Cass. civ., sez. II, ord., 17 maggio 2024 n. 13782
Nella vendita a catena il primo venditore deve tempestivamente denunciare al secondo venditore i vizi dell’opera contestati dal primo acquirente e non è sufficiente che la comunicazione provenga “aliunde” poiché i rapporti di compravendita sono autonomi.
Questo il principio espresso dalla seconda sezione civile della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 13782 del 17 maggio 2024, nell’ambito del giudizio di legittimità avente ad oggetto la denuncia di vizi riscontrati su un macchinario robotizzato, acquistato attraverso un contratto di leasing finanziario. Il compratore aveva convenuto in giudizio il venditore e la società che si era interposta con un contratto di leasing, lamentando difetti del bene e chiedendo la riduzione del prezzo di acquisto, oltre alla condanna delle convenute, in solido, al risarcimento del danno. La venditrice si era costituita negando ogni responsabilità e chiedendo di estendere il contraddittorio alla società produttrice del macchinario, essendosi limitata alla sola commercializzazione. La società di leasing, a propria volta, negava gli addebiti ed affermava di essere estranea ad ogni rischio, avendo semplicemente fornito la liquidità necessaria per la commessa. Chiamata in causa la ditta realizzatrice del bene, questa si difendeva affermando che il macchinario non presentava difetti ma era l’acquirente a pretendere che fosse dotato di altre e diverse capacità che non appartenevano a quello strumento. Eccepiva, inoltre, l’intervenuta decadenza dalla garanzia e la prescrizione del diritto al risarcimento. All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale accoglieva parzialmente le domande dell’attore ma la sentenza veniva impugnata innanzi alla Corte di appello di Brescia. Il gravame conduceva ad un diverso esito giacché il Collegio accoglieva l’eccezione di decadenza dalla garanzia dei vizi sollevata dalla produttrice e rigettava la domanda di manleva. Affermava, inoltre, che non si riversava in ipotesi di vendita a catena, posto che l’acquirente non poteva essere qualificato come consumatore e precisava che il venditore aveva ricevuto la denuncia dei vizi in data 17.6.2008 ma non lo aveva, a propria volta, comunicato alla ditta produttrice del macchinario, nei successivi 8 giorni. Avverso tale decisione ha interposto ricorso in Cassazione la venditrice, affidandosi a 3 motivi di diritto, tutti rigettati dalla Suprema Corte. In particolare, con il primo motivo è stata denunciata la violazione degli artt.112 e 345 c.p.c. e lamentata la tardività dell’eccezione di decadenza, sollevata dal produttore soltanto in appello. La Corte, tuttavia, ha disatteso la richiesta, evidenziando che la domanda era stata avanzata nei termini e, a confutazione di ciò, ha testualmente riportato i passaggi degli atti di primo grado in cui l’eccezione era contenuta. Con il secondo motivo è stata lamentata la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. e 2697 c.c. in ordine alla tempestività della denuncia. Anche su tale questione il Collegio ha ritenuto che non fosse stata fornita prova di aver denunciato i vizi nei termini, dunque, la sentenza gravata era esente da errore. Del pari è stata ritenuto infondato l’ultimo motivo di ricorso, che denunciava la violazione dell’art. 1495 c.c. poiché la vicenda poteva essere assimilata alla c.d. vendita a catena, ove il venditore/fornitore può essere equiparato alla figura dell’appaltatore, quella del secondo venditore/produttore al subappaltatore e quella del committente al primo compratore. Posto che l’appaltatore è tenuto a denunciare tempestivamente al subappaltatore, i vizi a lui contestati dal committente, la denuncia effettuata da quest’ultimo direttamente al subappaltatore non è idonea a raggiungere il medesimo scopo di quella effettuata dall’appaltatore, ai sensi dell’art. 1670 c.c., non potendo essa provenire aliunde. Ciò perché i rapporti di appalto e di subappalto sono autonomi e la richiamata comunicazione ha natura partecipativa, ovvero, deve consentire l’identificazione sia del destinatario, che di colui che la effettua ed entrambi devono identificarsi con i soggetti sulle cui sfere giuridiche sono destinati a prodursi gli effetti legali della missiva, impeditivi della decadenza. Tale principio, a parere della Corte, trova applicazione anche in ipotesi di vendita a catena, a prescindere dall’applicabilità, o meno, della disciplina consumeristica. Per tali ragioni la Corte ha rigettato il ricorso e condannato la ricorrente alla refusione delle spese di lite in favore della controparte. Ordinanza La vicenda venuta all'esame di legittimità può riassumersi nei termini di cui appresso. 1. R. s.n.c. chiamò in giudizio T. s.r.l., dalla quale aveva comprato un'“isola robotizzata”, nonché la s.p.a. U., che si era interposta con un contratto di leasing, denunciando gravi vizi riscontrati nel macchinario e, di conseguenza, chiedendo che il prezzo da 144.000 euro fosse ridotto a 89.000 euro, condannandosi, inoltre le convenute a risarcire il danno, quantificato in 120.000 euro. La T., negata ogni sua responsabilità, essendosi limitata a fornire il macchinario robotizzato, prodotto da A. s.r.l., sulla base delle specifiche tecniche richieste dalla compratrice, chiese chiamarsi in giudizio la società produttrice, perché la manlevasse. La U. si difese asserendo di essersi limitata, in forza di un contratto di leasing finanziario, a fornire la liquidità necessaria per la commessa, rimanendo ogni rischio a carico dell'utilizzatore. La chiamata si difese asserendo che l'acquirente non aveva richiesto la fornitura di un macchinario avente caratteristiche speciali o comunque individualizzate e che le prestazioni dall'apparecchiatura non presentavano difetti, ma, ben diversamente, l'acquirente pretendeva un macchinario che fosse dotato di altre e diverse capacità. Eccepì, inoltre l'intervenuta decadenza dalla garanzia e la prescrizione del diritto e, in via riconvenzionale, chiese gli fosse rimborsata la somma di € 995,53 euro per gli interventi eseguiti dopo il collaudo. 2. Il Tribunale condannò la venditrice T. a restituire alla compratrice R., a titolo di riduzione del prezzo, la somma di 26.000 euro, nonché a risarcire il danno a questa procurato, quantificato in 10.000 euro. Infine condannò la chiamata A. a tenere indenne la T. da quanto costei fosse stata costretta a sborsare in virtù della condanna. 3. La Corte d'appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, accolta l'eccezione di decadenza dalla garanzia dei vizi sollevata da A., rigettò la domanda di manleva. 4. La diversità di decisione tra l'epilogo di primo grado e quello di secondo consiglia, sia pure in breve, di riportare gli argomenti fondanti la sentenza d'appello. - Doveva escludersi versarsi nella fattispecie della “vendita a catena”, disciplinata dal codice del consumo, non potendosi qualificare consumatore l'acquirente. - La T. aveva avuto conoscenza dei vizi attraverso la denuncia della R. del 17/6/2008 e non aveva rispettato il termine decadenziale di otto giorni, previsto dall'art. 1495 cod. civ., per denunciare, a sua volta, i vizi alla A., stante che la missiva del procuratore della prima era giunta alla seconda il 4/7/2008, quindi diciassette giorni dopo. Né la T., che pure ne aveva l'onere, aveva dimostrato il contrario. - Andava escluso che vi fosse stato riconoscimento dei vizi, tenuto conto che il Tribunale aveva condannato la R. a pagare alla A. il corrispettivo degli interventi effettuati, proprio perché gli stessi non avevano avuto la finalità di rimediare a vizi del macchinario riconosciuti dal costruttore. 5. T. s.r.l. ricorre avverso la decisione d'appello sulla base di tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria, e A. resiste con controricorso. 6. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 345 cod. proc. civ., con procurata nullità della sentenza. Si espone che la Corte di Brescia, incorrendo in errore, aveva deciso la causa affermando la fondatezza dell'eccezione di decadenza sollevata da A. per la prima volta solo in appello. Quest'ultima, infatti, nel giudizio di primo grado, precisa la ricorrente, aveva sollevato l'anzidetta eccezione nei soli confronti di R.. 7. Il motivo merita rigetto. La controricorrente nega di aver limitato l'eccezione nei termini indicati dalla ricorrente e, a tal fine, riporta le proprie conclusioni in primo grado, nelle quali è dato leggere “(…) o per intervenuta decadenza nella denuncia dei vizi o per intervenuta decadenza annuale (…)”, senza apporre limitazione soggettiva alcuna. Lo stralcio sopra trascritto è esattamente conforme alla precisazione delle conclusioni trascritte nella sentenza di primo grado (è appena il caso di precisare che la natura della questione posta col motivo in rassegna fa della Corte giudice del merito processuale, con accesso diretto agli atti – cfr., ex multis, da ultimo Cass. n. 16028/2023). Alla luce del contenuto di esse precisazioni la tesi esposta col motivo è priva di fondamento, avendo assegnato all'espressione un contenuto d'esclusione del tutto assente. 8. Con il secondo motivo viene lamentata la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 345 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., per avere la sentenza d'appello erroneamente addebitato a T. di non avere provato la tempestività della denuncia dei vizi, prova che, secondo la ricorrente, non avrebbe dovuto dalla medesima essere data, poiché la decadenza non era stata eccepita nei di lei confronti. È pienamente confermato dall'esposizione del motivo in rassegna che la ricorrente non aveva affatto provato di avere tempestivamente denunciato i vizi, reputando che l'eccezione non era stata proposta nei di lei confronti (cfr. pag. 15 del ricorso). Ciò posto e tenuto conto del rigetto del primo motivo, anche il secondo deve seguire lo stesso destino. 9. Con il terzo motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1495 cod. civ. Si assume che la Corte locale, riformando erroneamente sul punto la sentenza di primo grado, aveva computato il termine decadenziale dal momento in cui il vizio era stato segnalato dal compratore finale alla esponente a quello in cui, quest'ultima, attraverso il proprio legale, aveva riportato la segnalazione all'azienda produttrice. In ogni caso, soggiunge la ricorrente, A. era stata messa tempestivamente a conoscenza dei vizi dalla nota dell'avvocato della R. del 17/6/2008 e quest'ultima aveva risposto con un fax del 4/7/2008 in modo dettagliato alle contestazioni. 9.1. Il motivo è infondato. Della questione questa Corte si è occupata a proposito dei rapporti tra committente – appaltante – subappaltante. Gli argomenti spesi possono essere traslati a riguardo dei rapporti compratore – primo venditore/fornitore – secondo venditore/produttore (l'affermazione della Corte d'appello, la quale ha escluso potersi discorrere di vendita a catena per il fatto che l'acquirente finale non era un consumatore, non sposta i termini della vicenda, esclusa la disciplina della tutela consumeristica – punto non controverso –, resta il fatto che si trattò del fenomeno di due vendite concatenate), avendo cura di assimilare, al solo fine che qui rileva, la figura dell'appaltatore a quella del primo venditore/fornitore, quella del subappaltatore al secondo venditore/produttore e quella del committente a quella del primo compratore. Si è affermato che l'appaltatore è tenuto a denunciare tempestivamente al subappaltatore i vizi o le difformità dell'opera a lui contestati dal committente e, prima della formale denuncia di quest'ultimo, non ha interesse ad agire in regresso nei confronti del subappaltatore, atteso che il committente potrebbe accettare l'opera nonostante i vizi palesi, non denunciare mai i vizi occulti oppure denunciarli tardivamente. La denuncia effettuata dal committente direttamente al subappaltatore non è idonea a raggiungere il medesimo scopo di quella effettuata dall'appaltatore ai sensi dell'art. 1670 c.c., dovendo tale comunicazione provenire dall'appaltatore o da suo incaricato e non già "aliunde" come, ad esempio, dal committente-appaltante principale, poiché i rapporti di appalto e di subappalto sono autonomi e la detta comunicazione ha natura comunicativa o partecipativa la quale impone, in base agli artt. 1669 e 1670 c.c., che non solo il destinatario, ma anche la fonte della dichiarazione si identifichino con i soggetti sulle cui sfere giuridiche gli effetti legali, impeditivi della decadenza, sono destinati a prodursi (Sez. 2, n. 24717, 08/10/2018, Rv. 650661 – 01). Con la decisione di cui sopra è stata riportata la massima, la Corte andò in consapevole contrasto con altra e precedente giurisprudenza, secondo la quale la denuncia effettuata dal committente direttamente al subappaltatore, consentendo a quest'ultimo di eliminare tempestivamente i vizi o di contestarli, è idonea a raggiungere il medesimo scopo della denuncia effettuata dall'appaltatore ai sensi dell'art. 1670 cod. civ. (Cass. n. 26686/2014). L'ordito motivazionale della decisione n. 24717/2018 è condiviso dal Collegio e, pertanto, ad esso intende dare continuità, anche in ipotesi di vendita a catena, sovrapponibile, per quel che prima si è detto e nei predetti limiti ai rapporti nascenti dal compimento di parte dell'opera appaltata dal subappaltante, a prescindere dall'applicabilità o meno della disciplina consumeristica. Rinviando alla lettura alla lettura dell'approfondita motivazione di quest'ultima ordinanza, particolarmente convincenti appaiono i passaggi argomentativi immediatamente appresso riportati. “(…) ammettere al di fuori di ogni conferimento di poteri rappresentativi che un terzo – quale è e resta l'appaltatore principale – possa effettuare in luogo del subcommittente legittimato la comunicazione (o suo equipollente) al subappaltatore ex art. 1670 cod. civ., equivale a ridurre – come ritenuto dal predetto precedente giurisprudenziale – la comunicazione a mera acquisizione di informazione, surrogabile quindi quanto alla fonte, laddove essa ha invece natura appunto comunicativa o partecipativa, non priva cioè di un coefficiente relazionale che impone, in base agli artt. 1669 e 1670 cod. civ., per quanto qui interessa, che non solo il destinatario ma anche la fonte della dichiarazione si identifichino con i soggetti sulle cui sfere giuridiche gli effetti legali (per quanto rileva, impeditivi della decadenza) sono destinati a prodursi, con suitas dell'attività comunicativa rispetto all'emittente. Conferma del requisito anzidetto della fattispecie comunicativa si ha ove si consideri la disciplina generale della decadenza, dalla quale non si può prescindere stante l'espresso riferimento a tale istituto operato dall'art. 1670. In proposito è sufficiente constatare che l'art. 2966 cod. civ., disciplinante il c.d. riconoscimento impeditivo della decadenza, diverso da quello interruttivo della prescrizione ex art. 2944 cod. civ., mutua sostanzialmente da tale ultima norma la formula per cui il riconoscimento medesimo (sulla cui natura non è possibile soffermarsi, ma parificato per legge negli effetti al "compimento dell'atto previsto dalla legge o dal contratto" soggetto a decadenza) deve essere, per i diritti disponibili dalla persona contro la quale si deve far valere il diritto"; dato questo che, affrontato dalla giurisprudenza di merito e da pronunce arbitrali in relazione a riconoscimenti operanti ad es. dal direttore dei lavori negli appalti, fa propendere per la necessità della volontarietà del riconoscimento in capo al soggetto strettamente interessato o a suo rappresentante, ciò che dà rilievo – seppure sul fronte inverso del rapporto contrattuale – al profilo relazionale dianzi sottolineato (cfr., per il coefficiente necessario di volontarietà del comportamento di riconoscimento interruttivo ex art. 2944 cod. civ., ad es. Cass. n. 20692 del 22/09/2006 e n. 7760 del 30/03/2009, anche per richiami; e, in rapporto all'attribuzione operata da parte della dottrina al riconoscimento impeditivo della funzione probatoria della ricognizione di debito ex art. 1988 Cod. civ., v., mutatis mutandis anche in relazione alla diversa natura dell'atto, ad es. Cass. n. 13642 del 22/07/2004, n. 23803 del 08/11/2006, n. 16576 del 18/06/2008, n. 2104 del 14/02/2012 e n. 24710 del 04/12/2015 quanto all'inefficacia della ricognizione non specificamente rivolta al destinatario). In relazione a ciò, pare doversi desumere dall'art. 2966 cod. civ. che, se il riconoscimento deve – su un capo, quello passivo, della relazione giuridica interessata dalla decadenza – essere "proveniente dalla persona contro la quale si deve far valere il diritto", sul capo attivo del rapporto contrattuale anche il "compimento dell'atto previsto dalla legge o dal contratto", soggetto a decadenza, debba provenire, quanto meno sulla base di mandato 'o di disposizione di legge, dal soggetto che può "far valere il diritto"“. Conferma quanto qui sostenuto la constatazione che nella vendita concatenata ciascuno dei negozi è autonomo rispetto all'altro. Principio, questo, più volte ribadito da questa Corte, pur ammettendo che l'autonomia dei negozi non impedisce al rivenditore di proporre, nei confronti del proprio venditore, domanda di rivalsa di quanto versato a titolo di risarcimento del danno all'acquirente, quando l'inadempimento del rivenditore sia direttamente connesso e consequenziale alla violazione degli obblighi contrattuali verso di lui assunti dal primo venditore (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 1631/2020). 9.1.1. In conclusione, nel rigettare il motivo in rassegna appare opportuno enunciare il seguente principio di diritto: “in ipotesi di vendita a catena, a prescindere dall'applicabilità o meno della disciplina consumeristica, il primo venditore è tenuto a denunciare tempestivamente al secondo venditore i vizi o le difformità dell'opera a lui contestati dal primo compratore. La denuncia deve provenire dal primo venditore o da suo incaricato e non già "aliunde", come, ad esempio, dal primo compratore, poiché i rapporti di compravendita sono autonomi e la detta comunicazione ha natura comunicativa o partecipativa la quale impone, che non solo il destinatario, ma anche la fonte della dichiarazione si identifichino con i soggetti sulle cui sfere giuridiche gli effetti legali, impeditivi della decadenza, sono destinati a prodursi”. 10. Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo. 11. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall'art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida per compensi, in favore della controricorrente, in € 5.900,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall'art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.