Cass. III 26 Aprile 2024, n. 11219

In tema di locazione immobili urbani ad uso diverso da quello abitativo, la condotta del locatore che, dopo essere stato inerte nell'escutere il conduttore – anche se per un fatto a lui imputabile e per un tempo tale da far ragionevolmente ritenere al debitore che il diritto non sarà più esercitato – richiede l'integrale pagamento dei canoni maturati non è sufficiente ad integrare un contegno concludente da cui desumere univocamente la tacita volontà di rinunciare al diritto, né rappresenta un caso di abuso del diritto, perché il semplice ritardo di una parte nell'esercizio delle proprie prerogative può dar luogo ad una violazione del principio di buona fede nell'esecuzione del contratto soltanto se, non rispondendo ad alcun interesse del suo titolare, si traduce in un danno per la controparte.

Nel 2021, il Tribunale di Trento, accertato il mancato pagamento da febbraio 2015 al marzo 2020 (rigettata l’eccezione di compensazione proposta dal conduttore per il controcredito per forniture di materiale lapideo) lo condannò a pagare alla locatrice la somma di oltre 125.000 euro, pari al complessivo debito maturato. Proposto ricorso la Corte di appello ha confermato la decisione affermando che l’inerzia della proprietaria-locatrice, quantunque non comune, trovava tuttavia giustificazione nel pignoramento immobiliare subìto e nello stato di malattia di uno dei soci. Contro questa decisione, il ricorrente ha proposto ricorso in Cassazione ribadendo che la società locatrice nel chiedere il pagamento di 52 canoni di locazione senza aver mai chiesto prima nulla, avrebbe violato i canoni di correttezza e buona fede, incorrendo in un abuso del diritto. La Terza sezione civile, nel respingere il ricorso, dà atto dell’esistenza di una isolata pronuncia (Cass. 14/06/2021, n. 16743), citata dal ricorrente a sostegno del proprio motivo, la quale in tema però di locazione ad uso abitativo, aveva affermato che “integra abuso del diritto la condotta del locatore, il quale, dopo aver manifestato assoluta inerzia per un periodo di tempo assai considerevole in relazione alla durata del contratto, rispetto alla facoltà di escutere il conduttore per ottenerne il pagamento del canone dovutogli, così ingenerando nella controparte il ragionevole ed apprezzabile affidamento nella remissione del debito ’per facta concludentia’, formuli un’improvvisa richiesta di integrale pagamento del corrispettivo maturato”. Si tratta tuttavia, prosegue la decisione, di una pronuncia riferita ad una fattispecie diversa. Inoltre, per la Cassazione l’abuso del diritto postula che l’inerzia del titolare “sia tale da ingenerare nella controparte il ragionevole ed apprezzabile affidamento nella remissione del debito per facta concludentia”; una circostanza quest’ultima non integrata nel caso concreto, “poiché la persistente sussistenza, sino al febbraio 2021, di un pignoramento immobiliare che limitava la legittimazione ad agire della proprietaria certamente non poteva ingenerare nel conduttore alcun affidamento sull’eventuale remissione del debito per canoni scaduti.” Ma il principio non convince la Suprema corte anche per motivi più generali in quanto si tradurrebbe “in una incondizionata apertura all’operatività, nell’ordinamento italiano, di un istituto ad esso sconosciuto, consistente nella Verwirkung del diritto tedesco, quale consumazione del diritto collegato all’inattività (Rechtsverschweigung) del titolare, di cui il codice civile tedesco tradizionalmente fa applicazione, in particolare, in materia di perdita del “praemium inventionis” (§ 971), della provvigione del mediatore (§654) e del diritto al pagamento della clausola penale (§339)”. Sebbene anche nell’ordinamento italiano vi siano degli esempi simili, per esempio nel diritto del lavoro (il ritardo del datore nel contestare la giusta causa di licenziamento o quello del prestatore di lavoro nella prosecuzione del rapporto) tuttavia nel nostro ordinamento non può darsi ingresso in via generale al principio della Verwirkung. “La volontà tacita di rinunziare ad un diritto – precisa la Cassazione – si può desumere soltanto da un comportamento concludente del titolare che riveli la sua univoca volontà di non avvalersi del diritto stesso, laddove l’inerzia o il ritardo nell’esercizio del diritto non costituiscono elementi sufficienti, di per sé, a dedurne la volontà di rinuncia, potendo essere frutto di ignoranza, di temporaneo impedimento o di altra causa, e spiegano rilevanza soltanto ai fini della prescrizione estintiva”. “Pertanto – conclude -, il solo ritardo nell’esercizio del diritto, per quanto imputabile al titolare dello stesso e per quanto tale da far ragionevolmente ritenere al debitore che il diritto non sarà più esercitato, non può costituire motivo per negare la tutela giudiziaria dello stesso, salvo che tale ritardo sia la conseguenza fattuale di una inequivoca rinuncia tacita o di una modifica della disciplina contrattuale”.   Ordinanza … omissis… Il ricorrente sostiene che, nel chiedere il pagamento di 52 canoni di locazione senza aver mai chiesto prima nulla, la società locatrice avrebbe violato i canoni di correttezza e buona fede, incorrendo in un abuso del diritto. Lamenta, dunque, che tale abuso non sia stato rilevato dalla Corte di merito, la quale, nel rigettare il motivo di gravame da lui formulato, ha ritenuto, in generale, che il ritardo nell'azionare un credito non concretizzi di per sé alcun abuso o illecito e ha rilevato, in particolare, che, nella fattispecie, l'inerzia della proprietaria-locatrice, quantunque non comune, trovava tuttavia giustificazione nel pignoramento immobiliare subìto e nello stato di malattia di uno dei soci. 3.1. Il motivo è infondato. 3.1.a. Al riguardo va evidenziato che questa Corte, in una isolata pronuncia citata dal ricorrente a sostegno della doglianza in esame, ha statuito che, in tema di locazione di immobili ad uso abitativo, integra abuso del diritto la condotta del locatore, il quale, dopo aver manifestato assoluta inerzia per un periodo di tempo assai considerevole in relazione alla durata del contratto, rispetto alla facoltà di escutere il conduttore per ottenerne il pagamento del canone dovutogli, così ingenerando nella controparte il ragionevole ed apprezzabile affidamento nella remissione del debito "per facta concludentia", formuli un'improvvisa richiesta di integrale pagamento del corrispettivo maturato; ciò in quanto, anche nell'esecuzione di un contratto a prestazioni corrispettive e ad esecuzione continuata, trova applicazione il principio di buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., quale canone generale di solidarietà integrativo della prestazione contrattualmente dovuta, che opera a prescindere da specifici vincoli contrattuali, nonché dal dovere negativo di "neminem laedere", e che impegna ciascuna delle parti a preservare l'interesse dell'altra nei limiti del proprio apprezzabile sacrificio (Cass. 14/06/2021, n. 16743). 3.1.b. Questa pronuncia non giova alle ragioni del ricorrente, sia perché riferita ad una fattispecie (locazione di immobili ad uso abitativo) diversa da quella di cui alla presente vicenda processuale (la quale riguarda una locazione di immobile ad uso commerciale); sia perché, nell'affermare il surricordato principio, questa Corte ha precisato che l'abuso del diritto postula che l'inerzia del titolare sia tale da ingenerare nella controparte il ragionevole ed apprezzabile affidamento nella remissione del debito "per facta concludentia"; circostanza che non può dirsi integrata nel caso di specie, poiché la persistente sussistenza, sino al febbraio 2021, di un pignoramento immobiliare che limitava la legittimazione ad agire della proprietaria, certamente non poteva ingenerare nel conduttore alcun affidamento sull'eventuale remissione del debito per canoni scaduti. 3.1.c. In ogni caso – e più in generale – l'orientamento espresso con la richiamata pronuncia non pare in assoluto condivisibile al Collegio. Esso orientamento si traduce, infatti, in una incondizionata apertura all'operatività, nell'ordinamento italiano, di un istituto ad esso sconosciuto, consistente nella Verwirkung del diritto tedesco, quale consumazione del diritto collegato all'inattività (Rechtsverschweigung) del titolare, di cui il codice civile tedesco tradizionalmente fa applicazione, in particolare, in materia di perdita del "praemium inventionis" (Par. 971), della provvigione del mediatore (Par.654) e del diritto al pagamento della clausola penale (Par.339). Questo istituto trova fondamento nel principio, basato sulla buona fede, secondo cui, anche prima del decorso del termine prescrizionale, il mancato esercizio di un diritto creditorio o potestativo, protrattosi per un conveniente lasso di tempo, imputabile al suo titolare e che abbia fatto sorgere nella controparte un ragionevole ed apprezzabile affidamento sul definitivo non esercizio del diritto medesimo, comporta che un successivo atto di esercizio del diritto in questione rappresenti un caso di abuso del diritto, nella forma del ritardo sleale nell'esercizio del diritto, con conseguente rifiuto della tutela giudiziaria, per il principio della buona fede nell'esecuzione del contratto. Sebbene anche nell'ordinamento italiano analoghe conseguenze siano state talora collegate da questa Corte a fattispecie peculiari (le più numerose delle quali si collocano nell'ambito del diritto del lavoro e concernono il ritardo del datore di lavoro nel contestare la giusta causa di licenziamento di cui all'art. 2119 cod. civ. o quello del prestatore di lavoro nella prosecuzione del rapporto: v. ad es., Cass. civ., Sez. lav., n. 23739 del 2008; Cass. civ., Sez. lav., n. 9883 del 2017; Cass. civ., Sez. lav., n. 6900 del 2016), tuttavia nel nostro ordinamento non può darsi ingresso in via generale al principio della Verwirkung. La clausola generale di buona fede impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali e da quanto espressamente stabilito da singole norme di legge; in virtù di questo principio ciascuna parte è tenuta, da un lato, ad adeguare il proprio comportamento in modo da salvaguardare l'utilità della controparte, e, dall'altro, a tollerare anche l'inadempimento della controparte che non pregiudichi in modo apprezzabile il proprio interesse. Ad un tale riguardo, il semplice ritardo di una parte nell'esercizio di un diritto (nel caso di specie, diritto di agire per far valere l'inadempimento della controparte) può dar luogo ad una violazione del principio di buona fede nell'esecuzione del contratto soltanto se, non rispondendo esso ad alcun interesse del suo titolare, correlato ai limiti e alle finalità del contratto, si traduca in un danno per la controparte. D'altra parte, la volontà tacita di rinunziare ad un diritto si può desumere soltanto da un comportamento concludente del titolare che riveli la sua univoca volontà di non avvalersi del diritto stesso, laddove l'inerzia o il ritardo nell'esercizio del diritto non costituiscono elementi sufficienti, di per sé, a dedurne la volontà di rinuncia, potendo essere frutto di ignoranza, di temporaneo impedimento o di altra causa, e spiegano rilevanza soltanto ai fini della prescrizione estintiva. Pertanto, il solo ritardo nell'esercizio del diritto, per quanto imputabile al titolare dello stesso e per quanto tale da far ragionevolmente ritenere al debitore che il diritto non sarà più esercitato, non può costituire motivo per negare la tutela giudiziaria dello stesso, salvo che tale ritardo sia la conseguenza fattuale di una inequivoca rinuncia tacita o di una modifica della disciplina contrattuale (in tal senso, Cass. 15/03/2004, n. 5240; Cass. 15/10/2013, n. 23382; Cass. 28/01/2020, n. 1888). Facendo applicazione di questi principi al caso di specie, da un lato, deve escludersi che l'inerzia della St.Po., per quanto prolungata, avesse concretato una violazione del dovere di buona fede cui collegare il rifiuto di tutela giurisdizionale; dall'altro lato, deve altresì escludersi che il diritto di credito fosse stato implicitamente rinunciato, con conseguente necessità di rigettare il motivo di ricorso in esame. …omissis…