Corte Costituzionale, dep. 13 maggio 2024 pubblicazione in G. U., n. 86

Con sentenza n. 86 del 13 maggio 2024, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell'art. 628, secondo comma, cod. pen. «nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità»; e, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, primo comma, cod. pen., <>. La questione sollevata dal Tribunale di Cuneo richiede, ad avviso della Consulta, che il trattamento sanzionatorio della rapina impropria sia sottoposto al triplice test della proporzionalità relazionale (rispetto a eventuali tertia), della proporzionalità oggettiva (rispetto alla tipologia di condotte rientranti comparationis nella fattispecie astratta) e della necessaria individualizzazione (rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva del fatto concreto). Il secondo comma dell’art. 628 cod. pen., descritti gli elementi costitutivi della rapina impropria (chi «adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità»), stabilisce per essa la stessa pena prevista dal primo comma per la rapina propria (chi, «per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene»). La Corte Costituzionale ricorda che questa pena ha registrato, nel corso del tempo, un progressivo inasprimento, che ha interessato principalmente il minimo edittale della reclusione: originariamente determinato in tre anni, tale minimo è stato aumentato a quattro anni dall’art. 1, comma 8, lettera a), della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), e ulteriormente incrementato a cinque anni dall’art. 6, comma 1, lettera a), della legge 26 aprile 2019, n. 36 (Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa). L’inasprimento ha riguardato anche il minimo edittale della fattispecie aggravata, vale a dire la rapina commessa «da più persone riunite»: quattro anni di reclusione per il testo originario dell’art. 628, terzo comma, numero 1), cod. pen., quattro anni e sei mesi per effetto dell’art. 3 della legge 14 ottobre 1974, n. 497 (Nuove norme contro la criminalità), poi cinque anni ai sensi dell’art. 1, comma 8, lettera b), della legge n. 103 del 2017, e infine sei anni a norma dell’art. 6, comma 1, lettera b), della legge n. 36 del 2019. L’appesantimento del trattamento sanzionatorio ora illustrato per la rapina è analogo a quello che ha interessato l’estorsione, reato descritto dall’art. 629, primo comma, cod. pen. come la condotta di chi, «mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno».   Per l’estorsione come per la rapina, il notevole innalzamento del minimo edittale – a un livello che rende sostanzialmente inaccessibile il beneficio della sospensione condizionale della pena – è stato realizzato senza introdurre una “valvola di sicurezza”, che permetta al giudice di temperare la sanzione quando l’offensività concreta del fatto di reato non ne giustifichi una punizione così severa. Con la sentenza n. 120 del 2023, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 629 cod. pen., «nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità». Nella citata sentenza i giudici hanno osservato che la mancata previsione di una “valvola di sicurezza” al cospetto di un minimo edittale particolarmente aspro implica il rischio di irrogazione di una sanzione non proporzionata all’effettiva gravità del fatto estorsivo, ove il fatto medesimo risulti immune dai profili di allarme sociale che hanno indotto il legislatore a stabilire quel severo minimo. Ciò si è rilevato in base alla constatazione che il reato di estorsione – atteso il carattere multiforme degli elementi costitutivi «violenza o minaccia», «profitto», «danno» – può essere consumato anche tramite condotte occasionali, di minimo impatto personale, volte a conseguire un lucro irrisorio e tali da recare alla vittima un pregiudizio esiguo. Ad avviso della Corte, la ratio decidendi della sentenza n. 120 del 2023 vale anche per la rapina. Per costante giurisprudenza di legittimità, la rapina si distingue dall’estorsione poiché nell’una la persona offesa subisce una violenza o minaccia «diretta e ineludibile», mentre nell’altra non vi è questo «totale annullamento della capacità del soggetto passivo di determinarsi diversamente dalla volontà dell’agente». In linea teorica, questo discrimine potrebbe segnalare una maggiore gravità della rapina, quale coazione assoluta, rispetto all’estorsione, quale coazione relativa (vis compulsiva), il che potrebbe apparire ostativo all’estensione della sentenza n. 120 del 2023. Tuttavia, è lo stesso legislatore che, parificando i minimi edittali, dimostra di considerare i due titoli di reato omogenei quanto all’offensività astratta, sull’implicito presupposto che la libertà morale debba essere protetta non meno che la libertà fisica. In primo luogo, dunque, sul piano della comparazione tra il trattamento sanzionatorio previsto per la rapina impropria e quello stabilito per l’estorsione, emerge la violazione dell’art. 3 Cost., non sussistendo ragioni specifiche che valgano a giustificare l’esclusione dell’attenuante di lieve entità del fatto per il reato di cui all’art. 628, secondo comma, cod. pen., ed anzi esistendo i richiamati indici che di tale diminuente impongono l’estensione anche a tale reato. In secondo luogo, i giudici affermano che l’esigenza dell’attenuante in questione – in misura non eccedente un terzo, come vuole la regola generale dell’art. 65, primo comma, numero 3), cod. pen. – trova fondamento costituzionale anche nei principi di individualizzazione della pena e di finalità rieducativa della stessa. La Corte chiarisce che un trattamento manifestamente sproporzionato, rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva del fatto, e comunque incapace di adeguarsi al suo concreto disvalore, pregiudica il principio di individualizzazione della pena. Infine, atteso che la rapina propria condivide con la rapina impropria – e, transitivamente, con l’estorsione – sia l’elevato minimo edittale di pena detentiva (cinque anni di reclusione), sia l’idoneità a manifestare una diversificata offensività (in rapporto agli elementi costitutivi della violenza o minaccia e del profitto), anche per essa si evidenzia la necessità costituzionale di una “valvola di sicurezza”, a garanzia della ragionevolezza, proporzionalità e capacità rieducativa della sanzione.

REPUBBLICA ITALIANALA SENTENZA N. 86 DEL 2024   IN NOME DEL POPOLO ITALIANO     LA CORTE COSTITUZIONALE   composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,     ha pronunciato la seguente SENTENZA   nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Cuneo, in composizione collegiale, nel procedimento a carico di B. D. e B. A., con ordinanza del 20 settembre 2023, iscritta al n. 148 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2023. Udito nella camera di consiglio del 16 aprile 2024 il Giudice relatore Stefano Petitti; deliberato nella camera di consiglio del 16 aprile 2024.     Ritenuto in fatto
  1. – Con ordinanza del 20 settembre 2023, iscritta al n. 148 del registro ordinanze 2023, il Tribunale ordinario di Cuneo, in composizione collegiale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, del codice penale, per violazione degli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione, «nella parte in cui non prevede una diminuente quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o le circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità».
Il rimettente espone di dover giudicare sull’imputazione di rapina impropria, aggravata dalla commissione ad opera di più persone riunite, ascritta a B. D. e B. A. per essersi costoro, dopo aver prelevato dagli scaffali di un supermercato alcuni generi d’uso (tre baguettes, una scatoletta di tonno e uno spazzolino da denti), assicurato il possesso degli stessi e l’impunità con minacce e uno spintone in danno dell’addetto alla sicurezza e del responsabile dell’esercizio commerciale, intervenuti per recuperare la merce, venendo infine rintracciati nei pressi dell’esercizio stesso mentre consumavano il pane.
  1. – In ordine alla rilevanza della questione, il Tribunale di Cuneo osserva che per il reato contestato il minimo edittale di pena detentiva applicabile nella specie sarebbe sproporzionato rispetto a un fatto di «scarsa offensività, sia sotto il profilo del valore della merce sottratta (€ 6,19), sia sotto quello della modalità esecutiva della rapina (consistita in due frasi minacciose e una spinta)».
La sproporzione del minimo edittale non potrebbe trovare rimedio nell’applicazione delle attenuanti generiche e dell’attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale, circostanze la cui finalità non è correggere l’eccessività della misura astratta di pena.
  1. – In ordine alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo ritiene che la denunciata carenza di proporzionalità determini l’irragionevolezza del trattamento sanzionatorio, in violazione dell’art. 3 Cost., al contempo impedendo ad esso di aderire alla concreta gravità del fatto, con ulteriore violazione del principio di personalità della responsabilità penale e della funzione rieducativa della pena, di cui ai commi primo e terzo dell’art. 27 Cost.
Il rimettente deduce che un’attenuante per lieve entità è contemplata riguardo a titoli di reato ben più gravi della rapina impropria, come la violenza sessuale, il sequestro di persona a scopo di estorsione e il sequestro di persona a scopo di coazione.
  1. – Il Tribunale di Cuneo sollecita quindi una pronuncia additiva di questa Corte, che introduca anche per la rapina impropria una diminuente per i casi di lieve entità, analogamente a quanto disposto per il reato di estorsione con la sentenza n. 120 del 2023.
Ad avviso del rimettente, l’elemento differenziale tra rapina ed estorsione, concernente l’incidenza determinativa della violenza o minaccia, non impedirebbe l’estensione della pronuncia, in quanto «[s]ia il delitto di rapina sia l’estorsione sono reati contro il patrimonio, puniti con la medesima pena detentiva». Inoltre, anche per la rapina, «come per il reato di estorsione, possono verificarsi situazioni di minima offensività sia per l’occasionalità dell’iniziativa criminosa, sia per la lieve entità del pregiudizio arrecato alla vittima e sia infine per la modestia dell’utilità percepita dall’autore del fatto».
  1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio, né vi si sono costituiti gli imputati del giudizio a quo.
  Considerato in diritto
  1. – Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Cuneo, in composizione collegiale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, cod. pen., per violazione degli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost., «nella parte in cui non prevede una diminuente quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o le circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità».
Il giudizio principale verte su un’imputazione di rapina impropria, aggravata dalla pluralità di autori, relativa a generi alimentari e uno spazzolino da denti, del valore complessivo di pochi euro, prelevati dagli scaffali di un supermercato; reato che sarebbe stato consumato con minacce e una spinta in danno del personale dell’esercizio, tramite le quali i due imputati avrebbero conseguito il possesso dei beni sottratti e l’impunità.
  1. – Il giudice a quo reputa che il minimo edittale di pena detentiva per la rapina impropria sia sproporzionato rispetto a un fatto di così modesta offensività concreta, il che determinerebbe un vulnus al principio di ragionevolezza sancito dall’art. 3 Cost.
La conseguente impossibilità di modulare e individualizzare la pena in rapporto all’effettiva gravità del reato lederebbe inoltre il canone di personalità della responsabilità penale, di cui al primo comma dell’art. 27 Cost. Infine, l’eccessività della sanzione la renderebbe ingiusta nella percezione del reo, e quindi inidonea alla funzione rieducativa assegnata dal terzo comma del medesimo art. 27.
  1. – Ad avviso del rimettente, sarebbe quindi necessaria una pronuncia additiva che introduca per la rapina impropria una diminuente per i casi di lieve entità, in analogia a quanto disposto per il reato di estorsione dalla sentenza di questa Corte n. 120 del 2023.
L’estensione del precedente non sarebbe impedita dall’elemento distintivo tra i due titoli di reato, concernente la diversa efficacia della violenza o minaccia, atteso che entrambi soggiacciono comunque allo stesso minimo edittale di pena detentiva ed entrambi possono esibire in concreto un’offensività minima.
  1. – Il rimettente, attraverso la denuncia di violazione degli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost., sottopone a questa Corte una questione che ha ad oggetto, nella sostanza, la sproporzione del trattamento sanzionatorio per il delitto di rapina impropria, per effetto della mancata previsione di una attenuante per il caso in cui il fatto contestato sia di lieve entità.
Giova, quindi, ricordare che, come questa Corte ha avuto modo di illustrare nella sentenza n. 112 del 2019 (punto 8.1. del Considerato in diritto), il sindacato di legittimità costituzionale sulla proporzionalità della pena, dapprima svolto essenzialmente in chiave triadica alla luce del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost., ha successivamente valorizzato il parametro di cui all’art. 27, terzo comma, Cost. sulla finalità rieducativa della pena. Ciò ha comportato l’estensione del sindacato medesimo «a ipotesi in cui la pena comminata dal legislatore appaia manifestamente sproporzionata non tanto in rapporto alle pene previste per altre figure di reato, quanto piuttosto in rapporto – direttamente – alla gravità delle condotte abbracciate dalla fattispecie astratta». Si è altresì coordinato il finalismo rieducativo della sanzione con il principio di personalità della responsabilità penale, sancito dal primo comma dello stesso art. 27, ovvero con il canone di individualizzazione della pena, il quale «esige che – nel passaggio dalla comminatoria astratta operata dal legislatore alla sua concreta inflizione da parte del giudice – la pena si atteggi come risposta proporzionata anche alla concreta gravità, oggettiva e soggettiva, del singolo fatto di reato». Dunque, la questione sollevata dal Tribunale di Cuneo richiede che il trattamento sanzionatorio della rapina impropria sia sottoposto al triplice test della proporzionalità relazionale (rispetto a eventuali tertia comparationis), della proporzionalità oggettiva (rispetto alla tipologia di condotte rientranti nella fattispecie astratta) e della necessaria individualizzazione (rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva del fatto concreto).
  1. – Tanto premesso, la questione è fondata in riferimento a tutti i parametri evocati.
    1. – Il secondo comma dell’art. 628 cod. pen., descritti gli elementi costitutivi della rapina impropria (chi «adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità»), stabilisce per essa la stessa pena prevista dal primo comma per la rapina propria (chi, «per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene»).
Questa pena ha registrato nel corso del tempo un progressivo inasprimento, che ha interessato principalmente il minimo edittale della reclusione: originariamente determinato in tre anni, tale minimo è stato aumentato a quattro anni dall’art. 1, comma 8, lettera a), della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), e ulteriormente incrementato a cinque anni dall’art. 6, comma 1, lettera a), della legge 26 aprile 2019, n. 36 (Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa). L’inasprimento ha riguardato anche il minimo edittale della fattispecie aggravata oggetto del giudizio a quo, vale a dire la rapina commessa «da più persone riunite»: quattro anni di reclusione per il testo originario dell’art. 628, terzo comma, numero 1), cod. pen., quattro anni e sei mesi per effetto dell’art. 3 della legge 14 ottobre 1974, n. 497 (Nuove norme contro la criminalità), poi cinque anni ai sensi dell’art. 1, comma 8, lettera b), della legge n. 103 del 2017, e infine sei anni a norma dell’art. 6, comma 1, lettera b), della legge n. 36 del 2019.
    1. – L’appesantimento del trattamento sanzionatorio ora illustrato per la rapina è analogo a quello che ha interessato l’estorsione, reato descritto dall’art. 629, primo comma, cod. pen. come la
condotta di chi, «mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno». Anche per l’estorsione il minimo edittale di tre anni di reclusione, stabilito originariamente per la forma semplice del reato, è stato aumentato a cinque anni (art. 8, comma 1, del decreto-legge 31 dicembre 1991, n. 419, recante «Istituzione del Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive», convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 1992, n. 172). Per l’estorsione come per la rapina, il notevole innalzamento del minimo edittale – a un livello che rende sostanzialmente inaccessibile il beneficio della sospensione condizionale della pena – è stato realizzato senza introdurre una “valvola di sicurezza”, che permetta al giudice di temperare la sanzione quando l’offensività concreta del fatto di reato non ne giustifichi una punizione così severa.
    1. – Con la sentenza n. 120 del 2023, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 629 cod. pen., «nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità».
Sulla scia dei precedenti relativi al sequestro di persona a scopo di estorsione (sentenza n. 68 del 2012) e al cosiddetto sabotaggio militare (sentenza n. 244 del 2022), la sentenza n. 120 del 2023 ha osservato che la mancata previsione di una “valvola di sicurezza” al cospetto di un minimo edittale particolarmente aspro implica il rischio di irrogazione di una sanzione non proporzionata all’effettiva gravità del fatto estorsivo, ove il fatto medesimo risulti immune dai profili di allarme sociale che hanno indotto il legislatore a stabilire quel severo minimo. Ciò si è rilevato in base alla constatazione che il reato di estorsione – atteso il carattere multiforme degli elementi costitutivi «violenza o minaccia», «profitto», «danno» – può essere consumato anche tramite condotte occasionali, di minimo impatto personale, volte a conseguire un lucro irrisorio e tali da recare alla vittima un pregiudizio esiguo.
    1. – La ratio decidendi della sentenza n. 120 del 2023 vale anche per la rapina, come prospettato dal rimettente.
Infatti, la descrizione tipica operata dall’art. 628 cod. pen. evidenzia una latitudine oggettiva e una varietà di condotte materiali non meno ampia di quella del delitto di estorsione, poiché, anche nella rapina, la violenza o minaccia può essere di modesta portata e l’utilità perseguita, ovvero il danno cagionato, di valore infimo. Emblematico appare il caso di cui deve giudicare il rimettente, nel quale la sottrazione è stata relativa a pochi generi di consumo, del prezzo di qualche euro appena, e la violenza o minaccia si è esaurita in frasi scarsamente intimidatorie e in una spinta data per divincolarsi. In simili fattispecie, per la rapina come per l’estorsione, il minimo edittale di notevole asprezza, introdotto per contenere fenomeni criminali seriamente lesivi della persona e del patrimonio, eccede lo scopo, determinando l’irrogazione di una pena irragionevole, sproporzionata e quindi inidonea alla rieducazione.
    1. – Per costante giurisprudenza di legittimità, la rapina si distingue dall’estorsione poiché nell’una la persona offesa subisce una violenza o minaccia «diretta e ineludibile», mentre nell’altra non vi è questo «totale annullamento della capacità del soggetto passivo di determinarsi diversamente dalla volontà dell’agente» (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenze 15 febbraio-17 maggio 2023, n. 21078, e 15 settembre-28 ottobre 2021, n. 38830).
In linea teorica, questo discrimine potrebbe segnalare una maggiore gravità della rapina, quale coazione assoluta (vis absoluta), rispetto all’estorsione, quale coazione relativa (vis compulsiva), il che potrebbe apparire ostativo all’estensione della sentenza n. 120 del 2023. Tuttavia, è lo stesso legislatore che, parificando i minimi edittali, dimostra di considerare i due titoli di reato omogenei quanto all’offensività astratta, sull’implicito presupposto che la libertà morale debba essere protetta non meno che la libertà fisica.
    1. – Con la sentenza n. 141 del 2023, questa Corte, pronunciandosi su una fattispecie concreta di incerta sussunzione tra i paradigmi della rapina o dell’estorsione, ha condotto per i due titoli di reato un discorso unitario, in tema di bilanciamento tra circostanze, avuto riguardo al comune elevato minimo edittale di pena detentiva e alla pari latitudine dello schema legale.
L’ampiezza della descrizione tipica dei delitti in parola, si è osservato, «fa sì che essi si prestino ad abbracciare anche condotte di modesto disvalore: non solo con riferimento all’entità del danno patrimoniale cagionato alla vittima, che può anche ammontare (come nel caso oggetto del giudizio a quo) a pochi euro»; «ma anche con riferimento alle modalità della condotta, che può esaurirsi in forme minimali di violenza» (come, nel caso di specie, una lieve spinta), ovvero «nella mera prospettazione verbale di un male ingiusto, senza uso di armi o di altro mezzo di coazione, che tuttavia già integra la modalità alternativa di condotta costituita dalla minaccia». E ancora, ha affermato questa Corte nella citata sentenza, «[a]nche rispetto a simili fatti, la disciplina vigente impone una pena minima di cinque anni di reclusione: una pena che risulterebbe, però, manifestamente sproporzionata rispetto alla gravità oggettiva dei fatti medesimi – anche in rapporto alle pene previste per la generalità dei reati contro la persona –, se l’ordinamento non prevedesse meccanismi per attenuare la risposta sanzionatoria nei casi meno gravi». La considerazione unitaria dei delitti di rapina e di estorsione deve essere tenuta ferma anche nella definizione della questione odierna, agli effetti dell’estensione della sentenza n. 120 del 2023, giacché l’addizione dell’attenuante della lieve entità del fatto riguarda essa pure quell’elevato comune minimo edittale, alla cui notevole entità viene applicata una, costituzionalmente necessaria, “valvola di sicurezza”.
    1. – Già, dunque, sul piano della comparazione tra il trattamento sanzionatorio previsto per la rapina impropria e quello stabilito per l’estorsione, emerge la violazione dell’art. 3 Cost., non sussistendo ragioni specifiche che valgano a giustificare l’esclusione dell’attenuante di lieve entità del fatto per il reato di cui all’art. 628, secondo comma, cod. pen., ed anzi esistendo i richiamati indici che di tale diminuente impongono l’estensione anche a tale reato.
    2. – Ma l’esigenza dell’attenuante in questione – in misura non eccedente un terzo, come vuole la regola generale dell’art. 65, primo comma, numero 3), cod. pen. – trova fondamento costituzionale anche nei principi di individualizzazione della pena e di finalità rieducativa della stessa.
Nella giurisprudenza di questa Corte, invero, si è chiarito, da un lato, che un trattamento manifestamente sproporzionato rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva del fatto, e comunque incapace di adeguarsi al suo concreto disvalore, pregiudica il principio di individualizzazione della pena (sentenza n. 244 del 2022); «“l’individualizzazione” della pena, in modo da tenere conto dell’effettiva entità e delle specifiche esigenze dei singoli casi, si pone come naturale attuazione e sviluppo di principi costituzionali» così da rendere «quanto più possibile “personale” la responsabilità penale, nella prospettiva segnata dall’art. 27, primo comma» (sentenza n. 7 del 2022). Dall’altro, che il precetto di cui al terzo comma dell’art. 27 Cost. vale tanto per il legislatore quanto per i giudici della cognizione, oltre che per quelli dell’esecuzione e della sorveglianza, nonché per le stesse autorità penitenziarie: il principio della finalità rieducativa della pena è ormai da tempo diventato patrimonio della cultura giuridica europea, particolarmente per il suo collegamento con il “principio di proporzione” fra qualità e quantità della sanzione, da una parte, ed offesa, dall’altra (tra molte, sentenze n. 179 del 2017 e n. 313 del 1990). Orbene, in presenza di una fattispecie astratta connotata, come detto, da intrinseca variabilità atteso il carattere multiforme degli elementi costitutivi «violenza o minaccia», «cosa sottratta», «possesso», «impunità», e tuttavia assoggettata a un minimo edittale di rilevante entità, il fatto che non sia prevista la possibilità per il giudice di qualificare il fatto reato come di lieve entità in relazione alla natura, alla specie, ai mezzi, alle modalità o circostanze dell’azione, ovvero alla particolare tenuità del danno o del pericolo, determina la violazione, ad un tempo, del primo e del terzo comma dell’art. 27 Cost.
    1. – Per tutto ciò, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.
Mette conto ribadire quanto già osservato nella sentenza n. 120 del 2023 a proposito dell’estorsione, cioè che gli indici dell’attenuante di lieve entità del fatto – estemporaneità della condotta, scarsità dell’offesa personale alla vittima, esiguità del valore sottratto, assenza di profili organizzativi – garantiscono che la riduzione della pena «sia riservata alle ipotesi di lesività davvero minima, per una condotta che pur sempre incide sulla libertà di autodeterminazione della persona» (punto 7.9. del Considerato in diritto).
  1. – La questione sollevata dal Tribunale di Cuneo ha ad oggetto il trattamento sanzionatorio della rapina impropria e censura il secondo comma dell’art. 628 cod. pen., che disciplina tale species di rapina.
Tuttavia, questa Corte ha in più occasioni rimarcato l’omogeneità strutturale delle varie forme di rapina, che sono tutte aggressioni contestuali alla persona e al patrimonio, astrette in un reato complesso: la rapina propria e la rapina impropria (sentenza n. 190 del 2020, ordinanza n. 111 del 2021); la rapina impropria a dolo di possesso e la rapina impropria a dolo di impunità (sentenza n. 260 del 2022). Atteso che la rapina propria condivide con la rapina impropria – e, transitivamente, con l’estorsione – sia l’elevato minimo edittale di pena detentiva (cinque anni di reclusione), sia l’idoneità a manifestare una diversificata offensività (in rapporto agli elementi costitutivi della violenza o minaccia e del profitto), anche per essa si evidenzia la necessità costituzionale di una “valvola di sicurezza”, a garanzia della ragionevolezza, proporzionalità e capacità rieducativa della sanzione. Pertanto, deve essere dichiarata, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, primo comma, cod. pen., nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.       Per Questi Motivi   LA CORTE COSTITUZIONALE  
  1. dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità;
  2. dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale
dell’art. 628, primo comma, cod. pen., nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 2024. F.to:   Augusto Antonio BARBERA, Presidente Stefano PETITTI, Redattore Valeria EMMA, Cancelliere