamento, formulata dalla parte appellante, seppur convertita in quella di accertamento della illegittimità degli atti a fini risarcitori, è infondata, mancando il presupposto dell’illegittimità dei provvedimenti amministrativi asseritamente veicoli della lesione e altrettanto infondata è la contestazione della nullità della sentenza impugnata, che risulta invece corretta ed esente dai vizi dedotti. 6. Questi motivi inducono al rigetto dell’appello. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi euro 4000,00 (euroquattromila,00) in favore della costituita parte appellata. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Roberto Chieppa, Presidente Massimiliano Noccelli, Consigliere Angela Rotondano, Consigliere Sergio Zeuli, Consigliere, Estensore Pietro De Berardinis, Consigliere