Cass., Sez. I, ord. 8 febbraio 2024, n. 3643
Va rimessa alle Sezioni Unite la questione di massima di particolare importanza degli effetti derivanti dall'abusivo frazionamento della domanda creditoria sulla proponibilità della stessa ovvero unicamente sul regime delle spese processuali del procedimento nel quale è stata promossa.
Introduzione I giudici della Prima Sezione civile si interrogano sugli effetti dell'abuso del processo correlato all'indebito frazionamento di pretese creditorie afferenti ad un medesimo rapporto per il quale il creditore non abbia fornito elementi idonei a giustificare la tutela frazionata, rilevando sul punto un contrasto giurisprudenziale. Secondo un primo orientamento, la sanzione dell'improponibilità della domanda di credito abusivamente frazionata sarebbe confermata dall'indirizzo che giustifica la rilevabilità ex officio dell'abusiva parcellizzazione del credito, pur con le garanzie processuali del contraddittorio. Per altro verso, un indirizzo meno rigoroso sostiene la proponibilità della domanda creditoria relativa ad un credito facente parte di un medesimo rapporto negoziale di durata in modo che essa possa essere esaminata nel merito. Nel caso di specie, è stata rimessa alle Sezioni unite la questione di massima di particolare importanza sugli effetti derivanti dall'abusivo frazionamento della domanda creditoria sulla proponibilità della stessa ovvero unicamente sul regime delle spese processuali del procedimento nel quale è stata promossa. Il Caso – In assenza di ragioni che giustificano la plurima proposizione di domande giudiziali o di un interesse oggettivamente valutabile alla tutela frazionata processuale, sussiste un frazionamento del credito ingiustificato Con sentenza del 7 novembre 2017, n. 4545 la Corte d'Appello di Napoli conferma la decisione del giudice di primo grado che aveva accolto l'opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dalla parte attrice nei confronti di quella convenuta per il pagamento di prestazioni sanitarie rese nei mesi di novembre 2008, ritenendo che la richiesta di più decreti ingiuntivi, relativa ad importi concernenti mensilità esigibili (nel caso di specie, le mensilità di ottobre e di novembre 2008) costituisse, in assenza di ragioni che giustificassero la plurima proposizione di domande giudiziali o di un interesse oggettivamente valutabile alla tutela frazionata processuale, un frazionamento del credito ingiustificato con conseguente improponibilità delle domande giudiziali. Avverso la pronuncia del giudice di secondo grado viene proposto ricorso per cassazione. La parte ricorrente formula due motivi di ricorso. I giudici di ultima istanza effettuano un excursus delle pronunce della Suprema Corte che si sono espresse in merito agli effetti della parcellizzazione delle pretese creditorie azionate in diversi procedimenti giudiziari, rilevando sul punto un contrasto giurisprudenziale. I giudici della sezione semplice rimette alle Sezioni unite la questione di massima di particolare importanza sugli effetti derivanti dall'abusivo frazionamento della domanda creditoria sulla proponibilità della stessa ovvero unicamente sul regime delle spese processuali del procedimento nel quale è stata promossa. Le questioni giuridiche e la soluzione – Il frazionamento della domanda giudiziale in relazione ai principi di correttezza e buona fede e al principio costituzionale del giusto processo Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 111 Cost. e 112 c.p.c. in relazione all'art 360 n. 4 c.p.c., sostenendo che la Corte d'Appello avrebbe erroneamente ritenuto che la statuizione del primo giudice sull'inammissibilità delle domande per parcellizzazione del credito non fosse fondata su specifiche censure. Secondo il ricorrente il giudice di secondo grado avrebbe omesso di pronunziarsi sulle ragioni che giustificano l'avvenuta proposizione di separati ricorso per decreto ingiuntivo relativi alle mensilità di ottobre e novembre 2008, trattandosi di prestazioni rese nell'ultimo trimestre del 2008 soggette, con riguardo al mese di novembre, al rischio di superamento del tetto di spesa fissato. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia l'errore in cui sarebbe incorso il giudice di merito di secondo grado nel ritenere che l'accertata parcellizzazione del credito abbia determinato l'inammissibilità della domanda, quando dovrebbero essere semplicemente emendati gli effetti distorsivi che ne derivano. I giudici della Suprema Corte sostengono che la Corte d'Appello ha compiutamente esaminato il motivo di impugnazione proposto dalla parte attrice in ordine alla dedotta erroneità della sentenza di primo grado laddove aveva ritenuto inammissibile la domanda per indebito frazionamento di due crediti relativi a prestazioni sanitarie maturate nei mesi di ottobre e novembre 2008 e posti a base di due distinti procedimenti monitori presentati lo stesso giorno. Di conseguenza, sostiene correttamente la Corte d'Appello che, nel caso di specie, alla luce della giurisprudenza di legittimità e di merito, il frazionamento non era sorretto da ragioni specifiche che giustifichino la plurima proposizione di domande giudiziali e che mancava un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata facente capo al creditore agente. Dunque, assume in questa sede particolare valore l'esame del secondo motivo di ricorso, concernente la decisione impugnata, nella parte in cui ha negato la proponibilità frazionata della domanda monitoria attorea concernente la mensilità di novembre 2008 in relazione all'attivazione di altra richiesta di decreto ingiuntivo contestualmente, ma separatamente, presentata al Tribunale e relativa ad altra mensilità del medesimo anno. Il tema è strettamente collegato alla questione degli effetti derivanti dall'abuso del processo connesso alla parcellizzazione delle pretese creditorie azionate in diversi procedimenti giudiziari. Di conseguenza, la Suprema Corte si interroga se l'abuso del processo in questione debba produrre unicamente effetti sul regime delle spese processuali, ovvero condizionare direttamente il diritto del creditore all'azionabilità della pretesa. Sulla questione in esame si sono espressi, di recente, i giudici di legittimità (Cass., sez. I, 6 settembre 2023, n. 25973) con un'ordinanza interlocutoria che ha rilevato l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale tra due pronunce della stessa Suprema Corte (Cass., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726; Cass., sez. I, 22 marzo 2023, n. 8184). Nel 2007, le Sezioni unite (in Cass., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726), superando un diverso indirizzo adottato in precedenza dalle medesime Sezioni unite (in Cass., sez. un., 10 aprile 2000, n. 108), giunsero a ritenere che: «Non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l'esecuzione del contratto ma anche nell'eventuale fase dell'azione giudiziale per ottenere l'adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l'ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale». Successivamente, in Cass., sez. un., 16 febbraio 2017, n. 4090 e Cass., sez. un., 16 febbraio 2017, n. 4091, i giudici della Suprema Corte si sono espressi sostenendo che le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi. Tuttavia, qualora tali pretese creditorie facciano capo ad un medesimo rapporto tra le parti e siano inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o siano fondate sullo stesso fatto costitutivo, sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale, le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi, solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183, c.p.c., riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101, comma 2, c.p.c. Di conseguenza, il creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, non può frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto dell'obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione peggiorativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, ma anche con il principio costituzionale del giusto processo (Cass., sez.VI-II, 21 dicembre 2018, n. 19898; Cass., sez. VI-II, 6 giugno 2019, n. 15398; Cass., sez. VI-IV, 15 ottobre 2019, n. 26089; Cass., sez. IV, 12 aprile 2017, n. 9398; Cass., sez. III, 28 giugno 2018, n. 17019). In sostanza, le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi fintantoché non siano anche inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o non siano fondate sul medesimo fatto costitutivo (Cass., sez. II, 6 luglio 2018, n. 17893). Tuttavia, la soluzione dell'improponibilità non esplica autorità di cosa giudicata sostanziale ex art. 2909 c.c. e non preclude al creditore la facoltà di riproporla in giudizio, in cumulo oggettivo ex art. 104 c.p.c. con tutte le altre relative agli analoghi crediti sorti nell'ambito della menzionata relazione unitaria tra le parti. Alla luce della più recente giurisprudenza di Cassazione (Cass., sez. II, 8 agosto 2023, n. 24168), l'espressione «medesimo rapporto di durata» va letta in senso storico/fenomenologico come relazione di fatto realizzatasi tra le parti nella concreta vicenda da cui deriva la controversia; e l'espressione «medesimo fatto costitutivo» va inteso come sinonimo di «analogo» e non di «identico». Tuttavia, rispetto al tema delle sorti della domanda che ha dato luogo ad un abusivo frazionamento, persistono due diversi orientamenti nella giurisprudenza della Corte di Cassazione in merito agli effetti che l'abusivo frazionamento produce sulla domanda creditoria indebitamente parcellizzata. Di conseguenza, sulla base di questo contrasto giurisprudenziale, i giudici della Prima sezione civile hanno rimesso alle Sezioni unite la questione degli effetti derivanti dall'abusivo frazionamento della domanda creditoria. OSSERVAZIONI – Il contrasto giurisprudenziale sugli effetti dell'abusivo frazionamento della domanda creditoria rimesso alle Sezioni unite Sul piano eurounitario (art. 54 CDFUE) e su quello convenzionale (art. 17 CEDU), l'abuso del diritto è prevalentemente inteso quale divieto di condotte lesive dei diritti fondamentali (nel caso di specie, la condotta abusiva si collega all'esercizio del diritto fondamentale direzione). Sul piano interno, il tema dell'abuso si è da sempre scontrato con l'assenza di previsioni di rango costituzionale o primario in grado di delinearne il concetto e gli effetti in modo compiuto, affidandone prevalentemente la concretizzazione al diritto vivente, Salve le recenti modifiche in ambito tributario. L'indirizzo interno che predilige la soluzione dell'improponibilità muove dal convincimento che l'abuso del processo sia ostativo all'esame della domanda e tale da comportarne l'improcedibilità. In Cass., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726 si evince dal complesso della motivazione che la domanda è improponibile e che tale improponibilità investe ciascuna delle singole domande in cui è stata frazionata la pretesa con l'intera somma in questione. Inoltre, le stesse Sezioni unite, anche nelle c.d. «sentenze gemelle» (Cass., sez. un., 16 febbraio 2017, n. 4090; Cass., sez. un., 16 febbraio 2017, n. 4091), pur occupandosi prioritariamente dei presupposti e non delle sanzioni, utilizzano, in linea con Cass., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726, la locuzione «non può proporre». Il suddetto orientamento, di recente confermato in Cass., sez. III, 7 dicembre 2022, n. 35980, introduce la figura dell'abuso del processo per le ipotesi di frazionamento indebito del credito, allo scopo di salvaguardare l'interesse del debitore e l'interesse dell'ordinamento all'efficiente utilizzazione del servizio giustizia. Non può giustificarsi un processo ingiusto, frutto di abuso del processo per l'esercizio dell'azione in forme eccedenti o devianti rispetto alla tutela dell'interesse sostanziale. Tale abuso segnerebbe il limite dell'attribuzione al suo titolare della potestas agendi. Di conseguenza, come si evince anche in Cass., sez. I, 5 luglio 2023, n. 19054, quando il rapporto è unitario e i crediti sono tutti scaduti, il creditore deve agire unitariamente, salvo l'ipotesi eccezionale di ragioni effettive di grave convenienza della loro separazione, come quando alcune delle prestazioni sono già oggetto di contestazioni specifiche e di natura diversa rispetto a quelle del credito fino a quel momento non contestato oppure vi siano valide ragioni processuali per agire con riti diversi. Un indirizzo meno rigoroso riconosce la proponibilità della domanda creditoria relativa ad un credito facente parte di un medesimo rapporto negoziale di durata, in modo che essa possa esser esaminata nel merito, muovendo da una diversa lettura delle pronunce delle Sezioni unite già ricordate (Cass., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726; Cass., sez. un., 16 febbraio 2017, n. 4090; Cass., sez. un., 16 febbraio 2017, n. 4091). In Cass., sez. I, 22 marzo 2023, n. 8184, la soluzione in ordine alla proponibilità della suddetta domanda creditoria muove dall'idea che le Sezioni unite del 2017 avessero proceduto ad un affinamento del principio di diritto enunciato nel 2007 dalle stesse Sezioni unite. La proporzionalità delle misure che l'ordinamento appresta per contrastare l'abuso del processo non può prescindere, nel silenzio del legislatore, dalla necessità di pervenire ad un corretto bilanciamento che tenda a realizzare un ragionevole accomodamento fra i diritti in contesa. Fra i diritti fondamentali non esiste un diritto tiranno capace di comprimere i diritti delle parti in causa oltre ogni limite di ragionevolezza e proporzionalità. In quest'ottica, la condotta abusiva è da sanzionare unicamente sul piano del regime delle spese processuali. L'abuso, di conseguenza, non è sanzionabile con l'inammissibilità dei ricorsi, essendo illegittimo non lo strumento adottato, ma la modalità della sua utilizzazione, e ciò comporta l'eliminazione degli effetti distorsivi che ne derivano e la valutazione dell'onere delle spese come se fosse stato unico il procedimento fin dall'origine. Alla luce della giurisprudenza della Corte EDU, Cass., sez. IV, 20 luglio 2022, n. 22798 e Cass., sez. IV, 20 luglio 2022, n. 22797, hanno affermato che i principi in tema di improponibilità delle domande relative a un credito nascente da un medesimo rapporto negoziale debba rispondere a criteri di proporzionalità e ragionevolezza, trattandosi di un vizio di natura processuale. In Corte EDU, sez. I, 15 settembre 2016, Trevisanato c. Italia, in causa ric. n. 32610/07, i giudici di Strasburgo sostengono che l'imposizione di condizioni, forme e termini processuali deve rispondere ad obiettive esigenze di buona amministrazione della giustizia. Tali formalità processuali devono esser sorrette da uno scopo legittimo e deve esservi un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e lo scopo perseguito. Il diritto di accesso ad un giudice viene leso quando la sua regolamentazione cessa di essere utile agli scopi della certezza del diritto e della buona amministrazione della giustizia, costituendo una barriera che impedisce alla parte in causa di vedere la sostanza della sua lite esaminata dall'autorità giudiziaria competente. In definitiva, si tratta di chiarire se l'acclarato abuso del processo correlato all'indebito frazionamento di pretese creditorie afferenti ad un medesimo rapporto per il quale il creditore non abbia fornito elementi idonei a giustificare la tutela frazionata debba produrre la rigorosa conseguenza della improponibilità della pretesa determinante la perdita del diritto sostanziale quando non sia più validamente azionabile, oppure se la sanzione delle spese processuali possa invece considerarsi, come è stato in passato ventilato da autorevole dottrina, misura idonea a sanzionare la condotta di abuso del processo senza tuttavia incidere sul diritto sostanziale del creditore in modo irreparabile e definitivo e sulle prerogative, anch'esse di rango costituzionale, all'accesso alla tutela giurisdizionale. Alla luce del contrasto giurisprudenziale delineato, la Corte ritiene che il procedimento debba essere trasmesso alla Prima Presidente perché valuti l'opportunità di rimettere alle Sezioni unite la questione di massima di particolare importanza degli effetti derivanti dall'abusivo frazionamento della domanda creditoria sulla proponibilità della stessa ovvero unicamente sul regime delle spese processuali del procedimento nel quale è stata promossa. Con due sentenze gemelle (Cass., sez. II, 30 giugno 2021, n. 18562; Cass., sez. II, 30 giugno 2021, n. 18563), la II sezione Civile nel 2021 aveva valutato che gli effetti derivanti dall'abusivo frazionamento attenessero alla sfera della proponibilità della stessa domanda. Laddove l'interesse oggettivo del creditore al frazionamento non dovesse sussistere, «la violazione dell'enunciato divieto processuale è sanzionata con l'improponibilità della domanda (il cui accertamento con sentenza di rito non è idonea al giudicato sostanziale), fermo restando la possibilità di riproporre in giudizio la domanda medesima, in cumulo oggettivo, ai sensi dell'art. 104 c.p.c., con tutte le altre domande relative agli analoghi crediti sorti nell'ambito della menzionata relazione unitaria tra le parti». Invece, in Cass., sez. III, 03 marzo 2023, n. 6513 gli effetti derivanti dall'abusivo frazionamento attengono unicamente al regime delle spese processuali del procedimento nel quale è stata promossa la domanda. La Suprema Corte ritiene che il giudice dell'esecuzione, riuniti i procedimenti, avesse liquidato correttamente al creditore procedente le sole spese ed i soli compensi professionali corrispondenti a quelli strettamente necessari per la notifica d'un solo precetto e d'un solo pignoramento, di valore pari alla somma dei titoli esecutivi separatamente azionati, dal momento che il creditore munito di più titoli esecutivi nei confronti del medesimo debitore non aveva tenuto una condotta conforme a correttezza e buona fede avendo effettuato tanti pignoramenti del medesimo credito, quanti sono i titoli di cui dispone. Il creditore aveva sottoposto alla Suprema Corte la questione relativa alla scelta di avviare plurime procedure esecutive in danno dell'unico debitore, al fine di recuperare il credito vantato di modesto valore, con l'intento di vedersi liquidate spese di lite maggiorate. La Cassazione rigetta il ricorso, dal momento che il creditore non poteva pretendere la liquidazione di sette diversi compensi professionali: costituisce abuso del processo introdurre sette diverse procedure esecutive pignorando il medesimo credito (nel caso di specie le sette procedure esecutive introdotte dal creditore procedente dovevano essere considerate come una sola esecuzione ai fini della liquidazione delle spese di lite, in quanto il creditore procedente aveva introdotto sette diversi pignoramenti pur vantando un credito (totale) di modesta entità, ragion per cui era evidente che il ricorrente avesse proposto plurime procedure esecutive al solo fine di ottenere un maggiore compenso). L’ordinanza IN FATTO E IN DIRITTO Con sentenza n. 4545/2017 del 7 novembre 2017, la Corte d'Appello di Napoli confermò la decisione di primo grado del Tribunale di Napoli che aveva accolto l'opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dal Centro Flegreo nei confronti di A.S.L. Napoli 1 Centro per il pagamento di prestazioni sanitarie rese nei mesi di novembre 2008, ritenendo che la richiesta di più decreti ingiuntivi, relativa ad importi concernenti mensilità esigibili – nel caso di specie mensilità di novembre 2008 (oggetto di causa) e di ottobre 2008 (ingiunta con autonoma richiesta monitoria presentata nella stessa data dal creditore alla quale era seguita l'emissione di un decreto ingiuntivo non opposto) costituisse, in assenza di ragioni che giustificassero la plurima proposizione di domande giudiziali o di un interesse oggettivamente valutabile alla tutela frazionata processuale un frazionamento del credito ingiustificato con conseguente improponibilità delle domande giudiziali, secondo i principi enunciati dalle SS.UU. 4091/2017 e, quanto alle conseguenze del frazionamento, da Cass. 1706/2010 e 4016/2016 circa l'improponibilità di separate domande creditorie in assenza di interesse oggettivamente valutabile alla tutela frazionata. Il Centro Flegreo ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe, affidato a due motivi, al quale ha resistito l'Asl Napoli 1 Centro con controricorso. La causa, rimessa all'udienza pubblica con ordinanza interlocutoria n. 25973/2023, è stata chiamata all'udienza pubblica del 16 gennaio 2024. Il Procuratore generale ha concluso per l'accoglimento del primo motivo o in subordine per la richiesta di rimessione della questione all'esame delle Sezioni Unite. Le parti hanno depositato memorie. Il ricorrente Centro Flegreo lamenta con il primo motivo di ricorso, la violazione degli artt. 111 Cost e 112 c.p.c. in relazione all'art 360 n. 4 c.p.c. La Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto che la statuizione del primo giudice sulla inammissibilità delle domande per parcellizzazione del credito non fosse stata attinta da specifiche censure. Secondo il ricorrente la Corte di appello aveva omesso di pronunziarsi sulle ragioni che giustificavano l'avvenuta proposizione di separati ricorso per decreto ingiuntivo relativi alle mensilità di ottobre e novembre 2008, trattandosi di prestazioni rese nell'ultimo trimestre del 2008 soggette, con riguardo al mese di novembre, al rischio di superamento del tetto di spesa fissato per la macroarea "Assistenza riabilitativa esterna" e al rischio di superamento della c.o.m. – capacità operativa massima – del Centro Flegreo. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia l'errore in cui sarebbe incorso il giudice di appello nel ritenere che l'accertata parcellizzazione del credito determini l'inammissibilità della domanda, quando al contrario dovrebbero essere semplicemente emendati gli effetti distorsivi che ne derivano. Occorre rilevare che non sembra dirimente la dedotta inammissibilità del ricorso e dei suoi motivi perché meritali visto che i motivi risultano esposti in modo da individuare chiaramente l'oggetto delle doglianze e delle censure in diritto, nemmeno il primo motivo parrebbe dirimente ai fini dell'esito complessivo del ricorso. Ed invero, la Corte di appello ha compiutamente esaminato il motivo di impugnazione proposto dal Centro Flegreo in ordine alla dedotta erroneità della sentenza di primo grado laddove aveva ritenuto inammissibile la domanda per indebito frazionamento di due crediti relativi a prestazioni sanitarie maturate nei mesi di ottobre e novembre 2008 e posti a base di due distinti procedimenti monitori presentati lo stesso giorno. La Corte di appello ha infatti ritenuto che il frazionamento non fosse giustificato e che la creditrice non avesse fornito elementi tali da giustificare il frazionamento, alla luce della giurisprudenza di legittimità e di merito. In particolare, il giudice di appello ha richiamato la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 653/2017, resa in relazione a vicenda concernente distinte mensilità relative a prestazioni sanitarie che erano state azionate in modo frazionato dalla stessa appellante in altro procedimento. Per queste ragioni la Corte di appello, ritenendo che gli importi relativi alle due mensilità relative a corrispettivi per prestazioni sanitarie non saldate dalla struttura sanitaria all'atto della presentazione, in data 21 gennaio 2009, dei due ricorsi monitori riguardavano entrambi importi del tutto esigibili in relazione all'incontestata presentazione alla ASL delle fatture e della mancata positiva risposta nei tempi prescritti da parte della resistente, ebbe a rigettare il motivo di appello proposto dal Centro Flegreo "in assenza di specifiche ragioni che giustificassero la plurima proposizione di domande giudiziali o... un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata facente capo al creditore agente. Tanto consentirebbe di escludere il vizio di omessa pronunzia, avendo la Corte di merito esaminato la censura esposta dall'appellante. Del resto, la circostanza che la sentenza impugnata non contenga una specifica motivazione sulla questione relativa alle cause che, secondo la ricorrente, avrebbero giustificato il frazionamento delle domande relative alle due mensilità dell'anno 2008 si risolverebbe non già in una omessa pronunzia ma in una non consentita contestazione dell'iter motivazionale utilizzato dalla Corte di appello per disattendere la ritenuta inammissibilità dell'azione monitoria per indebito frazionamento del credito affermata dal tribunale e confermata dalla Corte di appello. Per questo assume in questa sede particolare valore l'esame del secondo motivo di ricorso, concernente la decisione impugnata, nella parte in cui ha negato la proponibilità frazionata della domanda monitoria del Centro Flegreo concernente la mensilità di novembre 2008 in relazione all'attivazione di altra richiesta di decreto ingiuntivo contestualmente (ma separatamente) presentata al Tribunale di Napoli e relativa ad altra mensilità del medesimo anno. Il tema è collegato alla questione degli effetti derivanti dall'abuso del processo connesso alla parcellizzazione delle pretese creditori azionate in diversi procedimenti giudiziari e cioè se lo stesso debba produrre unicamente effetti sul regime delle spese processuali, ovvero condizionare direttamente il diritto del creditore all'azionabilità – recte proponibilità – della pretesa. Questione che viene appunto in rilievo nel caso di specie posto che la domanda monitoria relativa ad altra mensilità del medesimo anno – ottobre 2008 – era stata pacificamente oggetto di separata domanda monitoria, accolta con decreto ingiuntivo divenuto definitivo per mancata impugnazione secondo quanto allegato dalla ricorrente – cfr. pag.5, ultimo cpv., ricorso per cassazione -. Proprio su tale questione che si è soffermata l'ordinanza interlocutoria n. 25973/2023, depositata il 9 settembre 2023, allorché ha rilevato l'esistenza di un contrasto tra la sentenza resa da questa Corte a SS.UU. n.23726/2007 e la più recente ordinanza n. 8184 del 2023, resa da questa Sezione in relazione a controversia in parte soggettivamente coincidente. I principi espressi dalla Corte di cassazione in tema di abusivo frazionamento del credito, medesimo rapporto di durata e medesimo fatto costitutivo. Occorre premettere che le Sezioni unite di questa Corte, superando un diverso indirizzo delle medesime Sezioni Unite – Cass. S.U. n.108/2000 -, con la sentenza n.23726/2007 – poi ribadita da Cass. S.U. n.26961/2009 – ebbero a ritenere che "Non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l'esecuzione del contratto ma anche nell'eventuale fase dell'azione giudiziale per ottenere l'adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l'ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale". Successivamente Cass. S.U. nn. 4090 e 4091/2017, precisando i principi in precedenza espressi con riguardo all'unico credito nascente da un medesimo rapporto, hanno ritenuto che le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, – sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale – le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi, solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183, c.p.c., riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101, comma 2, c.p.c. Sulla base dei principi appena ricordati non si reputa "consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto dell'obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione peggiorativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l'esecuzione del contratto ma anche nell'eventuale fase dell'azione giudiziale per ottenere l'adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l'ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale" (Cass. 19898/2018; conf. Cass. 15398/2019; Cass. 26089/2019; Cass. 9398/2017 e Cass. 17019/2018). Nemmeno possono sorgere dubbi sulla questione della applicabilità dei superiori principi alle ipotesi nelle quali l'indebito frazionamento di pretese riguardi le domande per far valere distinte pretese creditorie relative però ad un medesimo rapporto contrattuale. Ed infatti, le Sezioni Unite hanno affermato che, in linea di principio, le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi fintantoché non siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale. In tale ultima evenienza le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (conf., in seguito, Cass. 17893/2018; Cass. 6591/2019; Cass. 24371/2021). Di recente si è ritenuto che l'interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata deve essere inteso con la duplice specificazione per cui: a) l'espressione "medesimo rapporto di durata" va letta in senso storico/fenomenologico, con conseguente attribuzione ad essa del significato di relazione di fatto realizzatasi tra le parti nella concreta vicenda da cui deriva la controversia; b) nell'espressione "medesimo fatto costitutivo", l'aggettivo "medesimo" va inteso come sinonimo di "analogo" e non di "identico" – cfr. Cass. n.14143/2021, Cass. n.24168/2023 -. La soluzione dell'improponibilità, peraltro, non esplica autorità di cosa giudicata sostanziale ex art. 2909 c.c. e quindi non preclude al creditore la facoltà di riproporre la stessa in giudizio, in cumulo oggettivo ex art. 104 c.p.c. con tutte le altre relative agli analoghi crediti sorti nell'ambito della menzionata relazione unitaria tra le parti (così, di recente, Cass. nn. 24371/2021 e 26493/2023). Il tema, ancora oggetto di contrasto, degli effetti dell'abusivo frazionamento sulla domanda creditoria. Rispetto al tema delle sorti della domanda che ha dato luogo ad un abusivo frazionamento persistono due diversi orientamenti nella giurisprudenza di questa Corte a proposito degli effetti che l'abusivo frazionamento produce sulla domanda creditoria indebitamente parcellizzata. In particolare, Cass. n.8184/2023, dopo avere ricordato alcuni precedenti resi sulla medesima questione fra le medesime parti – Cass., Sez. VI-I, 20/09/2017, n. 21858; Cass., Sez. VI-I, 20/09/2017, n. 21857 – si è mossa nel solco dell'orientamento escludente l'improponibilità, ritenendo che la condotta abusiva è da sanzionare unicamente sul piano del regime delle spese processuali – così Cass. nn. 10634/2010, 9488/2014, 20834/2017 -. In effetti, nei precedenti evocati dall'ordinanza interlocutoria è ricorrente l'affermazione secondo cui l'abuso "non è sanzionabile con l'inammissibilità dei ricorsi, essendo illegittimo non lo strumento adottato ma la modalità della sua utilizzazione, imponendosi tuttavia, per quanto possibile, l'eliminazione degli effetti distorsivi che ne derivano. Principio che era stato già affermato da Cass. 5 maggio 2011, n. 9962, ritenendosi che "al riscontrato abuso dello strumento processuale non può tuttavia conseguire la sanzione dell'inammissibilità dei ricorsi, posto che non è l'accesso in sé allo strumento che è illegittimo ma le modalità con cui è avvenuto, e ciò comporta l'eliminazione per quanto possibile degli effetti distorsivi dell'abuso e quindi, nella fattispecie, la valutazione dell'onere delle spese come se unico fosse stato il procedimento fin dall'origine". Orbene, le affermazioni di principio espresse da Cass. n. 8184/2023 e dai precedenti appena ricordati sono in sintonia con altre più recenti pronunzie di questa Corte – Cass. n. 22798/2022 e Cass. n. 22797/2022 – che si sono soffermate in modo approfondito sulla questione degli effetti del frazionamento abusivo di pretese creditorie. In particolare, nel decidere i ricorsi centrati sulla ritenuta improponibilità di una domanda relativa alla parte variabile di una retribuzione di un dipendente fatta oggetto di separate azioni giudiziarie per annualità diverse, Cass. n. 22798/2022 e Cass. n. 22797/2022 hanno infatti cassato le sentenze impugnate, richiamando la necessità che i principi in tema di improponibilità delle domande relative ad un credito nascente da un medesimo rapporto negoziale debba comunque rispondere a criteri di proporzionalità e ragionevolezza, trattandosi di vizio di natura processuale, alla luce della giurisprudenza della Corte EDU. Cass. n. 22798/2022 e Cass. n. 22797/2022 hanno così affermato che "...La Corte EDU ha infatti a più riprese evidenziato che l'imposizione di condizioni, forme e termini processuali deve rispondere ad obiettive esigenze di buona amministrazione della giustizia. Deve trattarsi, peraltro, di regole prevedibili, la cui violazione può essere impedita con l'ordinaria diligenza. Dette formalità processuali, insomma, devono essere sorrette da uno scopo legittimo e deve esistere un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e lo scopo perseguito, così coordinando il diritto di accesso ad un Tribunale, riconosciuto dall'art. 6 p. 1 della Convenzione, la sicurezza giuridica e la buona, efficiente e celere amministrazione della giustizia. Ne consegue che il diritto di accesso ad un giudice viene, invece, leso quando la sua regolamentazione cessa di essere utile agli scopi della certezza del diritto e della buona amministrazione della giustizia e costituisce una sorta di barriera che impedisce alla parte in causa di vedere la sostanza della sua lite esaminata dall'autorità giudiziaria competente (per tutte, si veda, Corte EDU, sez. I, 15/09/2016, Trevisanato c. Italia, in causa n. 32610/07). L'interpretazione accolta nella sentenza impugnata, secondo la quale l'improponibilità delle domande separatamente proposte, relative a diritti di credito distinti maturati nell'ambito di un medesimo rapporto di durata, deve essere dichiarata anche all'esito della riunione dei plurimi giudizi inizialmente instaurati dal creditore, come mera sanzione dell'iniziale abuso, non è quindi conforme al principio del giusto processo. Detta decisione, infatti, frappone una barriera alla decisione del merito che non è funzionale allo scopo di buona amministrazione, celerità ed efficienza della giustizia posto a base della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 4090 del 2017, consistente nella esigenza di evitare una duplicazione di attività istruttoria e la dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale, cui innanzi si faceva riferimento, oltre che il contrasto dei giudicati". In contrapposizione a questo orientamento, giova rilevare che questa stessa sezione è stata chiamata, di recente, ad esaminare questione similare a quella per cui è causa, nella quale vi era stata la proposizione di diverse procedure monitorie relative ad acconti già scaduti per prestazioni sanitarie rientranti nella medesima branca specialistica soggette al medesimo tetto di spesa e C.O.M. vantate da una ditta nei confronti di una ASL per il medesimo anno. In tale occasione la Corte di appello di Napoli, nel confermare la decisione di accoglimento dell'opposizione dell'ASL per abusivo frazionamento dei crediti relativi ad una "situazione debitoria unitariamente concepita perché derivante da un unico rapporto" aveva ritenuto che, quando il rapporto è unitario ed i crediti sono tutti scaduti, il creditore deve agire unitariamente, salvo l'ipotesi eccezionale di ragioni effettive di grave convenienza della loro separazione, come avviene quando alcune delle prestazioni siano già oggetto di contestazioni specifiche e di natura diversa rispetto a quelle del credito fino a quel momento non contestato, oppure quando vi siano valide ragioni processuali per agire con riti diversi. Orbene, Cass. n. 19054/2023, nel confermare la sentenza di appello, ha rigettato il ricorso con il quale era stato tra l'altro dedotto che: a) la richiesta di più decreti ingiuntivi non rappresentava un'ipotesi di frazionamento abusivo in quanto i crediti vantati nei confronti della A.S.L. per prestazioni sanitarie erogate nell'ambito della convenzione sorgevano di mese in mese, pur se all'interno di un rapporto continuativo, e, conseguentemente, erano autonomamente azionabili senza incorrere nella violazione della buona fede contrattuale, laddove il comportamento contrario a buona fede potrebbe configurarsi solo se venissero azionate distintamente frazioni della singola mensilità; b) le distinte modalità e tempistiche di pagamento dell'acconto e del saldo relativi alla medesima mensilità, la sottoposizione dei saldi a verifiche successive rispetto alle scadenze contrattuali e la possibilità di recuperare sui saldi oppure sulle ultime mensilità dell'anno (acconti e saldi) eventuali conguagli per il superamento dei tetti di spesa, giustificava il ricorso a distinti decreti ingiuntivi per ciascuna delle frazioni del credito mensile e delle mensilità indicate. Cass. n. 19054/2023 ha così ritenuto che "Contrariamente a quanto afferma la società ricorrente, detto meccanismo contrattuale non giustifica il ricorso a distinte azioni monitorie per ciascuna delle frazioni del credito mensile e delle mensilità indicate, dato che le successive verifiche potrebbero incidere sui saldi, con dispendio di attività giudiziaria, né la creditrice ha allegato e dimostrato, secondo quanto accertato dalla Corte di merito, di essere titolare di un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata. In altre parole, sono in contestazione e oggetto di separate iniziative giudiziarie proprio parti del credito spettanti per singole mensilità della medesima annualità, che, sebbene per previsione contrattuale abbiano una scadenza anteriore rispetto al credito per il saldo, hanno comunque "origine" contrattuale e presupposti fondanti identici." -. Nella stessa pronunzia questa Corte, chiamata a verificare se l'eventuale formazione del giudicato su una parte della pretesa frazionata potesse giustificare il frazionamento, ha affermato che l'onere di dimostrare l'esistenza del giudicato incombe sul creditore che agisce in via monitoria frazionando i crediti nascenti dal medesimo rapporto creditorio. Cass. n. 19054/23 ha quindi ritenuto che "Era, pertanto, onere della società ricorrente, a fronte dell'eccezione di controparte relativa all'improponibilità dell'azione, allegare e dimostrare il suo interesse all'iniziativa giudiziaria frazionata rispetto a quanto spettante per l'acconto della mensilità …, se del caso deducendo che l'esito delle altre iniziative giudiziarie non ostava al frazionamento, ma lo giustificava". Orbene, l'indirizzo collegato all'improponibilità della domanda che ha prodotto l'indebito frazionamento dei crediti facenti capo ad un unico rapporto di durata si inscrive, peraltro, all'interno di quell'orientamento che non consente di ritenere più sussistente la potestas agendi in capo a chi sia autore di una condotta processuale abusiva, facendone discendere la conseguenza della improponibilità della domanda sul piano processuale. Indirizzo di recente ribadito da diverse pronunzie – v. Cass. n. 2278/2023, che, a proposito del frazionamento fra domanda risarcitoria relative a danni personali e patrimoniali ha ritenuto che "pur non essendo totalmente precluso al danneggiato, in astratto, di agire separatamente per due diversi danni che derivano dal medesimo fatto illecito, ciò può avvenire solo in presenza dell'effettiva dimostrazione, da parte dell'attore, della sussistenza di un interesse obiettivo al frazionamento. Interesse che – è bene ribadirlo – non può consistere in una scelta soggettiva dettata da criteri di mera opportunità e neppure dalla prospettata maggiore speditezza del procedimento davanti ad uno piuttosto che ad un altro dei giudici aditi"; conf., Cass. nn. 35980/2022, 13732/2022, 25413/2021, 28932/2022; 23248/2021, 23247/2021, 23245/2021 ed analoghe decisioni rese dalla sez. II di questa Corte nei giorni 19 e 20 agosto 2021: nn. 21150/2021; 18566/2021, 6644/2021 e analoghe decisioni prese dalla sezione II di questa Corte in data 10 marzo 2021). Le ragioni del contrasto e la necessità di un ulteriore intervento delle Sezioni Unite. Al fondo delle diverse soluzioni espresse in punto di proponibilità o meno della pretesa creditoria azionata con condotta processuale di indebito frazionamento v'è un diverso significato attribuito alle pronunzie rese dalle Sezioni Unite già ricordate – Cass. SS.UU. nn. 23726/2007, 4090 e 4091/2017 -. Ed invero, l'indirizzo che predilige la soluzione dell'improponibilità muove dall'avviso che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 23726 del 2007, erano partite dal convincimento che l'abuso del processo fosse "ostativo all'esame della domanda" e, dunque, tale da determinarne l'improcedibilità. Si affermò, infatti, che sebbene dalla pronunzia indicata "non emerge espressamente la sorte della domanda proposta in violazione del principio medesimo. Tuttavia dal complesso della motivazione (ed in particolare dalla sua ratio) si evince che la domanda è improponibile; e che detta improponibilità investe ciascuna delle singole domande (in ciascuna delle relative diverse cause) in cui è stata frazionata la domanda concernente l'intera somma in questione (e cioè la domanda come avrebbe dovuto essere proposta per essere ritenuta rituale e dunque proponibile) – cfr. Cass. n.15476/2008, idem, Cass. n. 24539 del 2009 -. Ed anche Cass. S.U. nn. 4090 e 4091 del 2017, pur occupandosi prioritariamente del versante dei presupposti e non del piano sanzionatorio, ebbero ad usare ripetutamente la locuzione "non può proporre", in linea con la precedente Cass. S.U. n.23726, cit. Ragion per cui, a fronte di un modus procedendi idoneo a recare offesa a valori costituzionalmente protetti, come il giusto processo e la ragionevole durata dello stesso, la relativa repressione non potrebbe estrinsecarsi, secondo questo orientamento, solo sul piano della disciplina delle spese di giudizio, dovendo spingersi oltre, sino al diniego, con la pronuncia dell'inammissibilità o improponibilità della domanda, della tutela giurisdizionale richiesta, senza alcun esame nel merito della stessa. Tale linea è stata in particolare esposta, di recente, da Cass. n. 35980/2022 che, nel cogliere gli estremi dell'abuso del diritto di azione nella parcellizzata deduzione in giudizio di uno stesso rapporto di credito, quale oggetto pro parte di una pluralità di domande, ha infatti ritenuto che "... le Sezioni Unite hanno evidenziato che l'elemento distorsivo di una siffatta strategia processuale, tale da dover essere stigmatizzata in termini di abuso del processo, sta nelle modalità dell'azione, ossia nelle modalità attraverso cui la tutela giurisdizionale di quel diritto, che si assume esistente, è stata invocata, e cioè la proliferazione delle iniziative giudiziali a tal fine dirette. Iniziative, queste ultime, tali da determinare per l'un verso una "unilaterale modificazione aggravativa" della posizione del debitore, costringendolo a sopportare un sacrificio, in termini di spese ed oneri processuali, esorbitante quello connaturato alle necessità di tutela delle ragioni del creditore, e, per altro verso, il malfunzionamento dell'amministrazione della giustizia. E ciò sia per la possibilità di formazione di giudicati contraddittori che per il rischio di un incremento del contenzioso, in evidente pregiudizio delle esigenze di contenimento dei tempi per la relativa definizione. Ciò determinando, dunque la necessità che, in tale ipotesi, il giudice definisca immediatamente il giudizio con pronuncia declinatoria di rito, senza neppure porsi il problema se il diritto azionato in quel modo sia, o meno, effettivamente esistente (di recente, in tal senso, Cass. n. 19898 del 2018), a meno che non risulti che il creditore abbia un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata delle relative pretese". Affermazioni fatte proprie oltre che da Cass. n.35980/2022, anche da numerose altre decisioni di analogo tenore rese dalla medesima sezione seconda civile in data 7 dicembre 2022, richiamando appunto Cass. SU n. 4090 del 2017; Cass. n. 17893 del 2018; Cass. n. 20714 del 2018; Cass. n. 6591 del 2019, Cass. n.769/2021. In definitiva, sulla traccia segnata da Cass. S.U. 23726/2007, l'orientamento più rigoroso reputa che l'introduzione della figura dell'abuso del processo per le ipotesi di frazionamento indebito del credito secondo i principi espressi dalle Sezioni Unite anche nel 2017 avrebbe il senso di salvaguardare sia l'interesse del debitore che quello, obiettivo della efficiente utilizzazione del servizio giustizia, non potendosi giustificarsi un processo "ingiusto" in quanto frutto di abuso del processo per esercizio dell'azione in forme eccedenti, o devianti, rispetto alla tutela dell'interesse sostanziale. L'abuso segnerebbe il limite, oltreché la ragione dell'attribuzione, al suo titolare, della potestas agendi. In questa direzione, potrebbe altresì militare la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che ha, di recente, avuto modo di dichiarare l'irricevibilità dei ricorsi proposti da alcuni difensori, promotori sul piano interno di diverse procedure ex lege n. 89 del 24 marzo 2001 (cd. legge Pinto) relative ai medesimi procedimenti. Gli stessi avevano adito la Corte EDU lamentando la violazione di parametri convenzionali da parte delle autorità giudiziarie interne che avevano liquidato unitariamente le spese processuali relativi a plurimi procedimenti. In tali casi la Corte EDU, 8 giugno 2023, Ferrara e a. c. Italia (ric. n. 2394/22 e 18 altri – nel richiamare espressamente la giurisprudenza delle Sezioni Unite sul tema del frazionamento dei crediti in distinte iniziative processuali – Cass. S.U. n.23726/2007 – e altra pronunzia di questa Corte (Cass. n. 15077/2021) ha ritenuto abusiva la condotta dei difensori ed ha ritenuto che il frazionamento indebito dei procedimenti dai medesimi posti in essere avesse dato luogo, in ambito interno, ad un abuso dei mezzi processuali nazionali, minandone il valore di mezzo primario di protezione dei diritti umani. Così facendo, si è ritenuto che il comportamento dei ricorrenti fosse idoneo a contribuire alla congestione dei tribunali a livello nazionale e quindi a una delle cause della durata eccessiva dei procedimenti, pure aggiungendo che la frammentazione artificiosa dei procedimenti di esecuzione aveva altresì aumentato i costi dei procedimenti, moltiplicando inutilmente e ingiustificatamente le spese legali assegnate ai medesimi assegnati. Da ciò la Corte EDU ha fatto scaturire l'inammissibilità dei ricorsi presentati. Sicché tale pronunzia, nel richiamare espressamente i principi espressi dalle Sezioni Unite del 2007, finirebbe col corroborare l'inesistenza dei dubbi in ordine alla compatibilità della sanzione dell'improponibilità della domanda di credito abusivamente frazionata e la CEDU, vieppiù confermati dall'indirizzo che giustifica la rilevabilità ex officio dell'abusiva parcellizzazione del credito, pur con le garanzie processuali del contraddittorio (art.101 c.p.c. e 384 c.p.c.) – cfr. Cass. n. 6591/2019 –. Per altro verso, l'indirizzo meno rigoroso espresso da Cass. n. 8184/2023 e dai già ricordati precedenti che si inscrivono nel filone favorevole a riconoscere comunque la proponibilità della domanda creditoria relativa ad un credito facente parte di un medesimo rapporto negoziale di durata in modo che essa possa essere esaminata nel merito muove da una diversa lettura delle pronunzie delle Sezioni Unite già ricordate ad anche da un diverso peso attribuito alla giurisprudenza della Corte EDU in punto di accesso alla giustizia e di tutela convenzionale offerta dall'art.6 CEDU. Come si detto, infatti, Cass. n. 8184/2023 ha ritenuto espressamente che la soluzione in ordine alla proponibilità muove dall'idea che le Sezioni Unite del 2017 avessero proceduto ad un affinamento del principio di diritto a suo tempo enunciato da SS.UU. 23726/2007. Ed in effetti, nelle sentenze gemelle del 2017 le Sezioni Unite ebbero ad affermare che "l'elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria in tema di estensione oggettiva del giudicato – in relazione alla preclusione per le questioni rilevabili o deducibili – perderebbe gran parte di significato se dovesse ritenersi improponibile qualunque azione per il recupero di un credito solo perché preceduta da altra, intesa al recupero di credito diverso e tuttavia riconducibile ad uno stesso rapporto di durata tra le medesime parti, a prescindere dal passaggio in giudicato della decisione sul primo credito o comunque dalla inscrivibilità della diversa pretesa creditoria successivamente azionata nel medesimo ambito oggettivo di un giudicato in fieri tra le stesse parti relativo al medesimo rapporto di durata." E ha inoltre sottolineato "la mancanza di una specifica norma che autorizzi a ritenere comminabile la grave sanzione della improponibilità della domanda per il creditore che abbia in precedenza agito per il recupero di diverso credito, sia pure riguardante lo stesso rapporto di durata". Furono del resto sempre le due sentenze gemelle a sottolineare che "una generale previsione di improponibilità della domanda relativa ad un credito dopo la proposizione da parte dello stesso creditore di una domanda riguardante altro e diverso credito, ancorché relativo ad un unico rapporto complesso, risulterebbe ingiustamente gravatoria della posizione del creditore, il quale sarebbe costretto ad avanzare tutte le pretese creditorie derivanti da un medesimo rapporto in uno stesso processo (quindi in uno stesso momento, dinanzi al medesimo giudice e secondo la medesima disciplina processuale); con conseguente indebita sottrazione alla autonoma disciplina prevista per i diversi crediti vantati e perdita, ad esempio, della possibilità di agire in via monitoria per i crediti muniti di prova scritta o di agire dinanzi al giudice competente per valore per ciascuno dei crediti – quindi di fruire del più semplice e spedito iter processuale eventualmente previsto dinanzi a quel giudice -, e con possibile esposizione alla necessità di "scegliere" di proporre (o meno) una tempestiva insinuazione al passivo fallimentare, col rischio di improponibilità di successive insinuazioni tardive per altri crediti". Prospettiva, quest'ultima, che venne avvertita a partire da Cass. n. 21858/2017, secondo cui la questione del frazionamento era stata "oggetto di maggiore affinamento", portando "le stesse Sezioni Unite (Sentenza n. 4090 del 2017) ad affermare che il c.d. divieto di frazionamento va limitato entro più rigorosi confini sicché le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, – sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale". In conclusione, il contrasto sopra rassegnato involge una pluralità di pronunzie rese da tutte le sezioni civili della Corte e sembra richiedere un ulteriore chiarimento dei principi espressi dalle Sezioni Unite che, si è visto, hanno dato luogo ad indirizzi tra loro contrastanti, posto che il cambio di passo, di cui si legge nelle pronunzie di questa Corte, operato dalle due sentenze del 2017 rispetto a quella del 2007 sembra essere stato interpretato in maniera non univoca dalle singole sezioni di questa Corte. In definitiva, si tratta di chiarire se l'acclarato abuso del processo correlato all'indebito frazionamento di pretese creditorie afferenti ad un medesimo rapporto per il quale il creditore non abbia fornito elementi idonei a giustificare la tutela frazionata debba produrre la rigorosa conseguenza della improponibilità della pretesa determinante la perdita del diritto sostanziale quando non sia più validamente azionabile – come nel caso in cui è impossibile agire senza frazionamento per essersi formato il giudicato sull'altra parte della pretesa creditoria, e come accadrebbe nel caso di specie, in ragione della definitività dell'accertamento del credito relativo ad altra mensilità oggetto di separato decreto ingiuntivo non opposto, impeditivo della riunione fra i diversi procedimenti -. Ciò finirebbe per modificare gli effetti stessi della decisione di improponibilità fino al punto da trasformarla in vera e propria decisione di merito, vulnerando in via definitiva il diritto creditorio. Si tratterebbe, dunque, di ulteriormente ponderare: a) se l'effetto processuale appena ipotizzato possa ritenersi congruo, proporzionato e ragionevole, anche alla luce della giurisprudenza convenzionale sopra ricordata (sent. Trevisanato c. Italia, cit.) anche considerando il potenziale arricchimento ingiustificato del convenuto attinto da domanda frazionata e ritenuta improponibile, laddove si applichi la sanzione alla perdita de facto del diritto sostanziale per la parte non corrispondente alle spese e ai danni derivanti dall'azione abusiva avversaria; b) se la sanzione delle spese processuali possa invece considerarsi, come è stato in passato ventilato da autorevole dottrina, misura idonea a sanzionare la condotta di abuso del processo senza tuttavia incidere sul diritto sostanziale del creditore in modo irreparabile e definitivo e sulle prerogative, anch'esse di rango costituzionale, all'accesso alla tutela giurisdizionale; c) se il bilanciamento raggiunto sulla base del regime di improponibilità della domanda creditoria indebitamente parcellizzata possa ritenersi adeguato e proporzionato in relazione agli effetti "plurali" prodotti dall'indebita duplicazione delle domande sia nei confronti del debitore che sull'efficienza e funzionalità dell'amministrazione della giustizia; d) sul se i meccanismi correttivi in punto di spese processuali alla base dell'indirizzo espresso, da ultimo, da Cass. n. 8184/2023, pur idonei a soddisfare pienamente sia l'interesse del debitore – esonerato dal moltiplicarsi dei costi di causa – risultino pienamente efficaci nel contrastare in modo adeguato l'abuso della risorsa giustizia, che trascende l'interesse di parte – per l'evidente antinomia che esiste tra la moltiplicazione dei processi e la possibilità di contenimento della correlativa durata Cass. S.U. n. 23726/2007; e) se l'eventuale utilizzo dello strumento del novellato art. 96, c.4 c.p.c. o di altre sanzioni – patrimoniali e non – già previste dal codice di procedura civile (artt. 88 e 96 nella versione precedente alla novella dell'art. 96 realizzata con l'aggiunta del comma 4) possa ulteriormente rappresentare un ragionevole punto di bilanciamento ove dovesse prediligersi la soluzione che esclude l'improponibilità della domanda. L'esigenza di un ulteriore chiarimento qui rappresentata, d'altra parte, si collega alla delicatezza delle riflessioni che sempre hanno accompagnato, in termini generali, il tema dell'abuso del diritto e, soprattutto, del processo. Se sul piano eurounitario (art. 54 Carta UE diritti fondamentali) e su quello convenzionale (art. 17 CEDU, a sua volta gemmazione dell'art. 30 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo), l'abuso del diritto viene prevalentemente inteso come divieto di condotte – specificamente processuali – lesive di diritti fondamentali- nel caso di specie il giusto processo – è noto che sul piano interno il tema dell'abuso si è da sempre scontrato con l'assenza di previsioni di rango costituzionale o primario capaci di delinearne in modo compiuto il concetto e gli effetti, affidandone prevalentemente (e salve le recenti modifiche in ambito tributario) la concretizzazione al diritto vivente. Ed è noto che questa Corte ha ripetutamente ancorato l'abuso del diritto (anche nella sentenza delle S.U. n. 23726 del 2007, più volte qui richiamata) alla necessità di escludere ogni tutela all'esercizio di diritti che creano un vulnus ai principi di correttezza e buona fede o consentano di conseguire o preservare vantaggi indebiti attraverso l'uso distorto di strumenti giuridici. Ciò sul presupposto, messo in evidenza già nelle conclusioni rese dall'Avvocato Generale della Corte di giustizia UE Tesauro nella causa C-367/96, Kefalas, che "... ogni ordinamento che aspiri ad un minimo di completezza deve contenere delle misure, per così dire, di autotutela, al fine di evitare che i diritti da esso attribuiti siano esercitati in maniera abusiva, eccessiva o distorta". Ora, la proporzionalità delle misure che l'ordinamento appresta per contrastare l'abuso del processo, nel silenzio del legislatore, non pare possa prescindere dalla necessità di pervenire ad un corretto bilanciamento che tenda a realizzare un ragionevole accomodamento fra i diritti in contesa (Cass. S.U. n. 24414/2021), muovendo dal dato, ormai ben assimilato nel diritto vivente, sia dei giudici costituzionali e di quelli comuni, che fra i diritti fondamentali non esiste un diritto tiranno e che non può dunque esistere nemmeno un'idea di "abuso tiranno" capace cioè di comprimere oltre ogni comprensibile limite di ragionevolezza e proporzionalità i diritti delle parti in causa. Sulla base di tali premesse, questa Corte ritiene che il procedimento debba essere trasmesso alla Prima Presidente perché valuti l'opportunità di rimettere alle Sezioni Unite la questione di massima di particolare importanza degli effetti derivanti dall'abusivo frazionamento della domanda creditoria sulla proponibilità della stessa ovvero unicamente sul regime delle spese processuali del procedimento nel quale è stata promossa.